Dell’assemblea costituente Cinquetasche, appena conclusasi, resta un solo contenuto: l’abolizione del limite dei due mandati, la regoletta che impediva, a chi avesse trascorso in un’istituzione dieci anni da parlamentare o da consigliere regionale o da sindaco, di potersi ricandidare. Era la regola anticorporativa che provava ad impedire a chi avesse esercitato potere per due lustri di seguito, di continuare a farlo per sempre.
Si badi bene, non è stata aggiornata a tre mandati, quindici anni, per esempio.
No, è stata abolita.
Adesso si consideri questa abolizione del divieto cumulativo e lo si leghi al sistema elettorale italiano, quello che, abolendo le preferenze, ha impedito all’elettore di scegliere tra i candidati di un partito e invece gli ha imposto di promuovere o bocciare in blocco l’elenco dei candidati (cioè di dare un voto alla bandiera di parte e non a chi la porta), e si ottiene di bruciare qualcosa come duemila anni di storia, si ritorna ai patrizi e ai plebei, cioè non ai ricchi e ai poveri, ma ai potenti contro i deboli, non più definiti dall’origine biologica (la famiglia, il clan ecc.), ma dal controllo di un partito.
Giuseppe Conte ha fatto la più classica delle rivoluzioni di palazzo: i detentori del potere attuale hanno defenestrato quelli che lo possedevano prima, con una differenza rispetto al passato: qui non c’è di mezzo uno scontro di visioni o di ideali, c’è solo una questione di reddito e di prestigio: chi li ha se li vuole tenere. I Cinquetasche si sono abituati a seta, cachemire e perlage e non vogliono tornare all’acqua minerale e alla lana grezza.
Gaetano Mosca è il politologo del passato che meglio spiega Giuseppe Conte, Alessandra Todde, Ettore Licheri ecc. ecc. Lui era un conservatore e teorizzò il cosiddetto elitismo, cioè il modello interpretativo per il quale la struttura fondamentale di ogni sistema politico è la divisione tra governanti e governati, indipendentemente dalle distinzioni interne (maggioranza e opposizione) nelle quali si articolano i primi. Mosca sostiene che l’unica distinzione interessante è quella che fa diventare l’esercizio del potere un privilegio. Eccoli qui i Cinquetasche.
Quale è la conseguenza immediata dell’elitismo?
Un tempo si sarebbe detto il clientelismo, adesso possiamo chiamarlo l’amichettismo, cioè l’associazione al potere e al reddito realizzata per adozione e prossimità.
Se volessimo parlare di Sardegna, potremmo citare il caso della nomina a Capo di Gabinetto, da parte della Todde, del suo socio in affari nell’oliveto in pausa Cinquecaschili. Ma potremmo anche parlare del poker di fedeltà a Conte calato sulle finanze sarde: l’assessore alla Sanità, il consulente dell’assessore del lavoro, il consulente per la comunicazione e il Segretario generale della Regione, una quaterna che costa quasi un milione di euro all’anno. Certo, si potrà dire, il segretario generale a gennaio andrà via per ragioni personali e al suo posto arriverà il compagno di scuola della Todde, dott. Annicchiarico (già stanco delle vette tricologiche di Goku), ma l’orizzonte etico e estetico non cambierà, sempre di amichettismo si tratterà.
Quale è la conseguenza secondaria dell’elitismo?
La peggiore: l’assenza di governo dei processi complessi.
Si guardi alla Sardegna: un consiglio regionale infarcito di sindachetti in carica o già in carica, preoccupati solo del loro bacino elettorale coltivato grazie proprio al venir meno del limite dei mandati (ormai in Sardegna abbiamo reucci ventennali nei piccoli comuni, gente che di mestiere ha fatto il sindaco), si è fatto imporre da una presidente incagliata nel suo orgoglio sulla proposta di legge sulle aree idonee, di non discutere ancora, a otto mesi dalle elezioni, della prima legge finanziaria, del primo Programma generale di sviluppo, dei primi fondamentali strumenti di pianificazione (è evidente che a governare il Consiglio non c’è un Presidente, ma un amichetto). Un consiglio regionale di distributori impuniti di ricchezza pubblica a privati specifici e individuati (preti e vescovi compresi) si è fatto imporre due assestamenti di bilancio, il secondo dei quali a ieri non ancora pubblicato, dei quali non si spenderà un euro, per i ritardi e per la follia programmatoria che li ha animati.
Nel frattempo, gli agricoltori attendono ancora le prime provvidenze dell’anno, gli ospedali sono nel caos, le vecchie province non funzionano per la lite sotterranea tra liquidatori del vecchio e commissari del nuovo, i trasporti interni fanno piangere, la tensione sociale è altissima, non si genera un nuovo posto di lavoro manco a pagarlo, le infrastrutture strategiche si stanno sgretolando perché non crescono evidentemente a chiacchiere.
Però, per gli oligarchi sardi, va tutto bene, l’importante è che il bottino sia diviso, che ce ne sia un po’ per ciascuno.
I Cinquetasche sono il nuovo Jabba the Hutt del sistema sardo e italiano: la vita è un banchetto, un po’ sospetto sul piano del diritto, ma è pur sempre un banchetto, dove è importante stare dalla parte di chi mangia e non di chi è mangiato.
Sì, Michels afferma esattamente questo, ma noi dobbiamo stare attenti ai tempi: la critica della democrazia di quei tempi portò anche (non solo, ma anche) alla teorizzazione e poi realizzazione di sistemi totalitari.
Michels uno studioso che si distacca da Mosca è ancora più incisivo nell’esprimere la.difesa strenua di pochi ai propri interessi a scapito di quelli più generali e collettivi.
“Chi dice democrazia dice organizzazione; chi dice organizzazione dice oligarchia. Chi dice democrazia dice oligarchia”. Sociologia del partito politico (1911)
Gli obiettivi di quella che viene pomposamente chiamata ” assemblea costituente erano solo due ,liberarsi del limite di due mandati e di Grillo. Stendo un velo pietoso sugli altri quesiti ,utilizzati solo per coprire il vero interesse e della serie “vuoi bene alla mamma “?