Come fa un’isola a cambiare il proprio futuro se non può fare la politica dei suoi porti e dei suoi aeroporti?
Sui porti e sugli aeroporti i Sardi non hanno i poteri reali, hanno solo piccoli poteri gestionali.
Per capirci, è come se i Sardi gestissero un autogrill in franchising in un’autostrada.
Possono gestire l’interno del locale, ma strada, piazzola e regole sono di altri, in particolare dello Stato italiano.
Noi siamo il pretesto per la ricchezza e il potere altrui.
Perché non c’è un sardo che non abbia pessimi sentimenti verso la Tirrenia, Alitalia, Air Italy e quant’altro? Perché tutti ci accorgiamo che arrivati a un porto o a un aeroporto ci imbattiamo in un altro potere che ci domina ineluttabilmente.
Noi abitiamo la terra, ma non abbiamo potere sull’aria e sul mare. Per chi vive in un’isola questa condizione è drammatica.
Le sbarre delle nostre celle sono cabine, gate, tariffe e microtirannidi da piazzale di imbarco/sbarco.
Questo spiega la deformazione della nostra libertà di movimento cui ci siamo abituati.
Noi non siamo liberi di andare dove vogliamo: siamo liberi di andare in Italia e da lì ovunque. Non è una differenza banale. La Sardegna non ha poteri per fare politica euromediterranea dei trasporti (e dei rapporti politici, sociali e culturali), cioè non ha i poteri per essere se stessa, la grande isola (la grande mediazione) tra l’Europa e l’Africa.
Per riprenderci porti e aeroporti serve una rivolta politica, non basta un giro di elezioni.
Serve mobilitazione, organizzazione, capacità di pacifico contrasto. Se c’è una frontiera realmente rivoluzionaria, oltre il riprendere a mangiare sano e sardo, questa è riprendere il potere sui porti e gli aeroporti. Ed è un potere che non ci regalerà mai nessuno. Bisogna prenderselo. Sui porti e sugli aeroporti serve una prova di forza col governo italiano ed è una prova di numeri, di presenza fisica, di lenta e pacifica occupazione di spazi materiali , culturali, giuridici.
Può sembrare eccessivo, invece è realistico: per riprenderci il cielo e il mare serve un ripetuto sciopero sociale, una Sardegna pacificamente in piazza, con sindaci, cittadini, sindacati, associazioni, schierati su piste e banchine e non per un giorno, per molti giorni (ormai le modalità di caduta del Muro di Berlino, la singing revolution baltica, la stessa antica marcia del sale gandhiana, ce lo hanno insegnato: vincono le battaglie ripetute. Una piccola ribellione di un giorno non cambia nulla). Niente cambia senza presenza fisica e noi dobbiamo riprendere ad abituarci a stare da liberi nei nostri luoghi, compresi i porti e gli aeroporti.