La notizia è uscita ieri sull’Unione: il giudice del tribunale civile di Cagliari ha emesso un’ordinanza con la quale ordina il ritiro dal commercio entro 20 giorni del volume intitolato “Bandito. Matteo Boe, il carcere, la vita, la libertà” e condanna la casa editrice e l’autrice alle spese processuali.
Quando presi posizione a difesa del diritto di Matteo Boe (io che non lo conosco e l’ho visto solo due volte, da lontano, nella piccola biblioteca di Lula) a opporsi alla pubblicazione del libro, non poche persone mi contestarono e mi ricordarono che Boe era stato un feroce fuorilegge e che, come tale, non aveva alcun diritto a essere dimenticato, piuttosto doveva essere ricordato e vergognosamente additato. Confermo tutto, ciò che scrissi allora e ciò che scrivo oggi.
Oggi un giudice gli ha dato ragione perché ha ragione: quel libro ha usato pagine da lui scritte in carcere che, una volta libero, aveva deciso di non pubblicare. Il primo punto è questo: quando un uomo ha ragione, non può essere il suo passato a dargli sempre torto.
Il secondo punto è più profondo.
Perché Boe ha cambiato idea?
Lo sa solo lui, ma si può fare uno sforzo di immaginazione.
Ha cambiato idea perché scrivere in carcere senza libertà, anzi dopo vent’anni di carcere duro, è cosa diversa da pensare e vivere da uomini liberi. Cambiano le prospettive.
Quando sei rinchiuso, hai il problema di sopravvivere a te stesso; quando sei libero, hai bisogno di non farti catturare sempre e comunque dal passato. Un uomo libero non vuole pensarsi ogni giorno come un ex detenuto.
Un uomo libero non vuole pensarsi ogni giorno come un ex fuorilegge.
L’unico incontro tra umanità e giustizia sta nella possibilità di ricominciare, di perdonarsi senza menzogne e di essere perdonato senza rancori.
C’è chi ritiene che le vittime siano in qualche modo ristorate dalle pene inflitte ai colpevoli e che queste debbano essere pertanto eterne.
Non è vero.
La vittima non è mai ristorata da nessuno, il male patito gli si inchioda nella pelle per sempre.
Vittima e colpevole o si salvano da sé, con proprie risorse interiori, o non li salva nessuno.
Formalmente le pene e gli indennizzi fanno giustizia, ma non leniscono le ferite interiori.
La strada della giustizia e del perdono è l’unica che riapre interiormente il futuro, ma pochissimi la riconoscono e la percorrono.
Può essere compreso che un uomo non desideri più parlare di sé?
Può essere compreso che voglia parlare di tutto con tutti, ma non di sé?
Può essere compreso che sia saturo del suo dialogo interiore?
Ma c’è un’altra conseguenza dell’ordinanza di ieri.
Mentre Giovanni Tolu cercò Enrico Costa affinché scrivesse la sua storia perché così, divenendo lui un personaggio, il suo racconto gli sopravvivesse, Matteo Boe ha affermato il suo diniego a divenire un personaggio.
In una terra che fa dei banditi gli eroi, un ex fuorilegge ha insegnato a tutti quanto sia truffaldina questa strada. Chissà che sia una catarsi per la cultura pop sarda.
Ora ci sarà chi mi criticherà e io mi terrò tutte le critiche, ma sono molto convinto di ciò che ho scritto, perché sono cristiano.
Non conosco l’uomo che è stato, non conosco l’uomo che è oggi, ma credo nella forza di volontà del riscatto umano, ed ho visto da vicino, come figlia, gli effetti devastanti della feroce ipocrisia giudicante che una società “civile” riserva ad una persona che ha scontato tutta la sua pena, senza sconti ( e per di più malata ), sulla vita e sulla dignità dell’ex detenuto, per il resto della sua esistenza. Non ne faccio un discorso di “entità del reato”, dico soltanto che, benché consapevoli dell’errore commesso e volenteroso di dimostrarlo, un uomo (inteso come essere umano), può essere il bersaglio dei presunti incolpevoli ( di cui non conosciamo gli scheletri custoditi gelosamente nell’armadio, soltanto perché non sono mai finito sotto processo penale),per il resto della propria esistenza. A mio parere, c’è da riflettere…… Per il bene di tutti noi……
Ma soprattutto il libro è una cag….. pazzesca e il buon Matteo Boe si è vergognato per l’autrice.
Da Lulese e da amica di gioventù di Matteo concordo pienamente. Noi abbiamo un detto “ chi L hai fattu Lu prangata” e lui ha pagato a caro prezzo. È ora di lasciarlo in pace.
Da quello che si legge. sarebbe meglio avere in mano l’intera ordinanza, il motivo per cui il Giudice (sez specializzata delle imprese a cui il Tribunale di Nuoro aveva rimesso la causa) ha ritenuto di dover accogliere la richiesta, sembrerebbe discendere esclusivamente dal fatto che nel caso in esame il Sig. Boe è stato inidividuato come coautore e non semplice intervistato. Riporto dall’articolo dell’Unione Sarda “Ma analizzate tutte le carte, il giudice ha chiarito che «la posizione del Boe, in relazione allo stesso congegno letterario del romanzo, non possa affatto essere assimilata a quella di un “mero intervistato”, come pretenderebbero le parti resistenti, dovendo invece riconoscersi al ricorrente la veste di vero e proprio co-autore». Da qui, poi, la decisione sul blocco delle vendite del libro.”
Quindi mi pare che il Magistrato non gli abbia dato ragione in relazione al suo diritto all’oblio ma esclusivamente per circostanze che attengono alla disciplina del diritto di impresa.
Fatta questa dovuta precisazione io sono uno di quelli che aveva criticato l’articolo precedente. Su questo mi limito a dire che alle domande poste (Può essere compreso che un uomo non desideri più parlare di sé?
Può essere compreso che voglia parlare di tutto con tutti, ma non di sé?
Può essere compreso che sia saturo del suo dialogo interiore?) si può anche dare una risposta affermativa in quanto riguardano l’uomo. Ma, a mio parere, nessuno ha il diritto a far si che i fatti da lui commessi, quando così pesantemente hanno inciso sulla vita altrui, siano dimenticati e cancellati dalla memoria di un popolo o che non se ne debba più parlare. Quelli restano, resteranno e sempre dovranno restare. Non per creare miti ma per evitare che si ripetano.
…ad un certo punto esiste pure il diritto all’oblio … Concordo Paolo !
Pàulu, as fatu bene tue.
Grazie Paolo per questa lucida riflessione. Da alcuni anni con la nostra cooperativa cerchiamo di comunicare queste convinzioni, che hanno consentito a diversi detenuti di guardare al futuro senza i condizionamenti di un passato ingombrante. Essi hanno accolto e portato avanti progetti di giustizia riparativa, che hanno creato in loro nuovi motivi di vita e di speranza. Gli incontri con le vittime di reati sono stati duri ma anche liberanti. Il momento più difficile è l’incontro con la società civile, che è parte essenziale della giustizia riparativa. Ma, come dici tu, si raccolgono più critiche che consensi. Ci guida la convinzioni di essere sulla strada giusta.
Pienamente d’accordo su tutta la linea.