di Paolo Maninchedda
Trump sta vincendo, spiego il perché.
C’è un motivo per cui per un lungo periodo la parola ‘democrazia’ fu sostituita nei libri e nei discorsi dalla parola ‘repubblica’. In Grecia, dove la parola era nata, la democrazia aveva costantemente generato la tirannide, perché prima aveva generato il terrore dell’ostracismo e di altre pratiche incapaci di accogliere il dissenso. Oggi c’è da chiedersi perché la democrazia stia generando leader così simili a quelli tragici, per gli altri e non per se stessi, comparsi sulla scena in momenti drammatici della storia universale.
La prima risposta è che la democrazia genera, come suo modello di gestione, l’oligarchia, ossia il governo stabile di pochi, sovrapposto all’apparente sovranità di tutti. In Italia accadde con la partitocrazia del secondo dopoguerra, la cosiddetta Prima Repubblica. I partiti etnici, i partiti tribù, come li chiamava Pannella, sostituirono uno Stato debole, garantirono a una piccola élite una lunga permanenza nei posti di potere, fecero un accordo tacito al Sud con la Mafia e con le varie criminalità organizzate, usarono il deficit di bilancio (prima nei Comuni del Centro Nord, poi nel Governo centrale e infine al Sud) per generare una struttura produttiva uscita distrutta dal conflitto e per finanziare la pace sociale.
Le oligarchie generano sempre una tensione col popolo perché il popolo diviene il loro campo di battaglia, il luogo dove si decide quale oligarchia deve comandare. In una parola: le oligarchie strumentalizzano il popolo.
Come era già accaduto nell’antica Roma tra il ceto senatorio e quello dei cavalieri, anche in età moderna dopo un lungo periodo in cui gli uomini di affari si sono interessati della politica solo per il tanto necessario a fare sempre maggiori affari, con l’avvento della ‘rete’ e dei grandi sistemi di comunicazione di massa, i ricchi hanno intravisto una grande vulnerabilità del ceto politico professionalizzato e lo hanno infilzato, divenendo i paladini del popolo.
Come?
Secondo uno schema antropologico vecchio come il cucco: usando le paure della gente.
In fin dei conti l’uomo, con buona pace di Pico della Mirandola e del suo De dignitate hominis, è un essere vivente in equilibrio instabile tra una componente arcaica, primitiva, tradizionalista, capace ancora di riconoscersi nei vecchi racconti simbolici dell’antichità rappresentativi dello scontro tra il bene e il male, e una componente evolutiva, assetata di conoscenza e di eternità.
I ricchi-nuovi-tiranni sanno che la diversità fa paura e quindi contestano ogni diversità, dal colore della pelle ai gusti sessuali, dal credo religioso ai gusti alimentari.
L’evoluzione ha bisogno di educazione e di processi di acculturamento lunghi; la paura si esprime con un gesto. Il ricco-nuovo-tiranno sceglie la semplicità del gesto e sbeffeggia l’impegno culturale (che è il suo nemico più grande).
La cultura ha una sola chance con i nuovi tiranni: l’impegno sociale.
La cultura e la competenza sono amate se sono donate, non se sono usate per l’egemonia. Invece la sinistra italiana è fuori da ogni impegno sociale ed è rifluita solo nell’impegno politico, divenendo un ceto professionalizzato che esiste solo nelle aule parlamentari e non nei luoghi della società, o per lo meno, non è riconoscibile lo slancio morale di dedizione agli altri che rende non sospetto l’impegno politico.
Hillary è più brava di Trump, ma non è credibile il suo slancio verso gli altri, la sua dimensione altruistica o amorevole che dir si voglia, mentre è esplicita la sua natura oligarchica (come accade ormai da tempo a D’Alema e come sta accadendo a Renzi). Serve sacrificio per essere credibili, non basta essere bravi. Il ricco-tiranno lo sa e non dice di sé di essere buono, dice di non essere ipocrita (questo è il ricco Grillo), dice di essere cattivo come tutti ma di essere al fianco del popolo contro gli antipatici oligarchi.
Gioco semplice, gioco pericoloso.
Cosa fare in Sardegna?
Cosa fare ora che il Mediterraneo potrebbe essere affidato alla sbilanciata dialettica tra Putin e l’oligarchicissima Unione Europea?
Torno a dirlo: serve cultura, amore, dedizione e sacrificio.
Serve un ceto politico che si sacrifichi.
Serve girare pagina, serve il partito della Nazione Sarda, serve coraggio.
Stare fermi in mezzo alla palude ad aspettare non si sa bene cosa, o peggio pensare di prendere pezzi di politica che hanno bisogno di coraggio e di affidarli a califfi esterni, è fallimentare.
L’unica proposta credibile in campo è quella dell’esercizio pieno della responsabilità come persone e della sovranità della Sardegna come società, il resto sono elaborazioni di comodo che nascondono un vuoto di strategia che aspetta di essere infilzata dal ricco-tiranno come il burro dal coltello.