Oggi i giornali scrivono della riammissione nel collegio cardinalizio di mons. Becciu, della nomina cardinalizia di mons. Miglio e ospitano un articolo del vescovo di Nuoro sulla festa del Redentore: due notizie di politica ecclesiastica e una moderna catechesi sul Redentore, che è poi la sollecitazione che mi ha indotto a scrivere.
Sono credente, non da sempre. Mi sono convertito che avevo quindici anni, nel tempo più difficile che non vorrei mai rivivere. Dovrei partecipare a queste notizie e a queste letture, e invece mi sento estraneo.
Sulla questione Becciu, mi verrebbe da fare il manzoniano. Io che mai l’ho lodato in solio, non l’ho deprecato nella polvere.
Non mi piace e non mi piaceva la sua corte sarda, il suo essere iscritto alle corti, ma di lui so poco e, francamente, il Papa, con lui non ci ha fatto una bella figura. Prima ha proceduto con giudizi sommari, poi ha perdonato, ma di quello che è accaduto nella Curia romana non si è capito proprio nulla, come sempre. Si capisce che si sta facendo pulizia, ma non si capisce bene da cosa sì e da cosa no, né si capisce quanto sia, ed è giudicato essere, cristiano dell’attività della Curia.
Trovo che ci sia una consunzione simbolica delle gerarchie ecclesiastiche, di cui le stesse non sono consapevoli. Vedo diffondersi un tipo di sacerdote, e poi vescovo e cardinale, specializzato in gestione, una sorta di dirigente degli effetti sociali del sacro. E me ne allontano, perché quando il cristianesimo si fa troppo pratica sociale, quando il linguaggio dei sacerdoti sul mondo è troppo à la page, io trovo che tutto diventi troppo simile alla politica di cui Gesù come minimo rideva. L’evangelizzazione che si fa largo con i surrogati del welfare è una strada già percorsa, pericolosissima e culturalmente vuota. Tutte le sette del mondo promettono di occuparsi dei propri fedeli dalla culla alla tomba.
La comprensione di Dio da parte di un uomo moderno è diversa da quella storicamente consolidata nella Chiesa. Per esempio: la sovranità universale di Dio è insopportabile per un uomo occidentale. Rappresentare Dio come un essere incomparabile con l’uomo, con una sproporzione tale da porlo sempre di fronte a un bivio drammatico: “O con Dio o con la morte”, è rappresentare Dio come un tiranno.
Continuare a leggere nelle chiese l’antico testamento con ardite forme di attualizzazione di immagini e pratiche della preistoria dell’umanità è un incentivo a non credere. Raccontare ancora come vera la fandonia di Dio che chiede il sacrificio di Isacco per verificare la fede di Abramo è controproducente per un cristiano intelligente.
La chiesa moderna è sempre lieta e sorridente. Non si capisce bene di che cosa rida. Della letizia di Dio? O stiamo parlando della letizia di san Francesco, che era non ridanciana o ottimista, ma semplice, tutta compresa nel suo “pax et bonum”. Poi però, la stessa chiesa, è posta di fronte alla malattia ingiusta dei bambini, al male del potere, ai preti uccisi, ai vescovi sequestrati (come ha fatto quel gran farabutto di Daniel Ortega), alle tante persone infelici che non si placano con una formula stereotipata, e allora non sa più cosa dire. Quando la chiesa si pone di fronte alla realtà infelice della condizione umana, smette di ridere e di raccomandare letizia. E bisognerebbe zittire i predicatori che ancora oggi invitano i malati o gli addolorati ad accettare la volontà di Dio: Dio non ha mai voluto la malattia o la morte di un uomo. Mai! La croce di cui Gesù parla, invitando ciascuno a portarla, è la croce dell’imperfezione umana, che niente ha a che fare col peccato originale (altra insopportabile invenzione). Una volta che la chiesa contemporanea, fatte le debite eccezioni, è privata delle facili formule pedagogiche o degli avanzati metodi catechistici o dell’organizzazione della distribuzione dei viveri, dinanzi all’infelicità umana, al male, al dolore che non risparmia nessuno, scopre di non avere spiegazioni e si arrende a dover indicare Gesù come interlocutore diretto di ciascuno, senza mediazioni, senza orpelli.
Qui sta un punto che la chiesa dovrebbe affermare con nettezza: Gesù non ha spiegato tutto, non ha fatto una lezione sull’origine del mondo, sul suo destino, sulla natura dell’uomo, sulla colpa, sul male e la malattia ecc. ecc.
Gesù si è affermato come via, verità e vita e ha testimoniato di esserlo risorgendo. A me sentire molte prediche che fanno della resurrezione una specie di ideologema gira potentemente le orecchie.
La resurrezione è un fatto storico, prendere o lasciare.
Nei secoli la chiesa ha tentato di capirne di più, facendo spesso confusione tra ciò che aveva detto Lui e ciò che aveva capito Lei, ma la sostanza è che l’annuncio di Gesù è un fatto con pochissime spiegazioni, ma è un fatto che ha preteso da subito di non parlare alle masse, ma ai singoli. Albert Einstein credeva in un dio come architetto del mondo (come tutti i massoni), ma non credeva nel dio personale dei cristiani. Io non sopporterei un dio delle masse, un sovrano con burocrazia annessa. Dio o è personale o non è. Contemporaneamente, è sicuramente riconducibile a Gesù l’obbligo di comunità: se ami Dio devi amare anche il tuo prossimo e in questa relazione Dio si fa capire. Non appena, però, le persone si mettono insieme, il potere germoglia, di necessità, perché serve organizzazione. E io, tragicamente, mi ammoscio. So di dover trovare un equilibrio tra il desiderio mistico e la pratica comunitaria quotidiana, ma fatico, fatico molto, e le voci del mondo mi infastidiscono.
Qui si pone un grande problema: ma la chiesa crede ancora che la parte immortale dell’uomo sia l’anima? Ecco, l’anima non si nutre di socialità, si nutre di un rapporto diretto e misterioso con Dio. Forse io sono malato di spiritualismo, ma noto che mentre si dedica tantissima attenzione al volto sociale del cristianesimo (una volta Becciu si era impancato a parlare persino di strade e di infrastrutture della Sardegna, senza capirne mezza cipolla), non si hanno più parole per le profondità interiori. Si riesce ancora a dire che non siamo per questo mondo? Non siamo di questo mondo? Si riesce ancora a dire che l’uomo non nasce buono, ma può diventarlo (Totò, per svelare la natura umana, diceva che è tipicamente umano ridere di un uomo che inciampa, di una disgrazia altrui)? Si riesce ancora a dire che non sappiamo perché nasciamo imprigionati in un corpo che ci condiziona e che se reagiamo troppo ai suoi condizionamenti, esso ci porta a diaboliche perversioni? Si riesce ancora a dire che non sappiamo perché la natura ci susciti desideri non realizzabili e ci condanni a una vita di eterno desiderio? Si riesce ancora a dire che non sappiamo che senso ha vivere per morire? Ovviamente, so bene che la teologia e il catechismo hanno tutte le risposte, ma io so che sono false, come so che è falsa gran parte della lettura ordinaria dei vangeli. E dunque combatto ogni giorno per tenermi la fede che ho, perché tutto ciò che ho studiato, tutte le verifiche che ho fatto, mi portano a dire che quell’uomo è risorto e che a questo devo stare, fedelmente.
Confesso di aver rinunciato a costruire Dio, ma di averlo accettato.
Il problema più forte della Chiesa è di certo gestionale: amministrando ricchezze si è compromessa, sino a livelli e con persone innominabili. Perciò principalmente non ha credito. Anzi al credente incute paura.
Eppure una riscoperta dei valori fondanti del Vangelo ci aiuterebbe a vivere in modo più giusto. A trovare risposta a tanti dubbi e ansie del nostro tempo.
Bei tempi quelli in cui il pescatore si occupava di pesci e il contadino di terra. Sarà stato forse per questo che a Levi non toccò neanche un pezzetto di terra promessa? ( il Signore è mia parte di eredità e mio calice, nelle sue mani è la mia vita) O sarà stato un modo per spingerlo ad una finanza speculativa? Chissa? Sicuramente ancora oggi il V T ha molto da insegnare, ma serve chi sappia leggerlo, capirlo e spiegarlo. Sempre più spesso si sentono dubbie e fantasiose interpretazioni vetero e neotestamentarie che udite da persone semplici diventano pericolosi scivoloni verso strani sistemi ideologici incentrati su buonismo e condanne apocalittiche. Senza parlare poi di fantasiose new entry come la pastorale del turismo (Dio ce ne scampi e liberi) o cose più classiche come il celibato ecclesistico. Ma non ho dubbi sull importanza della comunità, perché non è vera salvezza quella che si raggiunge da soli.
Credo nella Comunità. Non mi riferisco a quelle persone incontrate a messa che hanno difficoltà persino a salutarsi a vicenda, figuriamoci a riconoscersi in ideali comuni, ma mi riferisco a tutti coloro che nella vita di ogni giorno manifestano nelle parole e nei fatti quel dono che chiamiamo fede e che è partecipazione alla conoscenza intratrinitaria.
E allora se conosciamo non possiamo che essere pieni di gioia e portatori di speranza, specie quando siamo abbastanza umili dal pensare che questo bellissimo dono sia stato dato anche ad altri.
E in tutto questo? Gesù dove lo mettiamo? Lo mettiamo in mezzo a 12 uomini e un pugno di donne, nessun teologo, nessun politico solo persone che cercano lo spirito, che crescono nello spirito e in esso trovano la pace.
Mentre leggevo mi venivano in mente questi versi di una canzone di Mannarino:
“Ooh serenata lacrimosa
OOh sui gradini della chiesa
Ooh ma chi me sente?
Er vescovo c’ha er microfono e io niente
E lui vorrebbe una cosa solamente
Che se seccassero tutte le donne
Che fa’ l’amore fosse un incidente
Che all’alberi cascassero le fronde
E a sentillo pure Dio ce se confonde
O mammà come se fa?
Ce dicono de vive da morti pe poi resuscità…”