Oggi La Nuova Sardegna dà conto delle impressioni dell’Arcivescovo di Oristano al ritorno dall’ennesimo convegno della Conferenza Episcopale Italiana su uno dei tantissimi temi sui quali si riuniscono ormai i vescovi: questa volta l’oggetto era lo spopolamento delle aree interne. Ovviamente, posto che si tratta di un argomento di grandi proporzioni, non è che l’arcivescovo potesse dire chissà che cosa di nuovo. E infatti dice cose banali, comuni, ripetitive. Però, se ne avesse voglia, potrebbe informarsi sullo spopolamento dai preti che ha confinato nei luoghi più impervi della sua diocesi. Sarà un caso, ma i preti che non baciano l’anello sono, dai tempi di Tiddia, tutti confinati in campagna. In città, solo quelli a ginocchia lise.
Ammetto di nutrire un pregiudizio sui vescovi sardi: li vedo iscritti a due partiti, quello dei poltroni e quello degli aspiranti potenti. Quando li sento predicare, mi prende lo sconforto. Da un lato non trovo, sarà per mio difetto, la differenza dei santi, quell’essere per il mondo senza essere del mondo. Li vedo, infatti, mondani: parlano come i dirigenti nazionali di partito. Parlano sempre di problemi e mai, dico mai, del senso della realtà o lo fanno con attualizzazioni ardite dei racconti biblici e evangelici: roba da catechisti.
Sono sempre giulivi. D’accordo sulla letizia francescana, ma è anche lecito chiedersi che cosa ci sia da ridere o da sorridere. Molti adottano lo stile prossemico effeminato-seminariale. Perché? Boh.
Contesto apertis verbis, e non da oggi, la decadenza cui i vescovi stanno condannando la Facoltà Teologica della Sardegna. La più grande miseria del clero sardo, e ce lo ha insegnato Raimondo Turtas, è l’ignoranza ed è ciclica. Va presidiata e combattuta perché è tipica degli ambienti chiusi. Anche i nuclei di tradizionalisti sottanisti, presenti in Sardegna, sono l’esito dell’ignoranza. Mi chiedo perché i vescovi sardi sono sempre lì in Regione a chiedere soldi per questa o quella chiesa, per questo o quell’oratorio, per questo o quel ‘cammino religioso’ (quest’ultima è la nuova greppia), ma non si occupino con lo stesso zelo di rinforzare la Facoltà, di chiamare docenti di qualità, di richiamare quelli che se ne sono andati perché remunerati con stipendi da fame o con artifizi incomprensibili (in Facoltà è accaduto che si volessero considerare da inserire nell’imponibile i rimborsi spese), di curare i programmi di studio in modo che siano profondi e pertinenti in primo luogo alla conoscenza di Gesù Cristo. Io resto dell’idea che avesse ragione san Paolo quando diceva che anche i preti devono lavorare (ecco, fossi vescovo, farei fare loro un bel corso professionalizzante e li aiuterei a trovare lavoro), devono avere un mestiere e non devono vivere della fede come mestiere. Ma visto che oggi hanno tempo, devono studiare, devono sapere, devono sapere insegnare con la vita e con le parole.
Tuttavia, da anni, mi interrogo se questa decadenza della Chiesa sarda sia un fatto circostanziale o se abbia una radice culturale. In fin dei conti, le due anime attuali della chiesa cattolica, sia quella tradizionalista che quella progressista, a me, per quel che vale, sembrano estranee al deposito essenziale della fede cristiana.
La prima, la tradizionalista, è fedele al cattolicesimo come ideologia del dominio dell’umanità per la sua correzione e redenzione, che ha animato per secoli la ragion d’essere della Chiesa Romana. È la più alta espressione del clericalismo.
La seconda pensa che in fin dei conti i Vangeli vadano intesi simbolicamente, che la resurrezione sia una grande allegoria e non un fatto, che la strada verso Dio sia l’acquisizione di un pensiero, di una conoscenza e di un lento perfezionamento interiore, affinato nella dedizione agli altri, al proprio prossimo. È il nuovo gnosticismo, quello che rende la Chiesa simile alla migliore Massoneria (che è molto infiltrata nella Chiesa cattolica sarda e viceversa), a una Ong o al Pd nelle sue espressioni migliori. Questa è un’espressione sofisticata della vita della Chiesa. Consente di fare politica, ma senza sporcarsi col consenso; di essere uomini di potere, ma con l’estetica dei trappisti; di essere sempre agli onori delle cronache e dunque di sembrare vivi. Questa è la Chiesa del ‘cammino religioso’ come terapia di gruppo; questa è la Chiesa del ‘canta che ti passa’. Questa è la chiesa lautamente finanziata dalla Regione Sardegna: chitarre, chiese, Cammini, nuovo umanesimo, carità ecc. ecc.
Si chiama Vuoto e si legge Nulla.
Io resto con Vangelo, Padre Nostro, Eucarestia e Nicea: chiaro, semplice, difficile e profondo.
Egregio Professore,
ho come un sospetto: che tra le due anime della Chiesa, quella “clerilcalista” (cosa mai vorrà dire, in concreto?) e quella “gnostica” (che preferisce le conferenze piene, su qualunque argomento alla moda purché non si nomini Gesù Cristo, e i “cammini” affollati, benché non si sappia bene dove si va e perché, ma si disinteressa delle messe vuote e dei preti scomparsi), sia in qualche modo preferibile la prima. Non fosse altro che per una questione di mera sopravvivenza.
Ad analizzare certi interventi – anche di provenienza “alta” – senza però prima conoscerne la firma, verrebbe il dubbio se provengano dalla curia o dalla loggia.
“Vangelo, Padre Nostro, Eucarestia e Nicea”, pilastri per lei importanti, pare che siano gli argomenti più evitati dall’attuale establishment, che preferisce discettare – a favore di telecamera – su altro, dal riscaldamento climatico, all’autonomia differenziata e allo spopolamento delle zone interne.
Il problema non sono i parroci “confinati in campagna”: è la loro inarrestabile emorragia, che va di pari passo con quella dei fedeli: argomenti diventati un vero tabù nei convegni ecclesiali. Tutti contenti a passeggiare, alla stessa maniera di quelli che ballavano sul Titanic. A dare una svegliata, prima o poi arriverà l’iceberg.
Il problema da te evidenziato si perde nei secoli; attualmente si è semplicemente aggravato. A tal proposito ti invito a rileggere le considerazioni del Prete-Filosofo Rosmini che riporto integralmente a conforto delle tue argomentazioni.
In questa “operetta” – composta tra la fine del 1832 e i primi mesi del 1833, rivista e completata nel novembre 1847, pubblicata, come si è detto, nel 1848 – Rosmini contempla la Chiesa crocifissa come il suo Fondatore e dolorosamente attraversata nel suo corpo storico e mistico da cinque piaghe: la piaga della mano sinistra è “la divisione del popolo dal Clero nel pubblico culto”, quella della mano destra è “la insufficiente educazione del Clero”, quella del costato è “la disunione de’ Vescovi”, quella del piede destro è “la nomina de’ Vescovi abbandonata al potere laicale”, cioè politico, quella infine del piede sinistro è “la servitù – ossia l’asservimento – de’ beni ecclesiastici” al medesimo potere.
I nostri vescovi risultano sempre impeganti in convegni con politici , pastorali del turismo, incontri sinodali poco partecipati, itinerari di fede e altre amenità. Si sono uniformati al modello attuale dell’immagine e del voler apparire. Durante i lauti pasti, in location di lusso, intrecciano rapporti con personaggi di varia estrazione e si premurano di essere seguiti dai media pur di apparire. Egocentrismo? Narcisismo inconsapevole? Ruffianeria strisciante? Boh? Carrieristi? Non giudico ma i dubbi permangono!
Gesù ha predicato stando nel mondo. Questi vescovi sono letteralmente fuori dal mondo.
Per quanto riguarda il problema dell’ignoranza del clero e della decadenza della facoltà teologica, forse la causa andrebbe ricercata, come affermava un filosofo inglese del novecento, anche in quella tecnica perfezionata dalle autorità ecclesiastiche “di istruire senza stimolare alcuna attività mentale: tecnica in cui, una volta, i gesuiti erano maestri”.
Il superamento delle ideologie ha influito anche sulla catechesi di buona memoria ; allo stesso modo dei partiti , alla ricerca di potere politico , l’organizzazione ecclesiale ,orfana di canoni prescrittivi ferrei , si è rifugiata in pratiche palliative ben lontane dai dettati delle scritture ; la conseguente ricerca di sostegno finanziario pubblico , sostituisce o sopperisce all’offertorio costante e giornaliero che ha sostenuto la Chiesa per millenni ; le influenze di potere esercitate localmente o istituzionalmente ,sono un succedaneo ibrido di presenza autorevole ,che il tempo e la società hanno limitato . La funzione culturale,sociale e assistenziale , presenti anche negli angoli remoti del paese , si sono via via afievolite per riduzione degli addetti o per adeguamento alle mutate condizioni sociali dell’ apatica. modernità.
Salude, Paulu!
De su pagu pagu chi cumprendho, bene meda, condivido su chi as iscritu. A mie, medas bortas mi benit de pessare chi sas Parróchias/preìderos sunt una “Agenzia viaggi” (e, limitada a sa Sardigna, una agenzia passeggiate, chi mancari fossis serbit a connòschere carchi cosa de sa terra nostra). Ma un’annu, pessendhe a sos viazos a Terra Santa, no ndhe apo pótidu prus (in su sensu chi mi ch’est essidu gai solu solu) e apo iscritu “Terrasanta est su coro tou!” si Cristos bi naschet, bi caminat, préigat s’Evanzéliu, bi sufrit incravadu, ma est Isse, biu, e si bi paret sa cara sua!
Poi pro su chi est, no Sa Crésia ma una cosa chi faghent sos “Pastores” a propósitu de nois Sardos (chentza fàghere di ogni erba un fascio, ma de seguru una sola fasche manna manna e carchi faschizola minoredha chi azigu faghet a bìdere!), est menzus chi deo no ndhe faedhe: naro solu chi mi benit de pessare chi sunt prus preìderos/Pastores de s’istadu italianu chi no zente cun zente, che a sos ‘politici’ de sa dipendhéntzia etotu.
Ma una cosa chi tue puru as iscritu oe (no isco si ti capitat de la nàrrere puru) mi fùrriat s’istògomo cun totu s’aprétziu chi pro àteru ti tenzo: «Regione Sardegna».
Sa Regione no est sa Sardigna comente sa Sardigna no est una regione, e no semus mancu nois Sardos (e si che at Italianos chi si istant inoghe che a nois etotu – e che ndh’at de séculos – est sa Sardigna chi nos faghet totu a Sardos, ca no est chistione ratzista)! Est chistione de èssere zente! Cristianos, no animales!
A cufùndhere azu cun chibudha faghet fintzas a frìere e lagrimare sos ogros peus de nolla frigare in ogros sa chibudha! Sa Regione est cuss’istratzu de RAS chi nos at “otriato” su 1948 s’Itàlia repubblicana pro nos muntènnere cun sa matessi fune ingrussada e unta prus puru de cussa monàrchica e fascista. Noche ant tzacadu in conca sa «regione» chi nos faghet fintzas ischifu coment’e unu lorodhu su nùmene e sambenadu nostru e apretziamus sos lorodhos chi nos betant die cun die.
No amus ancora mancu cumpresu si semus zente o bestiàmine, cun totu sas diferéntzias.