di Paolo Maninchedda
Come ci si insulta in campagna elettorale?
Si potrebbe rispondere: “Come si fa nel calcio”:
Allora l’insulto migliore e più scontato sarebbe: ‘cornuto’. L’argomento, tuttavia, è impopolare, perché Pirandello diceva che siamo tutti un po’ cornuti. Si racconta che un nobile napoletano avesse nello stemma questo detto: “Io porto le corna, ognuno le vede / ma tale le porta che non se lo crede”. Insomma, le corna sono un argomento scivoloso, sono come i denti, dicono i romani, fanno male quando escono ma poi servono per campare, perché rafforzano il carattere. Quindi, un presidente che si rispetti, cioè temprato dalla vita, dovrebbe essere un po’ cornuto, non tanto tanto, ma un po’ sì.
Per insultare bene bisogna imparare dai classici. Catullo inventava le parolacce. Un candidato presidente potrebbe catullianamente dare a un suo avversario del ‘Salaputium disertum”. A quel punto l’avversario consulterebbe il Wikizionario e troverebbe un significato edulcorato e moraleggiante: “Uomo di bassa statura, astioso e libidinoso, che si rende ridicolo per l’atteggiamento saccente”. Ma esiste una traduzione di un grande filologo sardo molto più interessante: “Testuzza di pene verbaia e parolosa”. Si noti la migliore visualizzazione del traduttore sardo, perché i sardi hanno una grande tradizione di concretezza. Ora, anche riferirsi impunemente alle parti terminali del corpo maschile, tra le più fragili e più esposte alle variazioni climatiche, può essere controproducente. In primo luogo, è ben noto che, certamente, tale apice maschile è stolto. Ai bambini maschi della Barbagia vengono insegnati a memoria i versi: Minca maccaca, funesta e fatale / tue est chi m’has giuttu a su casinu / tue est chi m’has trazadu a s’ispidale. Ma proprio in ragione della sua irresponsabile follia, questa calva terminazione muscolare non è suscettibile di responsabilità alcuna. Ora, quale presidente non vorrebbe potersi appellare almeno una volta all’incapacità di intendere e di volere, in modo da evitare procuratori, giudici e avvocati? Ne consegue che ciascun presidente, oltre a dovere necessariamente essere un po’ cornuto, deve altrettanto inevitabilmente essere, pro quota, un grande salaputium disertum. Per cui, anche l’insulto ‘conca ‘e cazzu’ con la variante sassarese ‘gabu di gazzu’ deve essere archiviato e rubricato sotto i titoli pubblici onorati e onorandi.
L’altro terribile insulto per un presidente è essere preso per tonto. Ma anche qui la Sardegna complica la vita, perché sin da giovani si canta: “Nannè, tenedi contu; faghe su surdu, betadi a tontu”, e al mio paese Murenu scriveva: “sos miseros de benes e de pannos, pro chi sien astutos, paren tontos”. In ultima analisi, la ‘tontesa’ può essere una sottile arma politica nelle mani di argutissime intelligenze, per cui bisogna sospettare dei tonti, anche perché se è vero che i conti non tornano mai, è anche vero che i tonti cornano e qui torniamo al principio, e cioè che occorrerebbe un presidente temprato dalle corna, sufficientemente tonto e irresponsabile al punto da inseguire senza riserve le sue più stolte estremità muscolari.
Morale: non insultiamoci.
Comments on “Breve dizionario ragionato degli insulti elettorali”
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Bellissimo articolo complimenti.
Ma come si fa a dire non insultiamoci se per certe persone! L’unica cosa che li tiene in vita, ma sopratutto l’unica ragione di vita è quella? Sarebbe come toglier loro il pane dai denti.