di Paolo Maninchedda
Il popolo è come il mare: è grande. Lo si scopre bene in campagna elettorale. Si passa dalle riunioni ben organizzate di sostenitori convinti, all’ampio pelago dei cittadini distratti, adirati, severi, attentissimi o distrattissimi. Eppure, ci sono alcuni segnali che indicano la temperatura del consenso. Se un candidato che proviene dal mondo dell’arte e dello spettacolo, come può essere la Murgia in Sardegna, gira dieci paesi e incontra al massimo venti persone a paese, significa che ha bucato, che non c’è. Ricordo la prima campagna elettorale di Soru: non c’era neanche bisogno di fare pubblicità, la gente si portava le sedie da casa per sentirlo: quella era popolarità. Oggi Cappellacci deve fare la lista del Presidente perché Forza Italia e i centristi sono in una crisi mortale; eppure le immagini in esterno sono sempre a campo stretto, non hanno sfondo perché sfondo non ce n’è. Quando vengono riprese riunioni dentro cinema e teatri, non ci sono folle, ma composti sostenitori con poltroncine vuote qua e là. La Murgia se la canta e se la suona da sola: prima dice che è la prima, poi, oggi, dice che è la seconda dopo Cappellacci (il quale ringrazia dell’aiuto). Quando ha preso i palazzetti dello sport, ha dovuto poi fare le riunioni con cento persone riunite in cerchio per dare un segnale di condivisione, ma quel vuoto intorno, grande, incombeva e incombe: manca il popolo. Il popolo non ha risposto all’appello del candidato. Insomma, si è nel momento in cui, per farsi coraggio, i candidati si rappresentano un mondo che intorno a loro non c’è. Le balle sono la cocaina delle elezioni. Le balle nutrono il cervello delle persone con poco senso realistico e molta ambizione. Ma la realtà è dura: o si è popolari e graditi o non lo si è. Cappellacci sa che tutti insieme i suoi alleati superano faticosamente il 20%. Sono fragili e battibili. Ha anticipato la battaglia perché combatterà da solo: la coalizione non c’è perché è franata al Centro e perché Forza Italia ha candidati ma non ha politica, non ha messaggio ed è attraversata dalla questione morale in modo più forte, a parte un’eccezione una, di quanto lo è il Pd. La Murgia ha capito in ritardo di avere sbagliato strategia elettorale. Sa che non eleggerà consiglieri regionali; sa che non entrerà in Consiglio regionale in virtù di una legge elettorale molto severa con le minoranze; sa che il suo tentativo di ‘rifare Soru’ non è riuscito: un conto è fare Tiscali, un conto è scrivere un romanzo. La felicità è una fiaba, l’infelicità è un romanzo (non mi ricordo chi l’ha scritto, ma qualcuno lo ha scritto). La novità di questa campagna elettorale è che non ci saranno né cavalieri Neri (cari a Proietti) né cavalieri Bianchi. Vincerà chi saprà fare squadra meglio degli altri, chi selezionerà meglio le liste, chi innoverà di più: i capitani, questa volta, o corrono insieme ai giocatori o si schianteranno contro il muro accogliente e falso delle loro bugie. Noi, Partito dei Sardi, continuiamo a fare il duro lavoro di selezione, innovazione, capacità di progetto e di proposta che stiamo facendo: gente nuova, progetti chiari, lo Stato sardo in testa e nessuna balla nel cuore. I voti li conteremo alla fine.
Comment on “Balle e disperazione”
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Stai sfondando una porta aperta. Le debolezze manifeste di “sardegna passibile” le si può constatare nel proprio sito, entrando alla voce “aderisci ad un comitato”, si realizza la pochezza del radicamento territoriale, con la costituzione di soli 10, dico solo “dieci” comitati. La palese nudità di questo conforto numerico, esalta la necessità di un’Unità Cooperativa dei movimenti, che aggregandosi riuscirebbero a riempire le troppe caselle vuote dello scacchiere territoriale. Da soli e da “talebani” avere la presunzione di colmare il gap, anche se un candidato possa avere avuto una qualsiasi “consacrazione italica” in ambito letterario o altro. Non posso sapere quale sarà l’esito delle elezioni, ma oggi, sono già in grado con una semplice “addizione”,di esprimere un giudizio negativo sui responsabili (mi auguro di No), di una disfatta che vedrà la materializzazione a febbraio. Il pluralismo nell’indipendentismo sardo è una minchiata, sostenuta da chi teme di avere avuto torto nelle sue scellerate scelte elettorali. Mai il popolo sardo si è sentito tanto confuso quanto queste elezioni. Fra dieci anni sarà lo stesso. Forse aveva ragione Lussu, M5S ne è una ennesima dimostrazione della nostra abortività.