Ieri L’Unione Sarda ha divulgato i dati Istat, già disponibili in rete, che rivelano che Sassari ha patito un’epidemia dieci volte superiore a quella patita da Torino e più o meno pari a quella subita da Bologna.
Il problema in Sardegna, dunque, è stata ed è l’epidemia turritana, mai assunta dalla politica sarda come tale e nascosta dalla retorica della preservazione dell’isola Covid free che invece free propriamente non è stata perché ha avuto in pancia un focolaio di intensità pari a quelli del nord, ma negato.
Sia in Lombardia, che in Veneto e in Emilia, la migliore risposta politica alla malattia è stato il sistematico tracciamento (molti tamponi) e il conseguente isolamento. Sono stati usati con non poca efficacia i tamponi sierologici.
In Sardegna se c’è stata una scelta politica, oltre la negazione pubblica dell’emergenza sassarese, è stata quella di fare pochissimi tamponi.
Ovviamente la gente vuole poter verificare il proprio stato di salute, cioè ha un’esigenza esattamente opposta a quella omertosa del governo della Regione.
Il direttore generale della Sanità ha scritto alle Asl e alle associazioni di categoria dei laboratori analisi, che i tamponi sierologici sono utili a fini epidemiologici ma non sono esatti sul piano diagnostico: in poche parole ti dicono che hai avuto qualcosa, ma non ti danno la certezza che questo qualcosa sia stato una malattia da Covid 19. Gli unici tamponi utili a fini diagnostici sono quelli che prelevano cellule da secrezioni respiratorie.
Il Direttore, quindi, vieta l’uso dei test sierologici, perché non sicuramente diagnostici, affermando però che sarebbero utili per valutazioni epidemiologiche, cioè per politiche di sanità pubblica, quelle che la Regione non ha voluto fare e non fa. A titolo esemplificativo (e nasoprendente), vedete qui cosa fa la Regione Emilia Romagna.
Fatte queste premesse, la Regione tira le somme: per coloro che vogliano pagarsi il test sierologico, è stato comunque chiesto allo Stato che l’esame sia inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza.
Non è chi non veda che, se è vera la premessa (il test non serve per finalità diagnostiche ma è un tipico strumento di politica sanitaria pubblica di esame epidemiologico), non vale la conclusione (ad ogni buon conto si è chiesto l’inserimento nei LEA per chi vuole pagarsi il test). Vabbè, ci si è abituati. E intanto l’Emilia li fa e dice che non sono poi così male.
Poi però ci si è messo il Presidente che ieri, nell’intervista alla Nuova Sardegna alla domanda: “A proposito di test epidemiologici: il direttore generale dell’assessorato alla Sanità li ha vietati. Perché?”, ha così risposto: “Il direttore si è limitato a esporre la posizione delle autorità sanitarie statali. Stiamo valutando con l’assessore Nieddu una liberalizzazione dei test. Ricordando che questi hanno un valore epidemiologico”.
Anche qui la testa non si tiene con i piedi, perché se è una norma statale che impedisce i test, non c’è assessore Nieddu che possa liberalizzare in sede regionale un divieto statale. E infatti il divieto non c’è. C’è uno Stato che dice che il test molecolare, quello diagnostico, è a carico dello Stato; l’altro, sierologico e epidemiologico, non ha valore diagnostico. Questo dice lo Stato. Poi, se un cristiano o una Regione se lo vuole fare e pagare, lo Stato non lo impedisce manco un po’ (Emilia docet, nasoprendendone… alla Pais).
Si improvvisa un po’ troppo, in Sardegna, da qualche tempo. Ma si improvvisa confusamente, ogni giorno una. Torniamo a dirlo: il problema è stato non prevedere gli effetti della legge Basaglia.