Il Patto per la Sardegna spiegato da un sardo
di Paolo Maninchedda
Succede sempre così quando si svolge una cerimonia alla presenza delle più alte cariche dello Stato italiano: scoppia un po’ di casino concettuale.
Oggi i giornali sono pieni di cifre, a tal punto che sembrerebbe esserci l’imbarazzo di come spendere tutte queste risorse. Tanti fuochi d’artificio che stanno nascondendo il successo politico che sta alla base del Patto: la Regione non finanzia più lo Stato.
Primo successo: la continuità territoriale aerea (120 milioni in tre anni) torna ad essere a carico dello Stato italiano. Io, da indipendentista resto dell’idea che se disponessimo dei poteri sovrani faremmo molto meglio, ma bisogna riconoscere che, finché la Sardegna sta dentro la Repubblica italiana, la continuità deve stare a carico dello Stato, non dei sardi.
Secondo successo: il costo del recupero del gap energetico (400 milioni) è a carico dello Stato. Il metano arriverà nell’isola su risorse statali, non regionali;
Terzo successo: l’aggiornamento tecnologico della rete ferroviaria è a carico dello Stato: 225 milioni sul Contratto di Programma RFI;
Quarto successo: le strade statali si faranno prevalentemente con i soldi dell’Anas (400 milioni), non con quelli della Regione;
Adesso inizia una corsa a ostacoli fatta di delibere Cipe (con annessi pre-Cipe, ossia risse istituzionali senza verbale), di registrazione alla Corte dei Conti (che come è noto è velocissima), di progetti esecutivi, di Valutazioni di Impatto ambientale ecc. Dovremo lavorare molto, ma il risultato di ieri è molto importante. I rischi sono tanti, primo fra tutti che gli italiani seguano la loro indole e non rispettino i patti; il secondo rischio è che si lasci questo successo in eredità ai futuri governi della Regione e non si possa goderne adeguatamente oggi, e ciò perché gli italiani potrebbero essere tentati di rateizzarlo in vent’anni. Per cui, fine della festa, lavoriamo.