La Coldiretti nel 2017 ha chiesto al Ministero della Salute i dati sulle importazioni del latte in Italia da Paesi UE, con quantità e nomi.
Il Ministero ha rifiutato di fornirli e in questo senso si è pronunciato anche il Tar del Lazio, cui la Coldiretti si era rivolta.
Viceversa il Consiglio di Stato, in appello, ha riformato la sentenza del Tar e ha disposto che il Ministero fornisca i dati ma “previa attivazione e conclusione, nei termini di legge, della procedura di confronto con i potenziali controinteressati, i quali, in relazione alla specificità del caso, potranno essere interpellati preliminarmente in via generale secondo modalità telematiche. L’Amministrazione potrà, se del caso, tenere conto (mediante il parziale oscuramento dei dati) solo di eventuali specifiche ragioni di riservatezza dei controinteressati”.
in buona sostanza, il Consiglio di Stato ha obbligato il Ministero della Salute a comprendere, attraverso il confronto tra i controinteressati, quali dati siano divulgabili e quali no. Ovviamente il Ministero, perché in Italia tutti si preoccupano di proteggersi le spalle, ha formulato un quesito all’Autorità per la concorrenza (AGCM) per capire se la divulgazione dei dati richiesti poteva recare danno alle regole della concorrenza.
L’AGCM ha risposto: questo il testo (pp.19-21).
L’AGCM ha, in primo luogo, dichiarato sensibili i dati per il corretto regime della concorrenza. Poi è passata a valutare se rendere noti questi dati alla Coldiretti sia pregiudizievole per la concorrenza nel settore del latte. E qui l’AGCM dice per la prima volta ciò che lo Stato italiano non riesce a dire della Coldiretti.
In primo luogo l’AGCM dice che la Coldiretti non è una organizzazione trasparente: “A tale proposito, l’Autorità rileva in via preliminare come, a causa dell’indisponibilità di bilanci contabili pubblici relativi a Coldiretti (intesa quale sistema di cui fanno parte sia la confederazione nazionale che le varie diramazioni locali), non sia possibile avere un quadro informativo sulle sue partecipazioni societarie, e più in generale le sue attività economiche rilevanti”.
Detto questo, l’AGCM afferma: “Nondimeno, risulta da fonti aperte come quantomeno strutture territoriali di Coldiretti – in specie, una federazione provinciale – siano attualmente titolari di partecipazioni in importanti imprese nazionali operanti nel settore lattiero-caseario, e ciò per di più in partnership con primari operatori del medesimo settore che sono attivi produttivamente sia in Italia che all’estero. Risulta altresì che negli organi direttivi e rappresentativi di Coldiretti, sia a livello di confederazione nazionale che di singole federazioni locali, siedano persone fisiche detentrici di interessi diretti in imprese del settore lattiero-caseario.
Infine, è notorio come alla Coldiretti siano associate un numero elevato di imprese attive nel settore lattiero-caseario, rispetto alle quali l’organizzazione, oltre a svolgere attività di rappresentanza e difesa degli interessi comuni, fornisce servizi di varia natura, comprese consulenze aziendali, per i quali la disponibilità dei dati potrebbe costituire sia una primaria risorsa operativa che un elemento di differenziazione rispetto ai servizi eventualmente resi da imprese concorrenti. In assenza di specifiche, rigorose, predeterminate e trasparenti misure volte a circoscrivere e tracciare l’impiego da parte di Coldiretti dei dati al fine di garantire che questi non siano impiegati da essa in quanto impresa ovvero interlocutrice e/o facilitatrice di contatti tra imprese terze (siano o meno queste sue associate), non si può pertanto escludere che dalla trasmissione a tale organizzazione dei Dati possano derivare pregiudizi alle corrette dinamiche di mercato”.
Sono parole esplicite che non hanno bisogno di alcun commento: la Coldiretti è parte in causa nelle questioni del latte o per proprie partecipazioni o per le attività di consulenza.
Adesso, anche in Sardegna, il quadro è più chiaro.