Mentre l’arcivescovo di Cagliari ci invita oggi, sull’Unione Sarda, a coltivare la speranza, ieri un albero è caduto in un parco a Roma e ha ucciso la madre di tre bambini.
Mentre il Papa oggi apre la Porta santa, un uomo grida la sua disperazione per essere stato lasciato solo in quel di Guspini di fronte all’Alzheimer della moglie.
Mentre ci prepariamo a festeggiare, i Russi bombardano Kiev e uccidono; gli Israeliani, che hanno già vinto la guerra, continuano a sparare e a uccidere.
Il Natale per chi è malato per sempre, per chi è condannato a morte, per chi sta sotto la prepotenza altrui, può avere il sapore della beffa.
Non sopporto il giubilo, il sorriso, il gaudio dei preti in questi giorni.
Vadano in ospedale a ridere e sorridere.
Il sorrisino giubilante e rassicurante dei vescovi mi sta sul naso.
Ieri ero in ospedale a trovare un amico, mi sono imbattuto in un prete; è passato, l’ho guardato, aveva l’espressione giusta, l’ho amato, perché era lì nell’ora della solitudine, non in quella delle visite ufficiali. Lo stesso sguardo dei medici e degli infermieri che ho incontrato: gente seria, che non bleffa, sta dritta, verticale, di fronte al male. Ho incrociato questa umanità in trincea mentre una mamma senza capelli usciva dall’ospedale in carrozzina, tenendo il figlio piccolo in braccio. Avrei voluto restituirle tutto, ma io non sono nulla.
Quando entro in chiesa, cosa che mina il mio equilibrio psichico da quand’ero bambino, ma che è stata sempre l’azione indispensabile per trovare le ragioni per vivere, avverto immediatamente l’abisso di qualcosa che tiene insieme i contrari.
Dante aveva ragione: ciò che nel mondo è opposto, in un’altra dimensione è ordinato; ciò che da noi si “squaderna”, altrove ‘s’interna’, si compone. Io e il mio contrario, quello che vorrei uccidere, tenuti insieme: Nel suo profondo vidi che s’interna, / legato con amore in un volume / ciò che per l’universo si squaderna.
Ho un amico prete, cui voglio bene, punito dal suo vescovo e mandato a non far nulla, che come unica attività celebra la messa in un carcere e che mi dice che a lui basta vedere le mani di incallitissimi delinquenti chiedere l’ostia. Il male vissuto e la porta del bene insieme, nello stesso momento. Leggete questo articolo di Pier Sandro Scano, ovviamente non calcolato da alcuno in Sardegna per eccesso di invidia, e chiedetevi che cosa significhi che nel mondo quantistico l’ordine e la casualità convivono. L’articolo di Pier Sandro è una delle migliori prediche di Natale che io abbia mai letto, il miglior commento a «Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Primo e l’Ultimo, il Principio e la Fine».
Auguro buon Natale ai lettori, quello di chi sa che non solo ci è stata aperta una strada verso il nostro vero destino e che non ci è stato chiesto di percorrerla da soli, ma anche che il male che facciamo e patiamo, la malattia, la sofferenza non ci viene risparmiata ed è senza senso. Viviamo gli opposti senza poterli comporre e c’è poco da ridere. Se però, interiormente, riusciamo ad aprire il varco alla percezione dell’infinito, ci plachiamo. Non è uno sforzo di volontà, ma di abbandono. Difficilissimo.
Bonas Pascas de Nadale…
Salude, Pàulu! Salude a tie e a totu sos àteros, cun sos menzus augúrios (chi no isco cales sunt, ma s’importante est chi l’Iscat donzunu isse!)
Mi depet dispiàghere (ma bi depo ancora pessare) chi no so inglesu e mancu in Inghilterra. Ma a Pier Sandro Scano sos Sardos no li parimus dignos de lèzere «una de sas menzus préigas» o isse at fatu innanti a si fàghere inglesu e ispetat a che sighire nois puru?
Egr. Prof.
grazie per il messaggio che ad un primo approccio potrebbe sembrare di delusione e assai contraddittorio per gli aspetti sia negativi che positivi che esso trasmette. Eppure la Sua conclusione apre alla speranza con il richiamo che valica le questioni terrene spesso dolorose e si rivolge “alla percezione dell’ infinito” che, seppure non ci appaga, ci da una consapevole serenità che “ci placa “e ci consente di auspicare un mondo migliore, coscienti che il dualismo tra bene e male continuerà ad accompagnarci .
Rinnovo gli auguri a Lei e ai lettori.
Grazie per tutto ciò che fai e soprattutto scrivi. Sei il numero uno nella “controinformazione” del potere politico, giudiziario e religioso sempre di più invischiato in atteggiamenti e abusi vergognosi, insopportabili e inaccettabili da parte delle stragrande maggioranza dei sardi.
Buon Natale, professore. E grazie, anche per questo invito alla riflessione. Difficilissima, ma necessaria.
Prof. Buon Natale anche a lei
Carissimo,ho provato a leggere l articolo di Scano ma non sono bravo e siccome è scritto in inglese ci ho rinunciato…..ma le tue riflessioni le faccio mie anche in giorni diversi da questi nei quali sono più attuali….forse c’è ancora una speranza quaggiù nel caos se anche altri leggono le cose che hai scritto e le condividono ti auguro un Natale in cui,come capita anche a me,la serenità vinca sui nostri dubbi ….ciao
Tutto vero.E In giro se uno guarda bene “ si sta come le foglie d autunno” (…).
Erri De Luca celebra Fabrizio De André
con parole che sanno di irripetibilità e filogenesi, come un canto popolare che attraversa i secoli. Ci descrive una voce che ha saputo dar fiato agli ultimi, solfeggiare con gli sconfitti, sciogliere lingue e dolori in ballate indimenticabili.
È un inno alla bellezza resistente, alla poesia che si fa vita, contro ogni ammansimento.
“Lui è chi ha cantato Cristo in croce e ha dato i dieci comandamenti al commento di Tito, uno dei ladroni appesi.
Lui ha messo in musica un prigioniero che non voleva respirare la stessa aria dei secondini.
Lui cantava con voce di pozzo l’amore dei giorni perduti a rincorrere il vento.
Lui è chi ha tradotto Leonard Cohen, Georges Brassens, Bob Dylan in quell’impossibile, perfetta versione di “Avventura a Durango”, capolavoro di trasferimento da una lingua a un’altra.
Lui è chi ha scritto che a morire di maggio ci vuole troppo coraggio, ha dato musica alla cattiva strada, ha squagliato la cioccolata dei dialetti, il genovese, il sardo, il napoletano dentro le ballate.
Lui è chi è stato legato a un palo dell’Hotel Supramonte dove ha visto la neve sopra un corpo di donna amato, addolcito di fame e ha ascoltato i racconti dei banditi e ha conosciuto una loro cura che nessun detenuto di questo Paese ha provato.Lui è chi ha perdonato con gratitudine.
Lui è chi ha visto al collo di Teresa una lametta vecchia di cent’anni, lui sa che il dolore di Franziska taglia più di un coltello di Spagna. E sa il bosco dove Sally arrivò con il tamburello e sa il bisturi che corregge il sesso di Princesa, e la ragazza che si versa un cucchiaio di mimosa nell’imbuto di un polsino slacciato.
Lui è chi ha dato cantico ai drogati perché chiedessero: “e chi, chi sarà mai / il buttafuori del sole / chi lo spinge ogni giorno / sulla scena alla prime ore”.
Lui è chi ha suonato i pensieri dei suicidi, il nasone di Carlo Martello, le fregole di un vecchio professore e la più concreta offerta di un paradiso, in vendita a via del Campo.
Lui è chi ha messo un giudice nelle mani esageratamente affettuose di un gorilla e ha lasciato che un pescatore sfamasse un assassino, e tacesse ai carabinieri.
Lui è chi cantò le lapidi di Spoon River dove Jones il suonatore mai rivolse pensiero al denaro, all’amore, al cielo.
Lui è chi ha voluto bene ai cuccioli del maggio che poi avrebbero azzannato i garretti dei potenti e avrebbero stabilito il record di carcere di una generazione italiana. Invano avvertiva gli altri: “per quanto voi vi crediate assolti / siete lo stesso coinvolti”. Invano, perché gli altri si sono sempre assolti, da soli e definitivamente. Coinvolti restano solo lui, i caduti e i prigionieri senza fine. Sì, è stato il più grande, non solo per iscritto e in canto, ma per carattere, per dirittura d’urto contro la macchina luccicante di successo e carriera.
Lui solfeggiava con gli sconfitti, sbriciolava il loro pane ai passeri.
Dopo di lui la specie dei selvatici si è estinta. C’è il gran bazar degli ammansiti.
Non l’ho nominato, solo enumerato. Chi ha bisogno di guardare il suo nome, ha perso tempo a leggere fin qua”.
E lode
10
Auguri Paolo
Serene festività caro Paolo
Cari e sinceri auguri di Buone Feste Paolo.
Grazie Paolo,
di ricordarci sempre quali sono i veri problemi nel nostro mondo, un mondo pieno di ipocrisie, grazie di dire sempre la verità sulle cose che ci angustiano e ci fanno soffrire, di ricordarci che il mondo reale è quello di chi lo domina, del ricco sul povero, del forte contro il debole, dei ciarlatani di turno sul popolino…etc.etc.
Buon Natale Paolo 💫
Le ultime righe del post chiudono il cerchio aperto dalle considerazioni iniziali: nella vita la sofferenza ci viene somministrata in grandi in quantità, ed entrambe – vita e sofferenza – non hanno alcuna logica.
Il discorso della montagna non annuncia un mondo capovolto, perché sarebbe la negazione di quel Dio misericordioso annunciato dai vangeli.
Gli ultimi troveranno senz’altro di che consolarsi quando varcheranno la porta dell’infinito, perché saranno primi.
Ma qui e ora, continuano a essere ultimi.
Beati i primi, perché continueranno ancora a essere i primi, come lo sono ora.
Ieri mattina, al Businco, c’era una festa. Parenti pazienti medici prete. Panettone, pandoro e torrone fatto nella hall. Un cantante, bravo, allietava i presenti. Un momento di serenità per tutti, addetti compresi.
Buon Natale Paolo.