A leggere le prese di posizione dei partiti italiani non di Destra, ci sarebbe da riportarli tutti alle elementari. Sanno tutti che o si fa un accordo elettorale o nei collegi maggioritari si perde dinanzi a una Destra unita, eppure, per un pugno di voti, sono tutti impegnati a fare gli schifiltosi gli uni con gli altri.
Posto che queste liturgie elitario-parassitarie romane (elitarie nel senso del dominio di pochi che è visibilissimo nel momento della formazione delle liste, parassitario perché mai come in questi anni si è avuto un ceto politico che fuori dal Parlamento non saprebbe cosa fare e di che vivere) sono inaccessibili ai sardi se non per via questuante, vi è però una questione che i partiti sardi dovrebbero porre a questi pingui sottanoni romani.
La questione è la seguente.
La Sardegna va al voto per le regionali fra un anno e mezzo, sempre che Solinas non si candidi alle politiche, perché in questo secondo caso ragionevolmente le regionali si svolgeranno a giugno 2023, cioè tra meno di un anno.
In Sardegna è stato avviato, il 7 luglio scorso, un ragionamento di alleanza tra tutte le forze di opposizione alla Giunta Solinas.
Non vi è una sola ragione perché queste forze non vadano unite alle prossime regionali.
Ma vi è un pericolo: che si dividano e si scannino alle elezioni politiche, rendendo impervio poi il percorso successivo.
Si deve, a mio avviso, porre un problema alle segreterie litiganti e egotiche romane. Si dovrebbe dir loro: «In Sardegna si fa diversamente. In Sardegna, almeno nei collegi maggioritari, si fanno come minimo patti di desistenza, perché vorremmo poter vincere in tutte le sei posizioni disponibili. Su chi candidare, nessun problema, ci mettiamo d’accordo tra di noi».
Sono consapevole che si tratta di una proposta ‘forte’, ma soprattutto è razionale e giusta. Sarebbe di grande vantaggio per la Sardegna (e per il sardismo in tutte le sue forme) e potrebbe risultare illuminante affinché la si replichi in tutta Italia, vincendo geometrie schifiltose, simmetrismi elettorali e altre fesserie di questo tipo. Tanto poi gli italiani sanno perfettamente che il governo si farà in Parlamento con gli eletti che risulteranno dalla consultazione elettorale e con le mediazioni che la collocazione e la situazione internazionale dell’Italia imporranno. Data la legge elettorale vigente, le elezioni servono più a limitare le egemonie possibili che a scegliere i governi. E noi dobbiamo evitare l’egemonia Meloni.
Speriamo bene, ma prepariamoci al peggio.
La scarsa cultura o, meglio, la greve ignoranza in materia di istituzioni che caratterizza i cittadini italiani, nel momento clou delle elezioni appare in tutta la sua drammaticità. Il nodo è, come giustamente tu sottolinei, la legge elettorale. Vale a dire le regole in base alle quali si trasformano i milioni di voti in poche centinaia di seggi, cioè di eletti. Legge che ha il rango di semplice Legge Ordinaria e che pertanto i parlamentari predispongono, a seconda dei diversi momenti storici, in funzione prevalente diretta a favorire la propria rielezione, piuttosto che a favorire un governo stabile del Paese. Una legge elettorale che ha dato prova di ben funzionare è, per esempio, quella vigente per i Comuni con più di 15000 abitanti (cd sistema maggioritario a doppio turno). L’attuale legge elettorale per il Parlamento (peraltro riformato con riduzione del numero dei componenti) è un ‘mostro giuridico misto’, è complicata, macchinosa ed inefficace nel garantire un minimo di stabilità di governo. Ma questa abbiamo e con questa voteremo. Mi auguro che quanto da te proposto per la Sardegna , cioè un patto che federi tutte le opposizioni, si possa realizzare. Tanto più questo sarà possibile quanto più, anche in Sardegna, elettori e candidati siano cittadini coscienti ed informati. Purtroppo qualche dubbio ce l’ho……