Quando si convoca il popolo?
di Paolo Maninchedda
Mentre ieri ero impegnato, come ormai da giorni, a consultare avvocati sulla complessità della mia vita amministrativa di Assessore – l’unico senza polizza assicurativa per protesta contro i nuovi Dracula – nella Repubblica italiana (è un’attività non scritta ma che occupa molto tempo ed è titolata dai dirigenti regionali “ad culum parandum”); mentre dunque ero impegnato anche a ingoiare veleno e a mantenere la calma, in Consiglio tornava la politica con la P maiuscola.
Ieri Franco Sabatini e il nostro Gianfranco Congiu hanno discusso duramente su un tema: per che cosa si convoca il popolo?
(…)
Quando sono venuti a chiedermi se sarò candidato alla presidenza della Regione (alla scadenza di questa legislatura) io ho sempre risposto che non ero interessato a candidature in un quadro politico ordinario, cioè con le frontiere tra i partiti (e nella società) della vecchia cultura politica italiana, con le stesse immarcescibili strutture organizzative dei partiti, ma soprattutto ho sempre detto che non avrei mai accettato una candidatura che non avesse due caratteristiche: un obiettivo nazionale sardo di profondissimo e durissimo cambiamento dell’organizzazione dei poteri sardi e dei diritti e dei doveri della Sardegna; una strategia di mobilitazione nazionale della società sarda permanente per la conquista della nostra felicità civile. La strada è quella di Gandhi: autodisciplina, competenza, capacità e tanta mobilitazione. Non si diventa uno Stato senza fatica.