Prudenza Per esperienza mi sento di affermare che tra un’ordinanza di un Gip e la sentenza di un giudice può accadere di tutto, anche che ciò che sembra molto si riveli poco (alcune accuse, marginali quanto si vuole ma incidenti sulle persone, mi paiono appiccicate con la saliva e giustificate solo da intercettazioni fraintendibili, se non fraintese).
La forza argomentativa dell’ordinanza può portare a cucire insieme, secondo logica ferrea, cose che sono nella realtà meno legate di quel che la logica a posteriori (rispetto ai fatti) fa sembrare. Funziona un po’ come per gli storici, spesso definiti profeti del passato, i quali, dopo che gli eventi sono accaduti li fanno sembrare come consequenziali e prevedibili, a differenza di ciò che essi furono nella realtà, quando magari apparvero ed erano irrelati, contestuali, casuali ecc.
È solo l’inizio A leggere l’ordinanza del Gip che ha portato agli arresti di ieri si capisce subito che è solo un pezzo stralciato di qualcosa di più ampio. Espressioni come “per la parte che qui interessa” non sono formule retoriche di passaggio. Come pure è esplicito il senso dello stralcio rispetto all’universo sociale coinvolto: “Le condotte poste in essere dalla molteplicità di soggetti presenti nell’indagine in parola non sono state ritenute (correttamente), in alcuni casi, penalmente rilevanti, rappresentando espressione “solamente” di una mala gestio della res publica anche da parte di soggetti che rivestono cariche istituzionali e/o politiche”.
Mafia e Massoneria Giustamente il Gip si dilunga ( e ciò spiega il tempo passato dal deposito del rapporto dei Carabinieri – agosto 2023 – all’emanazione dell’ordinanza) a precisare il profilo dei reati.
Sono di particolare interesse le pagine dedicate al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso e a quello di associazione segreta (ex lege Anselmi). A leggerle ci si immerge non solo in un contesto criminale, ma anche sociologico e psicologico, perché la mafia, finalmente lo si è capito, è anche linguaggio, atteggiamento, consapevolezza della percezione di sé, pratica del governo delle persone e delle loro debolezze. In particolare il Gip parla di un “organismo associativo stabilmente strutturato” che è da considerarsi ‘mafioso’ “in quanto gli associati dimostrano di essere consapevoli di agire nell’interesse di un sodalizio non appartenente alla categoria della semplice criminalità di predazione, bensì ad una formazione che ha inserito nel proprio statuto il rapporto con i circuiti politico-istituzionali, così da conseguire da questi ultimi il riconoscimento del proprio prestigio ed esercitare un potere stabile e duraturo”.
Se tutto questo verrà dimostrato nel processo, si tratterebbe di un cambio di passo della criminalità sarda o, forse, un ritorno all’antico, quando a guidare i bandos erano i grandi feudatari sardi.
Il Gip si mostra sicuro del quadro probatorio perché giunge a definire l’identità della banda come congruente con i profili tracciati dalla Corte di Cassazione, poiché presenterebbe “caratteristiche sue proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e, tuttavia, avendo in misura più o meno marcata [e già questa indeterminatezza ci fa pensare a qualche debolezza di supporto probatorio] gli “indici di mafiosità” enucleati dalla giurisprudenza della Suprema Corte, sia sul piano delle condotte materiali degli associati, sia su quello della percezione da parte di coloro che subiscono la condizione di assoggettamento”.
La pistola fumante di indice di mafiosità sarebbe la forza intimidatrice che, a dire del Gip, sarebbe ampiamente provata. Ma ciò che è più rilevante è che, sempre secondo il Gip, i membri della banda avevano consapevolezza di appartenere a un’associazione speciale, cioè erano consapevoli di agire da ‘mafiosi’. Anche questo, se risultasse provato in giudizio, sarebbe una novità nella storia criminale recente.
Più significativo e nuovo è il reato di associazione segreta. In questo caso, a me è parso che il Gip abbia proceduto camminando sulle uova, cioè costretto a non dire più di quel che gli è parso strettamente necessario alla chiusura di questa fase degli indagini.
In buona sostanza, non basta per configurare un’associazione segreta un’attività degli associati volta a proteggersi dalle intercettazioni. Ma ad un certo punto, il Gip descrive bene che cosa intenda la legge e con la legge questa indagine: “Quanto infine alla segretezza degli appartenenti all’associazione, essa può rivolgersi verso l’esterno, ma anche al suo interno, nel caso in cui l’identità degli associati sia interamente nota soltanto ad alcune articolazioni del gruppo, in genere alla sua struttura dirigente. (…) Infine lo scopo di interferenza è riferito dalla legge non soltanto alle più elevate funzioni costituzionali, ma anche alla Pubblica amministrazione centrale e periferica…”.
Questo è il profilo della massoneria e, a mio avviso, si sta descrivendo una loggia, evidentemente mista, di uomini e donne e di uomini e donne dotati di poteri pubblici. Una loggia non cagliaritana, non del Grande Oriente, una di quelle logge di obbedienze spurie e di pratiche molto pratiche. Staremo a vedere.
Università, cultura e balentìa In buona sostanza (come direbbe Johnny), il Gip ha dedicato 400 pagine a descrivere il “mondo di mezzo” della Sardegna, una sorta di zona grigia tra area che delinque e area che governa che è sempre esistita, ma che non è mai stata adeguatamente aggredita. Questo mondo è stato individuato dall’indagine con confini ben più ampi di quelli esplicitati.
Viene valorizzata oggi sui giornali (in modo molto timido dalla Nuova Sardegna) la relazione tra alcuni indagati, con curriculum criminale di tutto rispetto, e il rettore dell’Università di Sassari.
Nessuno stupore.
Già Cirese, studiando la poesia popolare sarda, aveva avvertito che in Sardegna i rapporti tra ceti alti e ceti bassi (si parla della collocazione sociale, non dello spirito delle persone, che è insondabile) è molto intenso. Il problema non è nel rapporto in sé, ma nel valore che gli si attribuisce.
L’Aula Magna dell’Università di Sassari ospitò anni fa un convegno che manifestò proprio uno scontro durissimo sulla valutazione di questo genere di rapporti, uno scontro che dura ancora oggi tra chi pensa alla cultura come vocazione e impegno e chi la vede come impiego, dandole un valore strumentale finalizzato allo stipendio e non al miglioramento della realtà, con una necessità intrinseca di schieramento per la giustizia e il bene.
Era il 16 novembre del 2022, cioè ieri. Si presentava il bel libro a cura della prof.ssa Antonietta Mazzette intitolato L’isola sotterranea. Tra violenza e narcotraffico. Un libro pertinente, bello, utile, che mi auguro i Carabinieri e i Magistrati abbiano letto insieme al precedente (Droghe e organizzazioni criminali in Sardegna). In quella occasione, il Rettore, nello svolgere i saluti di rito, ebbe parole su alcuni rappresentanti della criminalità sarda che riprendevano precedenti giudizi di Francesco Cossiga. Il giornalista Giacomo Mameli, che coordinava l’evento, si sentì in dovere di prenderne le distanze. Fu uno dei tanti episodi di esplicitazione, da parte di esponenti dei white collars, di una certa fascinazione della cosiddetta e fraintesa balentìa. Io fui testimone diretto di un altro episodio, quando in Consiglio regionale venne accolto come un eroe un noto pluripregiudicato, festeggiato al bar del Consiglio come una star. Me ne andai avvilito.
Il male non è un gioco di società, è come il fuoco, chi si avvicina troppo, si brucia.
Non comprendo bene l’affermazione “Già Cirese, studiando la poesia popolare sarda, aveva avvertito che in Sardegna i rapporti tra ceti alti e ceti bassi (si parla della collocazione sociale, non dello spirito delle persone, che è insondabile) è molto intenso. Il problema non è nel rapporto in sé, ma nel valore che gli si attribuisce.”
Alla luce di quanto detto poi, sembrerebbe che il ceto basso sia criminale e contamini quello alto … già la definizione di alto/basso è ideologica … e come tale confonde la realtà…
Insomma, spesso non accade questo: chi è artigiano, pastore, è onesto ed è l’alto personaggio che cerca connivenze …
Mondo di mezzo o mezzo mondo?
Credo sia solo l’inizio, quando si arriverà a verificare gli atti compiuti dai vari rami dell’amministrazione regionale ne vedremo delle belle, vedi conferimento di incarichi dirigenziali ad personam, proroghe all’infinito di Commissari Straordinari lautamente retribuiti nonostante siano già pensionati della P.A., concorsi ritagliati sugli amici, parenti, politicanti e compaesani.
Confesso la mia ignoranza, ma non vedo nulla di magnifico in un rettore eletto forse grazie a tali influenze nell’università in cui si è laureato (sottotraccia) anche il sergente
🤷🏾♂️
Redde rationem in salsa loggia
Da tempo la Sardegna è invivibile e i giovani brillanti continuano ad abbandonarla. Rimangono quelli sistemati qua e là, incompetenti che spadroneggiano ovunque nelle istituzioni. C’è solo da sperare che l’inchiesta continui e che si faccia una vera pulizia perché sicuramente manca ancora tanto.
Che Flavio Carboni entrava e usciva liberamente dal palazzo del Consiglio Regionale è un fatto noto. Già questo è una cifra che avvalora il discorso.
Molto significativa l’immagine del ” massone” con un pezzo di pizza, dà l’idea dello ” spuntino tra amici. Improvvisati ma pur sempre amici”. E chissà quanti “spuntini sono stati fatti” in giro per la Sardegna. Ci auguriamo che le indagini proseguano, perché questo sistema “mafioso”, che a dire il vero è sempre esistito in Italia, in Sardegna sembrerebbe essere molto diffuso, negli ultimi tempi agisce spudoratamente, oramai non ci si nasconde più. Sembra che tutto sia normale. Basti pensare, per esempio, ad altri attuali assessori regionali che per l’estate 2023 avrebbero finanziato eventi, elargendo cifre spropositate a certi comuni piuttosto che ad altri. Molte domande sorgono spontanee : ” Ma non è che c’è un sistema per il quale noi ti o vi procuriamo voti e poi ci dovete rendere dei favori? Per esempio sistemando qua e là parenti o amici? Oppure facendoci avanzare di carriera o condendoci ciò che non potrebbe essere concesso, votandoci, etc. etc.?”
Questo sistema DEVE finire ovunque, anche se in Sardegna, abbiamo notato che questo modo di fare “mafioso” è molto accentuato specialmente nel mondo del lavoro, dove ci sono troppi raccomandati, spesso incompetenti e presuntuosi, in tutti i settori, nel pubblico e nel privato. La Sardegna non cresce e non crescerà mai così, con questa mentalità, perché se ti raccomandano e tu sei un incompetente, puoi solo fare danni, alle aziende e al paese. Eletto, nominato, assunto, assessore, sindaco, rettore, direttore, impiegato, giornalista, etc. etc. etc. è un disastro e lo stiamo vedendo tutti. Anche nel settore della comunicazione in Sardegna bisognerebbe che gli inquirenti svolgessero delle indagini. Chissà, speriamo davvero che sia solo l’inizio di una lunga serie di arresti. Poi evidentemente, sarà la Magistratura a decidere ma nel frattempo facciamo le indagini! Poi si vedrà!