Si ha quasi la sensazione di essere imprigionati nella celebre opera di Samuel Beckett, tanto assurda appare la vicenda del Porto Canale di Cagliari, in cui l’inazione ha dominato la scena per tutta la durata della rappresentazione.
Nonostante lo sconcerto iniziale, proviamo per un istante ad avere una visione ottimistica della sorte dello scalo, confidando nel fatto che questa volta il protagonista principale si materializzi.
È di qualche giorno fa la notizia secondo la quale il Porto Canale di Cagliari ritornerà presto sul mercato. Il Comitato di Gestione dell’Autorità di Sistema del Mare di Sardegna ha, infatti, deliberato la revoca della licenza d’impresa alla società terminalista CICT e la decadenza dalla concessione della quale era titolare dal 1997. L’Autorità pubblicherà, a questo punto, un avviso pubblico internazionale teso ad una sollecitazione di mercato per individuare un nuovo soggetto interessato alla gestione del terminal contenitori.
Sempre assecondando quella visione ottimistica cui accennavamo prima, tralasceremo di indugiare sul fatto che le avvisaglie di quanto è accaduto nel porto industriale fossero ben chiare da tempo e che, forse, la decadenza dalla concessione, a fronte degli inadempimenti del concessionario, è avvenuta in maniera poco tempestiva. Tuttavia, occorre fare qualche considerazione.
Che il settore del transhipment nel Mediterraneo stesse subendo un’evoluzione era evidente da qualche tempo. Che il Gruppo Contship, di cui la CICT fa parte, potesse trovare difficoltoso inserirsi in questo nuovo contesto era altrettanto chiaro. Sicuramente Regione Sardegna e Autorità Portuale avrebbero potuto essere attori più incisivi. Ma difficilmente in Sardegna esercitiamo un ruolo attivo nel gestire fenomeni di tale complessità. E fin qui è storia nota.
È pur vero, tuttavia, che gli attori di quel particolare mercato che è il transhipment non sono facilmente intercettabili. Forse, proprio per tale ragione, gli esperti del settore avrebbero potuto e dovuto cogliere questi mutamenti prima ancora che si manifestassero in tutta la loro brutalità.
In che modo? Proponendo, con responsabilità e competenza, strategie di medio e lungo periodo, alle quali poi dare concretezza, in modo tale da consentire al porto di Cagliari di inserirsi in siffatto contesto. Oggi occorre effettuare scelte in tempi rapidi, altrimenti si rischia di non cogliere le opportunità, proprio mentre sono in atto cambiamenti a livello globale.
Quale il ruolo dei sindacati in tutto questo? Preoccupati per le ripercussioni della crisi del porto industriale sull’occupazione, in conclusione di vertenza, all’inizio del mese di settembre, hanno sottoscritto un accordo con la Regione Sardegna, poi ratificato al Ministero del Lavoro, che prevede, per i dipendenti, la cassa integrazione per cessata attività della CICT della durata di un anno ed un programma regionale di politiche attive del lavoro. E’ stato, così, scongiurato il licenziamento di oltre 200 lavoratori. Bene, verrebbe da dire. Se non fosse che gli ammortizzatori sociali non erano il risultato che ci si aspettava di raggiungere.
Non tutto è perduto, però. Magari nell’arco dei dodici mesi di CIG si leverà una voce sindacale potente, persino molesta, perché no? Una voce capace di porre l’accento sui fattori che favorirebbero lo sviluppo dei traffici e renderebbero competitivo lo scalo: adeguamento delle infrastrutture portuali esistenti, attuazione della Zona franca doganale interclusa, riattivazione delle interlocuzioni necessarie per il superamento dei vincoli paesaggistici che gravano sul Porto Canale. Solo per citarne alcuni. Uno stimolo, insomma, affinchè la politica possa rianimarsi.
Ma, come in Aspettando Godot, non è così facile separare il sogno dalla realtà.
E in questo teatro dell’assurdo che è la politica isolana, dove la realtà pare non mutare mai, ci auguriamo che almeno gli spettatori possano miracolosamente divenire parte attiva.
Altrimenti non rimane che attendere invano Godot.