Fatevi una domanda e datevi una risposta: che cosa è cambiato nel sistema di potere italiano, sia in quello politico che in quello economico, dopo il discorso del presidente della Repubblica Mattarella?
Nulla.
Se un Presidente della Repubblica parla a vuoto significa che ha parlato male.
Vediamo il suo discorso dal punto di vista dei nostri interessi.
Io sardo posso decidere dove andare secondo la mia libertà? NO, per farlo devo andare o a Roma o a Milano. Posso classificare i miei porti e aeroporti? NO, lo fa lo Stato italiano, di cui noi Sardi rappresentiamo poco più del 2% della popolazione, cioè nulla. Io sardo posso regolare le tariffe dei trasporti? NO, lo fanno l’Unione europea, lo Stato italiano e i giganti del mercato; e lo hanno sempre fatto male. Mattarella? Non sa neanche di chi cosa io stia parlando.
Io sardo posso decidere che cosa mangiare? Sempre meno: ormai produco pochissimo, importo tutto, ho i prezzi regolati dalla Grande Distribuzione e mangio ciò che loro mettono sugli scaffali. Noi siamo come gli indiani con l’Inghilterra prima dell’indipendenza: esportiamo un po’ di materie prime a prezzi ridicoli e mangiamo e compriamo ciò che viene prodotto fuori e immagazzinato qui. Prima si arricchivano i produttori, in Sardegna, adesso i nuovi magazzinieri (quelli che si guardano bene dall’assumere le persone direttamente, ma lo fanno con le solite cooperative; quelli che pagano il pomodoro a 0,012 al chilo; quelli che vendono carne immangiabile, sebbene perfettamente regolare; quelli che vendono come sardo il riso solo confezionato in Sardegna ma coltivato chissà dove e chissà come, ecc. ecc.).
Io sardo posso coltivare quello che mi pare? NO, perché ciò che si coltiva e dove lo si coltiva è deciso più a Chicago e a Hong Kong che in Europa o in Sardegna, perché è lì che si stabiliscono i prezzi e i valori. Mattarella conosce i poteri globali, quelle forze invisibili e irresponsabili che stanno distruggendo il creato? Certo che li conosce, ma da uomo di potere discreto e prudente, si guarda bene dal nominarli. E intanto noi mangiamo la nostra morte, lasciamo le campagne incolte, compriamo tutto, dalla fave alle patate, riempiamo il pianeta di rifiuti, ma discutiamo convinti del destino di Di Battista. Colonizzati e abbruttiti nel cuore prima che nel destino.
Io sardo posso fare impresa liberamente? NO, perché una buona impresa ha bisogno di un buon fisco, di un buon credito, di una buona amministrazione. In Italia il fisco è ingiusto, è nato ed è calibrato sulle regioni ricche del Nord ed è applicato ferocemente al Sud e nelle Isole; il credito, con buona pace di Mattarella, sta passando di mano. I nuovi banchieri sono i nuovi padroni: Amazon, Apple, Facebook, Google (i nuovi dominatori dissimulati, ammirati sconfinatamente dai professori di economia delle università sarde, che prima chiedono chi comanda, poi decidono che cosa insegnare). Steve Jobs, l’antesignano dei bulimici del potere della Rete, diceva. “Banking is necessary, banks not”, cioè: “Il credito è necessario, non le banche”. E tutti contenti a corrergli dietro, per cui le banche stanno scomparendo sostituite dai robot e il credito sta finendo nelle mani dei giganti del web che non trovano per nulla interessante e redditizio prestare il denaro, per esempio, al pastificio Maninchedda. Loro cercano la rendita sicura, le bollette: quelle dell’acqua, dell’energia elettrica, delle strade, delle ferrovie frequentate (non quelle sarde, poco frequentate), del canone dei rifiuti. La buona amministrazione in Italia è fondata sul sospetto e sul suo principale prodotto derivato: il ricorso. L’amministrazione in Italia ha un altro nome: tribunale. Mattarella di queste dinamiche non si occupa, perché o non le conosce o sa che non ha potere per contrastarle e allora non ne parla per non apparire un impotente in un gioco duro. Mattarella è la sinistra amministrativa italiana, che non sa che cosa è giusto e che cosa è ingiusto, ma solo che cosa è l’ordine costituito, che cosa consente la legge vigente. Mattarella è l’ordine costituito inteso come naftalina.
Io non accetterò mai lo sport italiano di parlare di tutto fuorché dell’essenziale.
La cultura italiana ha l’ipocrisia nel patrimonio genetico: la verità imbarazza.
Noi dobbiamo esigere, da Sardi, che si parli di chi comanda davvero e del perché comanda.
Noi sardi dobbiamo esigere che si parli dell’esercizio della libertà e dei suoi limiti, non delle risse parlamentari, delle battute, dei linguaggi buonisti o rancorosi o dell’ultima tassa applicata.
La domanda essenziale deve tornare in primo piano: chi comanda? Chi governa? Che cosa fa? Limita o rispetta i nostri diritti? Quanto sono libero di compiermi e quanto e da chi sono limitato?
Queste domande sono eretiche in Italia, ma sono ortodosse in Sardegna. Noi le abbiamo rimesse al centro e non le spostiamo per far spazio al bla bla natalizio delle istituzioni italiane.