Sacrificarsi per essere credibili e salvare la Sardegna
di Paolo Maninchedda
A leggere il profluvio di commenti sui dati elettorali ci si perde e, soprattutto, si perde tempo.
Un dato è certo: l’italiano medio è stato educato da qualche decennio di commercializzazione dell’opinione pubblica a votare per esprimere ciò che non vuole, non ciò che vuole.
Poi accade che questa educazione alla contrarietà prima di tutto, a dire che ciò che fanno gli altri è sempre disastroso e che comunque è sempre colpa di qualcuno produca una grande solitudine e il progressivo abbandono dell’impegno civile. Non a caso in Italia ha votato solo il 46% degli elettori e in Sardegna il 42%.
Bisognerebbe insegnare nelle scuole che una persona in Sardegna decide per due perché l’altra rinuncia. E il bello è che il rinunciatario non conosce chi decide per lui. (…)
Il tema del clientelismo è per noi rilevante, perché se esiste, si svela in campagna elettorale.
Bene, noi del Partito dei Sardi, in tutte le campagne elettorali siamo cresciuti lentamente, non abbiamo avuto picchi, non abbiamo avuto campioni di preferenze, e quando abbiamo avuto degli exploit personali, li abbiamo avuti con persone prive di cariche e di potere, cioè impossibilitate a esercitare qualsiasi tipo di clientela.
A Oristano, in particolare, noi non siamo stati un partito campione di preferenze, altri sì; noi siamo stati una parte politica che ha tenuto il punto della sua convinzione: non ci si doveva presentare con una pretesa egemonica all’elettorato oristanese.
Non solo. Noi, che riteniamo urgente l’apertura di un conflitto pacifico e regolato con lo Stato italiano, ma pur sempre di un conflitto politico parliamo, non abbiamo esteso all’attività amministrativa del governo della Regione questa posizione, e abbiamo consentito che l’approfondimento sulle nostre posizioni non bloccasse l’attività della Giunta.
A Sassari una crisi nata sul sindaco è stata socializzata sulla coalizione. Ma a leggere le motivazioni delle dimissioni dei tre assessori sassaresi, la crisi era prima, e resta oggi, chiaramente incardinata sul primo cittadino. Invece si è scelto di farla divenire virale ed estesa a tutto il corpo della coalizione. Una crisi di palazzo è divenuta una crisi che corre sui marciapiedi della città. È questo il modo di sacrificarsi per la propria gente?