Nella giornata storica della formazione della Giunta dei “signori” rispetto alla tanta vituperata Giunta dei “professori” (che però, con tutta la sua puzzetta sotto il naso non ha carichi pendenti né ha lasciato buchi di bilancio), mi dedico (dopo aver sorriso tanto leggendo alcuni curricula istituzionali) all’Università di Sassari, dopo aver ricevuto più di una telefonata per dirmi che, nell’ordine, mi sono sbagliato a chiedere in generale:
1) come si faccia a pagare le tasse universitarie dopo otto anni dall’ultimo versamento, in ritardo dopo la scadenza indicata dal regolamento, e a non decadere;
2) come si faccia a registrare gli esami non dico dopo un anno, o due anni, o tre anni, o, concediamoci tutto, cinque anni, ma addirittura dopo dieci anni;
3) come si faccia a vivere per la verità e la scienza e a rendere inconsultabili e illegibili e inverificabili i prodotti dell’attività dello spirito (come diceva Gentile, tanto amato nell’Ateneo sassarese). Domande impertinenti.
Va bene. Mi rassegno al muro di gomma. Non è vero, non mi rassegno.
Poi però scopro che non sono solo nel chiedere che si accenda un po’ di più la luce sulla complessa vita universitaria.
Trovo in rete questo comunicato del Comitato Nazionale Universitario, un sindacato dei docenti, che lamenta/denuncia l’assenza di risposte del Rettore di Sassari a una loro nota, tutt’altro che banale in materia di trasparenza delle decisioni.
Poi trovo questo delicatissimo ma fermo documento del Comitato di Garanzia dell’Università di Sassari, che non è un sindacato ma un organo d’Ateneo, che chiede conto del perché un documento sindacale non sia stato diffuso a tutto il personale. Banalità? Certo, dipende dai punti di vista, ma, banalità per banalità, è un sintomo di fastidio rispetto ad un’illuminazione troppo intensa (non che a Cagliari si usino le lampade a led, sia chiaro, anzi, viviamo in interpretazioni tragicomiche e eterodosse delle norme sulla privacy non sulle persone, che sono sacrosante, ma sulle riunioni degli organi collegiali…..) sulla gestione dell’Università.
Infine una precisazione: lascio immaginare ai lettori le pressioni, dirette e indirette cui sono sottoposto in questi giorni, e fornisco la sola risposta a tutte le domande che sono sintetizzabili più o meno in queste: “Chi te lo fa fare?”; seguita immancabilmente dalle seguenti affermazioni: “Guarda che nessuno è perfetto, neanche tu” (e figuriamoci se non lo so io che mi sopporto da quasi sessant’anni); “Guarda che te la fanno pagare” (già fatto, ormai da quattro anni, in corso di svolgimento perpetuo); “Guarda che Tizio è amico di Caio che se vuole ti fa male” (ancora? Anche ieri mi hanno fatto male, ma sono rimasto vivo).
La risposta, dicevo, è la seguente: o mi sacrifico perché qualcosa cambi in profondità, non nel senso che tutti diventiamo puri, immacolati e perfetti, che è impossibile e forse ingiusto oltre che noioso, ma almeno che possiamo tutti migliorare, fare passi in avanti, compierci meglio come persone, oppure non trovo un senso per la vita pubblica ma solo per quella spirituale. La quale però, maledizione, non lascia nessuno tranquillo e ti rimanda sempre a un’esigenza di giustizia che rende la vita gustosa e insopportabile.