Una delle caratteristiche dell’informazione, anche in epoca digitale, è che ha andamento quotidiano. È come se al finire della giornata, si giri pagina e si inizi un nuovo racconto, senza quasi tener conto del precedente.
Oggi entrambi i quotidiani si occupano della finanziaria regionale approvata, della quale però non è ancora disponibile il testo approvato. L’Unione si dichiara certa che lo stadio si farà a Sant’Elia, ma l’emendamento che lo riguarda non lo dice in alcun modo. La certezza è che per tutto – stadio, casa dello Studente, nuovo ospedale ecc. – sono stati stanziati 50 milioni. Un po’ pochi, a mio avviso, per fare tutte queste cose, ma comunque implementabili con altre risorse statali e europee. Inoltre, per il 2023, le risorse ammontano solo a 3 milioni. Insomma un po’ poco e troppo dilazionato nel tempo per inneggiare a una grande stagione di opere pubbliche a Cagliari da farsi in questi anni.
Nel frattempo escono dal radar informativo le inchieste (dell’Unione e di Sardiniapost) sulla qualità dell’utilizzo delle somme stanziate per la Fondazione Mont’e Prama e per il centenario della Deledda. Sotto il profilo della teoria dell’informazione bisogna registrare un punto a favore di Muroni e dell’assessore Chessa, i quali hanno reagito con durezza alle inchieste, riuscendo a inibire i due organi di informazione.
Il punto però resta: i soldi sono stati spesi male, hanno avuto in misura rilevante comuni beneficiari, sono stati gestiti prevalentemente con l’istituto dell’assegnazione sotto soglia (cosa che coinvolge i dirigenti che hanno scritto decine di determinazioni di impegno e di pagamento), e nel frattempo il sito di Mont’e Prama è ancora sotto l’egemonia ingessante della Sovrintendenza archeologica (che non fa e non fa fare) e continua ad essere una risorse sprecata, sconosciuta, sciupata e mal tutelata. Personalmente sono sicuro che fra vent’anni ci sarà qualche mio collega che scriverà che Mont’e Prama è stato un esempio di disastro archeologico.
Comunque, se si fanno inchieste giornalistiche con buona coscienza, o si tiene il punto e si va a fondo o si è sospettabili di farle per questioni personali e allora risulterebbero latamente puzzolenti, esattamente come quelle fatte a suo tempo da altri direttori di giornale.
Mentre ieri nel web impazzava la performance dell’assessore Chessa, che dava del malato a Massimo Zedda in assenza di altri argomenti (e, anche in questo caso, le ragioni del livore assessoriale sono nascoste dietro la sua cacciata dalla Giunta Zedda nel 2018, rottura che frantumò il rapporto idilliaco della Sinistra con i sardisti voluto fortemente da Renato Soru, contro il Partito dei Sardi, in uno dei suoi tanti errori solitari), si è diffusa a Cagliari la notizia, rivelatasi falsa, di uno sciame di perquisizioni in case private anche di consiglieri regionali.
Qui sta un punto scivoloso dell’attuale situazione politica. Bisogna riconoscere che le azioni del Palazzo di Giustizia sono oggi molto meno esposte alle curiosità mediatiche. In altri tempi, filtravano sapientemente alcune notizie e altre no, in modo da condizionare con questo stillicidio informativo la vita pubblica.
Oggi non è più così; le indagini sono molto protette, i pm, soprattutto quelli giovani, amano poco o nulla la vetrina, per cui nessuno riesce più a usare (o a farsi usare) dalla giustizia (e dalle sue convinzioni politiche) per dar sfogo alle proprie simpatie o ai propri odi.
Tuttavia, l’aria è brutta.
Si sente che tutti i protagonisti della vita pubblica sarda sanno che questa legislatura è stata caratterizzata da miratissimi stanziamenti (rilevabili per legge) e da oculatissime spese per cose marginali (giacché le spese grosse non sono state fatte, visto che ogni anno, per tre anni, la Regione ha avuto un avanzo di amministrazione tale da azzerare il debito). La Giunta Solinas ha fatto grande politica a chiacchiere e tutta fallimentare (la continuità territoriale fallita e mancata, il tubone del gas, la sanità dei fallimenti e delle mascherine anti-covid pagate il triplo ecc. ecc.), ma ne ha fatto tantissima minuta e tutta efficientissima, cioè tutta liquidata: le somme alla tale associazione, il tale evento finanziato, gli ombrelloni privatizzati ecc. ecc. Da tempo si sente dire che questa mensa delle elemosine amicali è stata infiltrata e penetrata dalle forze dell’ordine e che a Palazzo sappiano tutto delle merendine distribuite da questa amministrazione, delle società farlocche dove si celano forme di finanziamento di parti politiche, e delle società vere (poche) che hanno svolto reali attività in regime di predilezione, ma si sente anche dire che non si vuole agire fino a che non si è chiuso il cerchio movente- attore-denaro-destinatario. Siamo a Sin City in attesa della retata.
Ecco, questa non è una bella aria politica. È un pantano, uno stagno, rispetto al quale l’unica soluzione è accendere onestamente la luce e mettere fine ad alcuni costumi amministrativi e politici che sono anacronistici e nocivi. Non c’è bisogno degli sceriffi per fare pulizia. Basta buona coscienza e buona volontà. Ci si riuscirà? Ho dei dubbi, perché sono costumi che piacciono a molti sardi, li trovano coerenti con un’antropologia che fraintende l’amicizia con la complicità e che ama lo spirito tribale, quell’unità quasi di sangue che non chiede le ragioni della battaglia ma solo che si combatta insieme per il bottino comune. Come sempre, i Sardi sono gli artefici delle loro pene.
“Comunque, se si fanno inchieste giornalistiche con buona coscienza, o si tiene il punto e si va a fondo o si è sospettabili di farle per questioni personali e allora risulterebbero latamente puzzolenti, esattamente come quelle fatte a suo tempo da altri direttori di giornale.”
Fermo restando il principio che, in caso di puzzette effettuate dentro un ascensore, la colpa è di chi fa la puzzetta (colto sul fatto, magari) e non di chi prende l’ascensore dopo il profumiere, indipendentemente dalla simpatia o antipatia fra i due.