Sono intervenuto in questo spazio altre volte, per condividere preoccupazioni ed esprimere speranza. Oggi vorrei sviluppare un ragionamento.
Nel 26° rapporto CRENoS (maggio 2019), a pagina 14, troviamo uno specchietto informativo sintetico e illuminante. Descrive efficacemente e, a mio avviso impietosamente, la realtà sarda.
1.648.176 residenti, 68 abitanti per kmq, media età 46,4 anni, 10.142 nati vivi, 16.773 morti, 203 anziani ogni 100 giovani. PIL 31,3 miliardi di euro, 19.000 per abitante, tra le 281 regioni europee è la 214 esima. 143 mila imprese circa, 97% con meno di 10 addetti. I settori di attività sono articolati in: 26,4 % commercio, 24% agricoltura, 19,5% altri servizi, 13,7% edilizia, 8,8% ristoranti e hotel, 7,5% industria. Un export di 5,74 miliardi euro di cui 83% prodotti petroliferi; 4,8 prodotti chimici; 1,6 armi; 1,6 prodotti lattiero/caseari.
Questi dati, anche se limitati (CRENoS nel rapporto fornisce molti altri elementi di valutazione) già ci raccontano una situazione difficile, non solo statica ma, addirittura, regressiva. La Sardegna è isola, collegata in modo insufficiente ed oneroso con il resto del continente europeo, soffre, pertanto, di oggettivi impedimenti alla libera circolazione delle persone e delle merci, allo scambio culturale, allo sviluppo economico, alla crescita sociale e civile. Rimane territorio vasto e aspro, scarsamente popolato e in via di spopolamento, privato di una chiara funzione economica e di una adeguata missione politica.
Se ragionassimo su questo, come popolo, conservando un approccio di merito e non attivando pregiudizialmente uno scontro a difesa di interessi particolari e/o di posizioni politiche strumentali, forse, potremo vincere l’arretratezza strutturale nella quale sopravviviamo, e organizzare lo sviluppo armonico dell’insieme della società sarda.
Partiamo dal presente e poi proviamo a guardare verso il futuro. Da tempo, (diversi anni), propongo un approccio progressista, la costruzione di un percorso che partendo dalla qualità e dalla dimensione dei problemi da affrontare, trovi soluzioni. Perché mi pare improponibile osservare l’oggi con gli occhi rivolti al passato, tanto più se pretendiamo di estendere lo sguardo al domani.
Le trasformazioni in atto sono tantissime e tutte accelerate. Insisto, quindi, sulla necessità di acquisire piena consapevolezza della nostra condizione. Serve sapere da dove si parte e dove si deve arrivare, per tracciare un tragitto.
Faccio alcune considerazioni generali che mi aiutano a sviluppare il ragionamento.
Viviamo in un mondo nel quale – ci racconta Zygmunt Bauman – «si chiede agli uomini di cercare soluzioni private a problemi di origine sociale, anziché soluzioni di origine sociale a problemi privati». Ovvero il capovolgimento delle corrette procedure che invitano a partire dall’analisi dei singoli episodi, valutare la loro natura e portata, e accertata la rilevanza sociale, a promuovere le necessarie azioni di governo. Il motore della nostra epoca – quella della trattazione industriale delle informazioni (vere o false) e delle intelligenze artificiali, è l’egoismo, piuttosto che il bene comune. Quella diffusa cultura accumulatrice a soddisfazione della propria personale ingordigia. Quella condizione che produce insostenibili disuguaglianze (succede che 26 individui possano avere la ricchezza della metà più povera del pianeta – 3.8 miliardi di persone). Dinamiche simili si ripropongono nelle realtà minori, anche se in proporzioni differenti.
Sbarchiamo nuovamente in Sardegna.
Lo dice CRENoS, noi siamo un’isola piccola e chiusa. Assoggettata naturalmente al controllo di interessi concentrati, ovvero a quegli egoismi e patrimoni che meglio si difendono contrastando innovazione e sviluppo, mantenendo le cose come stanno. La crescita demografica, attraverso un contenimento progressivo e deciso dell’emigrazione – soprattutto giovanile e intellettuale – e lo sviluppo di capacità attrattive per nuova residenzialità dei nostri territori, un sistema efficiente di collegamenti e di trasporti, anche interni, ovvero la piena integrazione dell’isola con le reti europee della produzione, delle comunicazioni e degli scambi culturali e commerciali, sono oggettivamente un pericolo per la “conservazione”. La difesa dell’ambiente e del paesaggio, il risanamento degli ambiti territoriali compromessi dall’inquinamento, la tutela dei beni culturali unitamente alla ricerca e sperimentazione di modalità produttive e approvvigionamento energetico ecosostenibili destrutturano il sistema degli approcci tradizionali e costringono all’investimento. Sono, perciò, un pericolo per la “conservazione”. E quindi per quelli interessi particolari profondamente radicati.
La dispersione scolastica, una istruzione e formazione insufficiente, il permanere di fenomeni di analfabetismo, sono funzionali alla “conservazione”. La povertà delle persone nelle periferie urbane e rurali, che attraversa più generazioni negli stessi gruppi familiari, è utile alla “conservazione”. “Conservazione” sono le burocrazie asservite e opportuniste, le procedure farraginose ricolme di inutili formalismi che ostacolano l’accesso ai servizi, la prepotenza del potere pubblico degenerato e autoritario che viola i diritti del cittadino, la mancanza di trasparenza e gli atteggiamenti vendicativi verso chi la pretende. Dai tempi delle violenze colonialistiche a oggi, nonostante le battaglie di alcuni, lo Statuto di Autonomia e la voglia di autodeterminazione, la Sardegna è nelle mani dei conservatori. Degli interessi particolari.
Vi è quindi necessità di innovazione, di progresso.
“Progressismo”, non è l’automatica e acritica prosecuzione della sinistra “storica”, al contrario è l’inizio di una nuova storia, quella del superamento della stagnazione soffocante originata dagli egoismi, quella dell’avanzamento tecnologico come strumento di liberazione, che riduce e cancella le insopportabili diseguaglianze e sviluppa i diritti, infine quella che restituisce ai popoli consapevolezza e protagonismo. Un’idea. Qualcosa che si può condividere con estrema facilità perché risponde al bisogno dei più. Liberarsi dalla cultura della subalternità è innovazione, pretende creatività. Liberarsi dall’isolamento è innovazione, perché favorisce le relazioni.
Ora se i tanti, o i pochi, che avessero voglia di discutere di politica, di economia e di società, con occhi verso la Sardegna e i sardi, e iniziassero ad aprire uno spazio dove coesistono reciproco rispetto e capacità di ascolto, la strada della liberazione e del progresso, passo dopo passo, sarebbe un appassionante cammino.
Noi chi? Io no. Questo sport del tutti corresponsabili di tutto non aiuta né a capire né ad agire.
Dov’eravamo noi, cosa facevamo mentre questo flagello si stava preparando? (Aiutino: spesso eravamo al governo.) (Cit. Federico Rampini)
Discorso illuminante e illuminato. Pratico e condivisibile.
Quando i nostri politici cominceranno a fare incontri per discuterne e smetteranno di battibeccare tra loro su mozioni, regolamenti e cavilli procedurali volti solo a garantirsi un piccolo scranno nel consesso del potere.
Potrà mai elevarsi una classe di persone, di sardi votati al perseguimento del bene comune?
Il messaggio è chiaro e forte. Ora c’è qualcuno che deve dare il via, o può nascere spontaneamente dalla base? Lo chiedo per una delle tante “Penelope “. Gradita risposta da Ulisse. Graxie🍀