di Paolo Maninchedda
Il 2 luglio il Consiglio Comunale di Cagliari mi ha invitato a parlare di Case popolari, in altre parole, di Edilizia Residenziale Pubblica. Ho tentennato, poi ho deciso di andarci, perché ho lavorato così tanto in questi mesi per Cagliari che è opportuno un confronto sui fascicoli aperti.
Tuttavia, il problema delle case per i ceti meno abbienti è molto più importante di quel che sembri e si intreccia con la questione del credito.
Noi in Sardegna da una parte abbiamo la legge per il mutuo della prima casa, dall’altra investiamo ingenti somme nell’Edilizia Residenziale Pubblica. Eppure il problema del diritto alla casa resta irrisolto. Perché?
Perchè Area (ex Iacp) non ha realizzato i suoi programmi (più di cento milioni di euro fermi nelle casse dell’Agenzia regionale, ragione per cui ho chiesto chiarimenti in questi mesi e mi accingo a fare una proposta severa in Giunta). Ma anche perché le banche danno i soldi senza criterio.
Mi è capitato di leggere il rapporto della Banca d’Italia sul Banco di Sardegna del giugno 2012, nel quale si può leggere una censura dell’allora Consiglio di Amministrazione per aver prestato denaro a determinati costruttori a tassi inferiori di quelli praticati ai cittadini per la prima casa.
Questa lettura è stata illuminante ed è un peccato che il rapporto non sia divenuto pubblico. Il credito non è un fatto asettico: il credito è politica, nel credito si riflettono importanti alleanze politiche e sociali. È paradossale che la Regione debba ammazzarsi in regime di Patto di stabilità per fare uscire i soldi per le case popolari e le banche, disponibili a prestare denaro a tasso irrisorio ai ricchi, non siano disponbili a fare altrettanto, che so io, con i comuni per realizzare Edilizia Residenziale Pubblica.
La Sardegna specializzata nel ricavare rendite parassitarie dalla competizione per le risorse pubbliche deve essere portata in evidenza.