Il benaltrismo dell’Italia; e intanto Matteo gioca e Francesco paga. Ma Francesco è di Orune
di Paolo Maninchedda
L’Italia è uno Stato ipocrita, come è a tutti noto; non è una nazione perché non ha vincoli fiduciari tra le persone (i vincoli letterari e calcistici sono o troppo elitari o politicamente spuri per essere incidenti). Il vincolo sociale più forte è un mix tra sospetto e furbizia.
Tra le tante astuzie italiche vi è il benaltrismo. Quando qualcuno pone un problema vero e serio, vi è sempre un altro, in genere dotato di autorità e potere, che dice che ‘il problema è ben altro’.
L’apogeo del benaltrismo è stato raggiunto con il referendum se lo si valuta alla luce delle valutazioni sulla crescita dell’talia pubblicate ieri dall’Unione europea. Mentre Matteo è impegnato a parlare delle sue urgenze che non sono quelle del Paese (il Paese infatti non ha bisogno di sapere chi comanda – domanda al centro del referendum – ma che cosa fare, domanda drammatica e irrisolvibile per chi è educato a cercare il successo facile), noi sardi siamo impegnati con le strade che cadono apezzi, con i bacini vuoti, con la devastazione di Valledoria (dove dobbiamo mettere soldi, posto che i carciofi sono un pezzo del nostro Pil) e a difendere la permanenza in Sardegna almeno di ciò che c’è (non vorrei che qualcuno stia pensando, per esempio, che mentre si gioca al risico del referendum e tutti guardano il dito, nel frattempo una abile mano toscana sposti il centro operativo di Meridiana a Firenze, per esempio).