Ho atteso qualche giorno per consentire ai quotidiani sardi, voraci divulgatori di gossip giudiziario ma pigrissimi divulgatori di giustizia, di rimediare a una gravissima svista.
Ieri si è conclusa a Roma la Seconda Assemblea Nazionale di Area Democratica per la Giustizia, una delle componenti di sinistra dell’Associazione Nazionale Magistrati. L’unica componente che negli anni passati aveva denunciato che qualcosa non andava nelle nomine ai vertici delle Procure e dei tribunali. L’unica componente non coinvolta nella tempesta che ha investito il Consiglio Superiore della Magistratura e che vede oggi silente anche Piercamillo Davigo, quello che disse «non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove», forse perché Davigo faceva parte della Commissione incarichi direttivi il cui operato è oggi sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Perugia.
Area Democratica per la Giustizia è dunque l’unica ‘corrente’ della Magistratura italiana non solo non coinvolta nella tempesta attuale, ma anche da tempo critica proprio sui ‘criteri’ delle nomine nei tribunali e nelle procure d’Italia. Questa articolazione della magistratura italiana ha avuto per tre anni il magistrato cagliaritano Cristina Ornano come segretario nazionale.
La sua relazione di apertura della Seconda Assemblea Nazionale di Area DG è il più impietoso atto d’accusa della magistratura italiana mai fatto da un magistrato. Si va oltre le parole più dure pronunciate da Falcone, tra i denti, e da Borsellino, fuori dai denti.
È uno scorcio d’Italia fatta da un magistrato sardo, del cui discorso nessuno in Sardegna ha parlato, segno evidente della lontananza di questo magistrato (non tutti possono dire la stessa cosa) dalla piccola mondanità della Sardegna, quella dove si incontrano, esattamente come nel quadro dell’indagine della Procura di Perugia, la politica, il giornalismo, le forze dell’ordine, la politica.
Leggete la sua relazione: è una lezione di dignità e di coraggio, di consapevolezza del ruolo della giustizia, di difesa della sovranità della legge, di allarme sui sistemi elettevi maggioritari anziché proporzionali.
Leggete la denuncia, esplicita, ferma, eppure per nulla astiosa, del sistema di ‘scambio’ che inevitabilmente interviene quando i criteri di nomina dei capi delle Procure sono fumosi e consentono che si scelga sulla base di accordi tra le parti anziché sul merito.
Questo magistrato, e non altri, (non quelli che consentono a loro sottoposti, assolutamente non all’altezza dei loro poteri, di costruire teoremi e distruggere – in senso letterale – le esistenze delle persone per anni, fino a sfinirle biologicamente, sulla base di quadri probatori non solo incerti, ma anche machiavellicamente alterati; non quelli che in nome dell’area di mezzo delle città sarde, del confine sul quale si incontrano magistrati, politici, imprenditori, professori ecc. ecc., da un lato perseguitano chi si dimentica colposamente un adempimento e dall’altro garantiscono l’impunità, in nome della comune appartenenza all’area di mezzo, a chi non rispetta i doveri previsti dalla legge), merita di essere destinatario di qualche domanda.
Signor Giudice, in nome della sua onestà, lei direbbe che i procuratori nominati in Sardegna nel corso degli anni, lo sono stati in nome del loro merito, del loro curriculum, delle loro capacità e non della loro appartenenza a questo o a quel circuito?
Come risponde, questo o quel circuito, all’area politica che le è o le è stata contigua?
Nel disastro amministrativo in cui versa la Giustizia, la magistratura frutto degli accordi e non dei meriti dà ragione, oppure no, al nuovo genere di avvocati che si sta affermando, che negozia con Procure e giudici piuttosto che difendere gli assistiti in base alla legge? Quanto conta la legge e quanto contano le relazioni?
Come deve vivere chi, difendendo la propria libertà, è obiettivo costante di magistrati specializzati in errori clamorosi, severamente smentiti dai tribunali del riesame, che chiedono gli arresti sulla base di interpretazioni e non di accertamenti, che vanno sempre d’intesa con Gip che manco si leggono le carte fino a ripetere nei loro atti gli errori più smaccati compiuti dalla Polizia Giudiziaria, e difendendosi, vede comunque tutti i giorni quei magistrati rimanere ai propri posti, senza limiti di utilizzo né di risorse finanziarie né di risorse umane, senza censure di alcun genere, e li osserva proseguire nello svolgimento arbitraio di un potere immenso, ossessionati dall’idea di confermare se stessi – il narcisismo dell’inquisitore è una patologia silente per chi ne patisce, mortale per chi la subisce – attraverso almeno una esecuzione pubblica di un personaggio illustre, anche se illustre solo nel paesino o nel quartiere?
Come è possibile che se un politico riceve un imprenditore nel suo ufficio o in un luogo pubblico o all’aperto in un parco è immediatamente sospettato di disonestà, e invece se un magistrato frequenta specifici ambienti politici, specifici ambienti culturali, specifiche case e cene, mimandone nei propri atti ideologemi e lessico, non è sospettabile di parzialità?
Perché se un Direttore di Dipartimento Universitario – al netto dell’isola libera e felice dell’Università di Sassari che non lo fa perché gli è permesso, non si sa da chi, di non farlo – fa qualche lezione in un corso di formazione di un ente privato o pubblico, vede l’importo percepito pubblicato in rete con la sua denuncia dei redditi, e invece un magistrato che faccia la stessa cosa è coperto dal riserbo più assoluto?
Perché la legge, giustamente, prevede che chi ricopra o abbia ricoperto incarichi pubblici debba pubblicare per tutto il periodo dell’incarico e, mi pare, per il triennio successivo, il suo stato patrimoniale e invece quest’obbligo non è richiesto per i magistrati, o almeno per quelli che passano nei tribunali fallimentari?
Perché tutti gli atti della Pubblica Amministrazione sono ormai on line, e invece quelli della giustizia – sentenze soprattutto – uno sì, dieci no, quattro sì, cento no?
Ovviamente sono domande retoriche, perché il giudice Ornano non ha alcun obbligo né dovere di rispondere. Ma a me premeva dire a chi segue ciò che scrivo che c’è almeno un giudice in Sardegna con il quale varrebbe la pena discutere apertamente. Questo giudice sardo, che ha il coraggio di squarciare il mondo di mezzo, lo meriterebbe.