di Paolo Maninchedda
Per capire la nuova legge elettorale italiana bisogna esercitare l’intelligenza per svelare l’imbroglio.
Se una persona non è naturalmente portata all’intrigo, alla scaltrezza e soprattutto al fastidio per la libertà altrui, deve faticare per sperare di capirla. Siccome gli imbrogli e le truffe sono sempre sofisticate e ormai il tempo medio dedicato alla lettura di un testo non supera il minuto, è molto probabile che la nuova legge elettorale italiana verrà approvata senza che alcuno ne capisca bene il meccanismo. L’Italia non è mai stata educata a capire.
Tuttavia, siccome la legge elettorale italiana è pessima per il futuro della Sardegna, sapendo che non verrò letto da molti perché gli argomenti richiedono pazienza, voglio comunque scriverne, come dire, a futura memoria.
Iniziamo da concetti basilari.
Liberi di scegliere
In un sistema democratico e liberale, l’elettore deve essere libero di scegliere tra tutte le proposte presentate e tutte le proposte devono poter essere presentabili e valorizzabili dagli elettori.
In un sistema efficiente, oltre che democratico e liberale, chi vince deve avere la possibilità reale di governare. Il modo più serio per raggiungere questo scopo in una società pluralistica è prevedere il premio di maggioranza per la coalizione vincente, lo sbarramento per chi sta fuori dalle coalizioni e una norma anti-ribaltone.
Fare questi ragionamenti in Italia è impossibile: sono troppo lineari e onesti.
In Italia, infatti, si ragiona così.
Primo: la libertà dell’elettore è un problema (la prima volta che sentii quanto segue avevo poco più di trent’anni e stavo in seconda fila in uno studiolo dell’università di Modena. Davanti avevo un guru dell’area Prodi). L’elettore non deve essere libero di fare quello che gli pare perché la sua libertà mette in difficoltà le élite dei partiti italiani che non ritengono di dover essere valutate dagli elettori ma solo dai dirigenti del partito: già gli esami nella vita sono troppi, non bisogna aggiungerne altri.
Come si riduce la libertà di scelta degli elettori? Semplice, in due mosse: si mettono soglie di sbarramento per i singoli partiti e non per le coalizioni e poi si dimensionano le soglie su percentuali basse ma su scala molto grande.
Difficile da capire? Certo, è un imbroglio, ma si può fare uno sforzo di esplicitazione.
Prima descriviamo cosa dovrebbe prevedere una legge elettorale fatta bene.
Poniamo il caso di un universo fatto di dieci partiti, grandi e piccoli. Se la legge elettorale volesse avere come scopo favorire le coalizioni e rendere stabili i governi, dovrebbe garantire alla coalizione vincente un premio di maggioranza adeguato e vincolare i partiti che la compongono con una regola antiribaltone (in sostanza, chi rompe il patto con gli elettori va a casa). Come si ripartirebbero i seggi all’interno della coalizione vincente? Inevitabilmente su base proporzionale, cioè proporzionalmente al numero dei voti presi. In questo modo l’elettore potrebbe votare sia per la stabilità (il programma di governo della coalizione) sia per la diversità (cioè la varietà dei partiti rappresentati) scegliendo ciò che sente più prossimo alle proprie convinzioni. Potrebbe accadere che una coalizione di 4 partiti vinca le elezioni e un’altra di 3 le perda, vedendo ripartiti i seggi al proprio interno su base proporzionale, con quella che vince avvantaggiata dal premio di maggioranza.
Che succederebbe ai partiti che restassero fuori dalle coalizioni? In un sistema democratico, piuttosto che imporre loro soglie di sbarramento, si dovrebbe comunque garantire loro il diritto di tribuna, cioè l’accesso al Parlamento per rappresentare il loro punto di vista.
Perché questo sistema in Italia non ha funzionato? Perché il premio di maggioranza era basso e perché non c’è mai stata una norma antiribaltone.
Adesso descriviamo cosa invece hanno pensato i leader italiani per le prossime elezioni. Come si scelgono i partiti?
Primo: non si dice nulla sul premio di maggioranza. Ne consegue che le maggioranze si faranno dentro il Parlamento italiano, perché una maggioranza va pur fatta, ma la si libera dal mandato elettorale, cioè si annulla la libertà dell’elettore nello scegliere il governo e si aumenta a dismisura quella dell’eletto. In Parlamento si potrà fare di tutto, secondo la migliore tradizione italica. Torneranno i tre forni: Pd, Pdl, Cinquestelle, e ci sarà un fornaio principale che negozierà con un altro fornaio. In questa situazione l’arbitro sarà Berlusconi, con buona pace di chi dice di volerlo contrastare.
Secondo: deciso che si farà tutto nel Parlamento, bisogna limitarne l’accesso a pochi partiti. Come si fa a farlo senza scatenare una rivolta? Semplice, si pone uno sbarramento basso, il 5%, ma su una scala molto ampia, quella di tutto il territorio nazionale. Nelle elezioni del 2013 hanno votato per la camera dei Deputati 35 milioni di elettori e poco più di 30 milioni al Senato. Poniamo di assumere come punto di riferimento il dato del Senato e vien fuori che una forza politica per accedere alla ripartizione dei seggi deve superare il milione e mezzo di elettori. Sembrerebbe una soglia banale e equa, ma non lo è per niente rispetto alla storia e alla struttura politica dell’Italia.
Intanto nella Repubblica italiana esiste un’isola, come la Sardegna, talmente distante e separata dal territorio nazionale che soltanto dei folli prepotenti possono pensare di sottoporre alle stesse soglie stabilite per la penisola. In Sardegna alle ultime politiche hanno votato 950 mila persone e alle ultime regionali 770 mila. Quest’isola è la terra di una minoranza linguistica per la Repubblica italiana ed è una Regione a Statuto speciale, come il Trentino, la Val d’Aosta ecc. ecc. Eppure parrebbe che si stia pensando a uno sbarramento differenziato per il Trentino ma non per la Sardegna. In Sardegna e altrove esistono parti politiche che hanno l’ambizione di rappresentare la propria terra e non un’altra, ma che non potranno farlo perché per legge la propria terra non esiste, perché inghiottita dall’astrazione giuridica che unisce amministrativamente ciò che è diviso naturalmente e storicamente.
In secondo luogo, il meccanismo pensato per lo sbarramento ha un altro grande obiettivo: contrastare il fenomeno delle civiche che, guarda caso, è molto diffuso nel Mezzogiorno d’Italia, cioè nel luogo storico del fallimento dello Stato ma anche del fallimento del referendum costituzionale che ha determinato le dimissioni di Renzi. Un uomo di cultura democratica avrebbe interpretato il dissenso del Mezzogiorno sul referendum, Renzi invece lo imbavaglia, forte del fatto che il consenso su base nazionale italiana si produce ormai attraverso il dominio dei media che è inaccessibile al dissenso locale. Ritorna così una costante ottocentesca del modo dell’Italia di farsi Stato: ciò che non si riesce ad interpretare lo si comprime e zittisce.
Come si scelgono gli eletti?
Chiusa l’analisi di come la nuova legge elettorale determina la scelta delle parti in gioco, passiamo a vedere come prevede che si scelgano le persone.
Qui ci troviamo di fronte a procedure di manipolazione della buona fede di altissima sofisticazione, perché da un lato i media sono pieni della notiziona che si tratterebbe di un meccanismo alla tedesca, in modo da soddisfare l’esigenza estetica di sentirsi integrati nella modernità attraverso i metodi e le leggi di uno Stato di successo, ma in realtà si ha di fronte una trappola italiana.
Infatti in Germania l’elettore esprime due voti distinti non collegati. Con uno sceglie tra le persone candidate nei collegi uninominali della propria area di residenza; con l’altro, invece, sceglie i candidati del partito su una lista non legata al territorio, ma all’idea, cioè al partito. In sostanza in Germania un elettore socialdemocratico che vedesse candidato nel suo collegio una persona dei Verdi che a suo modo di vedere è più valida del candidato socialdemocratico proposto nel collegio, può votare nel suo collegio i Verdi e invece nelle liste di partito, il partito Socialdemocratico.
Invece nella proposta italiana succede che voti uno e prendi due.
Mi spiego.
L’Italia viene divisa in 308 collegi e in 27 circoscrizioni che coincidono con le Regioni, tranne le più popolose divise in più circoscrizioni.
I partiti presentano dei listini con candidati in numero variabile da 2 a 6 nomi in ciascuna circoscrizione e un solo candidato in ciascuno dei 308 collegi uninominali.
L’elettore ha un solo voto, quindi votando il candidato del suo collegio, vota automaticamente anche la lista di partito collegata (in Germania invece si può votare in modo disgiunto).
Ma chi viene eletto, il candidato nel collegio uninominale o quello candidato nel listino?
Qui sta il bello imbroglionesco italico, perché il meccanismo di ripartizione è un magheggio tragicomico.
Si contano i voti sui listini su base nazionale (che essendo collegati ai collegi li rappresentano ugualmente), poi si stabilisce in base alla percentuale riportata quanti seggi spettano a ciascun partito su base nazionale e su base circoscrizionale. In ogni circoscrizione, ciascun partito avrà una classifica dei propri candidati che vedrà primo il capolista del listino bloccato, poi i candidati che hanno vinto nei rispettivi collegi in base ai voti ottenuti, poi i candidati del listino successivi al primo e infine i candidati dei collegi che hanno perso.
Quale è la conseguenza di questo pasticcio?
La prima è che gli unici sicuri di essere eletti sono i capilista dei listini bloccati, non scelti dagli elettori ma nominati dai partiti perché l’elettore non esprime una preferenza su di loro.
Seconda conseguenza: può succedere (e succederà) che un candidato di un collegio uninominale, pur vincendo nel suo collegio non venga eletto e venga invece eletto il capolista del listino bloccato.
Accadrà con certezza che un candidato di un partito che ha perso nel suo collegio ma ha riportato il miglior risultato del suo partito nei collegi rimanga a casa a favore del numero due del listino bloccato, nominato dal partito.
Non ci sono altri commenti da fare: l’esproprio della libertà di scelta dell’elettore è compiuto.
Lo dico con una certa amarezza: la cabina elettorale italiana è piena di fumo per confondere la libertà degli elettori ed è piena di arbitrio e sopraffazione per la Sardegna. Chi ha ruolo, in Sardegna, dimostri anche di avere coraggio.
Un grande imbroglio. È necessario prendere delle contromisure e non sarà facile.
Siamo al fondo del barile.
A me sembra assurda l’assenza totale di dibattito in Sardegna sulla questione. Nessun quotidiano Sardo in rete che si chieda:
1) Varrebbe anche per la Sardegna la soglia di sbarramento del 20% calcolata regionalmente come previsto per le minoranze linguistiche?
2) Perché non estendere alla Sardegna il sistema usato per il Trentino e la Valle d’Aosta con numero garantito di rappresentanti eletti prevalentemente col maggioritario?
In caso negativo i partiti sardi verranno escusi per sempre dalla camera (e forse anche dal senato) anche se uniti prendessero il 99% dei voti, con affluenza al 100%, perché comunque un tale listone non supererebbe la soglia nazionale del 5%.
Come si può pretendere di non essere trattati come minoranza di serie B se gli stessi sardi sono i primi a fregarsene dei propri diritti?
A proposito di legge elettorale, del tuo post Scusate, signori parlamentari, dove si svolge la discussione sulla legge elettorale italiana? e alla tua esortazione: Chi ha ruolo, in Sardegna, dimostri anche di avere coraggio, racconto un episodio che per me è stato incredibile quanto significativo di come parlamentari locali affrontano o affrontavano, riferito al tempo, il loro mandato.
Era agosto qualche giorno prima dei Candelieri, insieme a mio padre passeggiavo in via roma a Sassari; ci saluta cordialmente un allora senatore della repubblica che chiede: Cicito, tu che sei sempre ben informato in realtà come funziona la legge elettorale che abbiamo votato l’altro giorno? Era la legge Mattarella 1993.
Senza parole, credo la situazione non sia cambiata di molto; inadeguati a roma inadeguati in via roma.
Renato, che cosa vuoi che ti dica? Uno sbarramento al 5% su base nazionale fa fuori dalla competizione sarda metà del Consiglio regionale. L’imbroglio del voto congiunto di fatto è la riedizione del Parlamento dei nominati. Così va meglio? Forse sì, ma ho voluto evitare di mostrare solo le conclusioni e non i ragionamenti. Sbaglio? Non so, ma siamo finiti nelle mani dei peggiori proprio perché ci siamo stancati di faticare per capire.
… Non basta leggerselo neanche TRE volte …occorre studiarselo … Per poterlo spiegare anche agli Altri
Cosa fare? Io lo so bene cosa fare. Vediamoci a parlarne.
Proprio cosi. stanno organizzando l’imbroglio più grande da quando esiste la Repubblica, ( in monarchia votavano solo i benestanti e niente voto femminile). dopo aver costatato tutto questo si può stare alleati con il partito che imbroglia? dimmi tu. tieni anche presente che qui in Sardegna sono imbroglioni di pessima categoria.non contano NUDDA. cosa fare? boh?