Continuo ad analizzare i programmi proposti per le politiche dalle forze politiche, per cercare i contenuti di questa campagna elettorale imposta alla Sardegna dopo aver impedito ai partiti sardi di potervi partecipare.
Oggi pongo delle domande al Movimento Cinque Stelle.
Nei loro “venti punti”, al di là del fatto che non vi è un solo punto che riguardi gli interessi nazionali della Sardegna (trasporti, insularità, fisco, servizi e denatalità ecc.) ve ne sono due che riguardano i temi della “giustizia giusta” che pongono problemi molto seri per la libertà dei cittadini rispetto ai poteri dell’autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria verso la libertà e la privacy dei singoli cittadini.
Prescrizione e persecuzione Da una parte il Movimento si schiera per la certezza dei tempi del processo e della pena e riafferma il principio dell’innocenza dell’imputato fino alla sentenza definitiva, dall’altra, però, ignora che ormai il processo avviene prima del processo non durante il processo. Ignora, soprattutto, la pubblicazione del nuovo decreto sulle intercettazioni che dà un potere enorme alla Polizia Giudiziaria nella compilazione del dossier sulle intercettazioni. Ignora la straordinaria possibilità di utilizzo di mezzi informatici inseriti nei cellulari e nei computer per spiare le persone. Propone anche una riforma della prescrizione che va in direzione opposta alla volontà dichiarata di processi certi e rapidi. La gran parte dei processi in Italia si celebrano proprio perché incombe la prescrizione, diversamente durerebbero vent’anni ciascuno, per non parlare del grande rischio di celebrare processi su fatti talmente distanti nel tempo da non essere più indagabili o da rivolgersi verso persone sensibilmente cambiate rispetto al momento in cui i fatti sono stati commessi. Leggete questa lettera equilibrata a suo tempo scritta dall’Unione delle Camere penali.
Spiare e intercettare Il Movimento propone testualmente: “Contro la mafia e ai conflitti di interesse con una riforma della prescrizione, modifica 416 ter sul voto di scambio mafioso-politico. Più agenti sotto copertura, daspo per i corrotti e intercettazioni informatiche per reati di corruzione”.
Bisogna avere chiaro che cosa prevedono gli articoli citati del Codice Penale. Questo è il 416 bis, questo il 416 ter. Personalmente asto monitorando da tempo i processi che si svolgono in Sardegna e nella penisola – un lavoro ingrato e immenso – per censire il più possibile quante volte e in quali circostanze le Procure utilizzano l’ipotesi di reato di Associazione a delinquere e/o associazione di tipo mafioso e poi giungono al processo con imputazioni diverse. Come pure è sempre più chiaro l’utilizzo da parte delle procure dell’art.415 del Codice di Procedura Penale, le indagini svolte contro autore ignoto, che durano sei mesi nel corso dei quali, invece, si indaga su persone note ma solo ipotizzando che non lo siano. Se queste persone sono mafiosi, pregiudicati, delinquenti incalliti, è più che comprensibile che la Polizia Giudiziaria faccia il suo lavoro, ma quando invece si tratta di persone comuni su cui si vuole indagare come se fossero mafiosi, allora il discorso cambia. Ipotizzare l’associazione a delinquere serve a spiare meglio, in profondità, anche attraverso le tecnologie informatiche, e quindi ottenendo il pedinamneto elttronico, la perquisizione della posta, l’ascolto di tutta la vita privata dell’indagato. Le carte processuali, anche in Sardegna, sono poi piene del fraintendimento di queste conversazioni, fraintendimenti che hanno rovinato molte persone e che rivelano anche le furbizie della Polizia giudiziaria e dei PM, oppure dei metodi di tutela del percorso accusatorio fondato sull’ipotesi dell’associazione a delinquere.
Casi inquietanti Racconto un episodio occorso in un processo. Nelle carte depositate, un funzionario di PG, dando conto di un’intercettazione, identifica tutti i partecipanti, poi dichiara che interviene nella discussione un Assessore di un comune isolano e poi scrive che non è stato possibile identificarlo. Credibile? No. Evidentemente si voleva tenere un nome lontano dall’inchiesta. Giusto? Corretto? No, ma indicativo di un modo di destreggiarsi quando si devono confermare non i fatti ma i teoremi. In un altro processo, l’intercalare sardo ‘nichele’ viene frainteso in un nome, Michele, e una persona viene messa sotto accusa. In un altro procedimento, un imprenditore importante viene indagato perché a giudizio insindacabile della Polizia Giudiziaria, che lo ha ascoltato per mesi, il tono con cui l’indagato A gli si rivolge è di tipo perentorio e avrebbe denunciato una sua subordinazione all’indagato fino a ipotizzare appunto l’associazione a delinquere. In un altro procedimento di grande impatto mediatico, dopo mesi di intercettazioni, una persona riceve un avviso di garanzia o un invito a comparire (non sono in grado di precisarlo ); ovviamente nomina un legale che dichiara la disponibilità del suo cliente a farsi interrogare ma chiede gli atti che lo riguardano. Gli atti non vengono mai consegnati e l’interrogatorio non si svolge. Dopo molto tempo viene recapitata la richiesta di archiviazione. Non parliamo poi della tecnica seriale per tenere sotto pressione le persone. Prima le si indaga per il reato A, poi, non avendo trovato nulla, lo si indaga per il reato B, poi, sempre con poco o nulla in mano, lo si indaga per il reato C e così via. Tempo di controllo su questa persona? Anni. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha afrontato e sanzionato alcuni di questi casi, ma alcuni magistrati hanno imparato come fare per sfuggirvi: ciò che si archivia non diviene oggetto di ricorsi e segnalazioni, quindi si porta a evidenza solo un pezzo del percorso indagatorio, non tutto, il resto va negli scantinati e diviene invisibile.
Ecco, il Movimento 5 stelle è consapevole che la corruzione in Italia non può divenire un motivo di riduzione dei diritti civili e per un aumento ulteriore del potere dell’accusa nel processo penale? È consapevole che immaginare un ulteriore rafforzamento delle intercettazioni informatiche trasformerebbe l’Italia in un Paese controllato in ogni respiro dall’autorità inquirente? Non credo che il futuro sia un paese presidiato da poliziotti e carabinieri e monitorato in ogni respiro dalle forze dell’ordine in nome della lotta alla corruzione. C’è una visione poliziesca e autoritaria del potere dietro tutto questo; c’è un desiderio di controllo del comportamento dei cittadini attraverso la rete che è pericolosa e antidemocratica. C’è una grande sfiducia nell’uomo, nell’educazione, nella cultura liberale nata dalla limitazione del potere del re (dello Stato, oggi) nei confronti delle libertà del singolo. Pensateci. Pensiamoci.