di Paolo Maninchedda
Giudicate voi questa vicenda.
Il 22 ottobre 2008 Capoterra subisce una drammatica alluvione che costa la vita a sei persone.
Io divento Assessore ai Lavori Pubblici (e lo divento mio malgrado, giacché nessuno voleva i Lavori Pubblici perché avevano in ‘pancia’ Abbanoa, allora sotto giudizio del tribunale fallimentare. Preciso per la storia che le rivendicazioni del Partito dei Sardi erano gli assessorati della Cultura o delle Riforme) nel marzo del 2014.
Nel 2014, sei anni dopo gli eventi, non era stata mossa neanche una pietra, non solo a Capoterra, ma neanche a Villagrande e a Olbia.
Oggi, a tre anni dalla data del mio incarico, i lavori sulla foce del rio San Girolamo sono conclusi.
I ponti Anas sul rio san Girolamo sono in Valutazione di impatto ambientale, il ponte di Poggio dei Pini è pronto ad andare in gara per la progettazione definitiva, il canale di guardia a monte è imbrigliato nel solito contenzioso giudiziario.
I lavori a Villagrande hanno come soggetto attuatore il Comune; così pure a Olbia.
I lavori a Villagrande sono pressoché conclusi.
Il Commissario per l’emergenza idrogeologica è il Presidente Pigliaru. Il soggetto attuatore sono io. Sia il Presidente che io siamo schiacciati da responsabilità enormi tra cui quella che ci obbliga a sostituirci alle pubbliche amministrazioni che si dovessero mostrare inerti rispetto all’iter burocratico per la messa in sicurezza delle popolazioni.
Sul Ponte di Poggio dei Pini mi sono trovato in questa situazione.
È obbligatorio prevedere in quella posizione un ponte e non un guado. Non lo dico io, lo dicono i tecnici.
Gli uffici hanno predisposto un concorso di idee per la redazione di un progetto preliminare. Alla gara hanno partecipato tre studi professionali. Il progetto risultato vincitore da una procedura a me totalmente estranea, perché per legge è nell’esclusiva competenza dei dirigenti regionali, è stato quello redatto da uno studio professionale di Macomer, la qual cosa ha generato insinuazioni di bassissima lega, formulate sempre in modo tale da non consentirmi mai di adire alle vie legali.
Si è proceduto alla convocazione della Conferenza di servizi e si è commesso un errore formale, eccepito dalla sovrintendenza. Si è dunque riconvocata la Conferenza di servizi in modo corretto. In quella sede sia la Sovrintendenza che il Distretto idrografico hanno depositato delle prescrizioni. Quelle del distretto, relative al ‘franco idraulico’ del ponte, hanno comportato la modifica del progetto preliminare, quelle della sovrintendenza sono prescrittive per la redazione del progetto definitivo.
Nella Conferenza dei servizi il Comune si è pronunciato contro il ponte e per il guado ed ha proposto un percorso alternativo che insiste su due ponti comunali che il Genio Civile ha comunicato non rispondere ai requisiti di legge, per cui la pratica è stata segnalata in Procura.
Nel frattempo si sono svolte assemblee di cittadini in cui si è detto di tutto fuorché che si tratta di un progetto preliminare, con prescrizioni accolte della Sovrintendenza, che deve ancora andare alla Valutazione di impatto ambientale e quindi ha tutte le caratteristiche di un progetto che può essere adattato oltre che alle esigenze tecniche anche a quelle estetiche che legittimamente una comunità ritiene di dover realizzare.
Evidentemente la ragionevolezza ha cominciato a farsi strada e rappresentanti della Cooperativa di Poggio dei Pini hanno chiesto di essere ricevuti per capire come stessero realmente le cose, iniziando un percorso di coinvolgimento che non era mai stato escluso, al contrario, era stato previsto.
La Giunta comunale di Capoterra recentemente ha assunto una delibera con cui ha corretto la sua originaria posizione contraria la ponte e favorevole al guado. Si è dunque dichiarata per il ponte, ma ha manifestato la sua contrarietà ad aspetti estetici del progetto preliminare.
Io e gli uffici abbiamo dato corso alla normale procedura che vede i Comuni come soggetti attuatori degli interventi nel loro tessuto urbano. Non si trattava più di intervenire nella foce di un fiume o su una diga o su altro, ma all’interno del tessuto urbano della città, nel quale deve intervenire chi i cittadini hanno scelto per amministrare il loro territorio.
L’Unione Sarda, con un titolo vergognoso e vergognosamente fazioso, chiama ‘scaricabarile’ questa volontà della Regione di non prevaricare le competenze proprie del Comune e di richiamare il Comune all’esercizio congiunto delle reciproche responsabilità? Chi sta scappando dal proprio ruolo? Il Comune, che evita oculatamente il confronto con i suoi cittadini, o la Regione? L’Unione Sarda, il giornale di Cagliari che ambisce ad essere il giornale che difende la Sardegna, dà dello scaricabarile a chi è da solo di fronte al rischio idrogeologico e di fronte al rischio giudiziario che questa responsabilità comporta? Dà dello scaricabarile a chi, unico caso nella storia autonomistica, pur di dar corso alle pratiche di riduzione del rischio idrogeologico è arrivato a dar corso all’istituto dell’avvalimento del personale comunale, pur di costringerlo a muoversi? Dà dello scaricabarile a chi pur di far andare avanti i lavori, si è bevuto in silenzio barili di fango per mesi senza potersi difendere da insinuazioni di bassa lega? L’Unione Sarda oggi fa una cosa indegna, vergognosa, irresponsabile.