Le caselle di posta elettronica di molti colleghi dell’Università di Sassari hanno ricevuto in questi giorni questo appello, predisposto da un insigne giurista dell’Ateneo. Lo scopo è difendere l’Università dall’accostamento alla parola ‘Mafia’ attraverso un documento sottoscritto dal maggior numero di docenti possibile.
Più precisamente: “Tutti i firmatari di questo documento affermano con forza che mai le loro scelte istituzionali (dall’elezione del rettore a quelle degli altri incarichi accademici, fino alle decisioni assunte quotidianamente nei Dipartimenti e nello svolgimento dei nostri compiti) sono state prese sotto l’intimidazione, la minaccia o anche solo l’influenza indebita di non precisate forze malavitose”.
A me pare un appello nobile, ma imprudente.
I colleghi hanno letto tutte le 400 pagine dell’ordinanza del Gip di Cagliari?
I colleghi sanno che non si tratta del fine indagine depositato da un PM, ma di uno stralcio e che le indagini sono inevitabilmente in corso?
I colleghi sanno che nessun magistrato ha mai affermato che nell’Ateneo di Sassari vi sono infiltrazioni mafiose?
I colleghi hanno notato che nell’ordinanza non si dice che alcuni pregiudicati hanno cercato contatti con accademici, ma il contrario?
Io non frequento magistrati e non li frequenterò finché continueranno ad essere sommari, ideologici, presuntuosi di poter giudicare la realtà senza fare la fatica di conoscerla nel dettaglio, però tutto si può dir loro, ma non che anche in questa circostanza abbiano fatto di tutta un’erba un fascio. L’ordinanza non è un atto di accusa contro l’Università e i titoli dei giornali citati e contestati dall’appello sono per lo più quelli della Nuova Sardegna, che però è anche il giornale che ha concesso una pagina intera al Rettore per dichiarare la sua estraneità ai fatti.
Sono questi elementi che rendono stridente il documento e lo espongono ad essere letto come un atto di difesa del Rettore che, se si sentiva di dover fare, doveva esser fatto in modo più diretto, esplicito e chiaro.
Invece no.
L’omissione accurata di qualsiasi parola di solidarietà al Rettore è la furbizia di chi conosce la giustizia e non si impegna sulla responsabilità personale altrui. Ma chi conosce la Sardegna sa che quando si vuole difendere un amico e si difende se stessi, significa che si dubita dell’amico. Quando un amico è accusato ingiustamente, ci si mette la faccia, il petto, il cuore, il prestigio, tutto. Metterci un unghietta smaltata è controproducente.
Ma si sa, noi accademici siamo candidi, per definizione.
O forse callidi?
Grazie per avere scritto questo articolo, che mi ha fatto spaziare un po’ la mente. Mi ha fatto riflettere sul valore di sapere dire “no”, magari a bassa voce. Mi ha fatto tornare in mente 12 professori universitari valorosi che, pur avendo qualcosa di importante da perdere, rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista (“Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante ed adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla patria e al Regime fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non si concilii con i doveri del mio ufficio”).
Erano Francesco Ruffini, Mario Carrara, Lionello Venturi, Gaetano De Sanctis, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi della Vida, Edoardo Ruffini Avondo, Fabio Luzzatto.
Gentile professore,
anziché scrivere appelli come quello dell’insigne giurista, i professori dell’ateneo sassarese dovrebbero preoccuparsi del discredito provocato all’università da un rettore che spuntina con certi personaggi. A loro posto ne avrei chiesto le immediate dimissioni
Perché solo ora questa presa di distanza dalle pesanti accuse di infiltrazioni mafiose all’interno dell’università? Perché non si sono allontanati i dubbi sulla laurea del Governatore dopo le varie inchieste giornalistiche? Forse perché OMISSIS una laurea a un appartenente alle istituzioni, un colletto bianco, è più “dignitoso” di avere a che fare, se confermato dai tre gradi di giudizio, con la delinquenza delle campagne e degli spuntini. Ecco, il fastidio credo sia tutto qui.
Nulla di nuovo, ma veramente nulla.
L’università di Sassari modificò mica tanti anni fa lo statuto per fare in modo che il rettore di allora e relativa corte continuassero negli affari splendidi e straniti.
(In via Roma si russava alla grande senza alcun problema)
Il dubbio è che ci sia una resa dei conti fra capuesusu e capudejosso, e poi, perdinci, vuoi mettere i signorotti di città rispetto ai bulli di paese (mi perdoni la citazione Professore)
Caro Professore, poiché la seguo da tempo conosco la sua onestà intellettuale, civile ed umana e solo per questo mi permetto di commentare il suo scritto su questa vicenda triste e demoralizzante. Non mi trova d’accordo sull’idea che traspare dal suo scritto di una Università immune, in quanto luogo di cultura, da bassezze e problematiche che non gli fanno onore. Il Rettore di Sassari è da sempre OMISSIS, è il front desk OMISSIS, ora pare anche di OMISSIS , ha dato il benvenuto all’ex onorevole Razzi (!!!) all’inaugurazione dell’anno accademico, continua a tenere secretate le tesi di OMISSIS. L’atteggiamento dei colleghi universitari è controproducente per chi si professa estraneo. Dovrebbero essere i primi a pretendere chiarezza. Ho paura che l’università dei falsi professori con lavori e pubblicazioni altrui vada profondamente rinnovata e riorganizzata. Ho paura, senza giustizialismo sbagliato e di bassa qualità, che il Rettore sassarese non sia altro che il prodotto di un ambiente arrivista con le buone o con le cattive. Forse una vittima di chi si è stancato dello “loro” sfrontatezza
Prof., la laurea data a solinas, qualche settimana prima della discesa in campo, come la definirebbe?
«Callidi»… Chie podet cumprèndhere in latinu, bonubroe (e pro cras puru!). Ma chie, pro ‘disgrazia’ de nois Sardos (tantu semus nàschidos dirgrassiados ca s’istória inoghe docet prus ignoràntzia ‘formativa’ istitutzionale) podet èssere chi assemizet sa peràula a «càlidu», sempre de su latinu ma solu chi sos Sardos cun sas “ellas”, revessos comente semus o cherimus èssere nessi pro sa mandronia de nos adderetare e mescamente pro sa ‘educazione’ maleducatzione istitutzionale ‘formativa’, cun sas “ellas” faghimus unu pagu a gustos e meda a pagu incuru o trascuru e una “ella” o duas… nos andhat bene totu, cioè male, che in tutto fa brodo chi distinghet sa pretzisione de nois Sardos in custas cosas e mescamente in àteras.
E menzus lezide carchi cosa preziosa ‘piscada’ in d-unu bonu vocabbolàriu mannu in “s’arretza” it’est custu «callidu/callidi» (e, àtera verténtzia a nois dirgrassiados Sardos, nudha de cufùndhere cun i CALLI, chi menzus namus “gallos” comente ischimus a fortza de tzapare/marrare a tzapu, a marra, a picu e a palą e fintzas a manu lìmpia, cioè bruta, imbrutada, e no b’intrat nudha cun i GALLI/pudhos).
Sa difinitzione de «callido»:
«callido /’kal:ido/ agg. [dal lat. callĭdus], lett. – [dotato di ingegnosità, spec. nel raggiungere un fine: il c. Ulisse] ≈ accorto, acuto, astuto, furbo, ingegnoso, perspicace, sagace, scaltro. ↔ gonzo, ingenuo, sprovveduto, sciocco.» (su sìmbulu ≈ sinónimos; ↔ contràrios).
Si tiat nàrrere su ‘donu’ prus mannu de sos polìticos.
E pesso chi siat pro cussu chi sunt azummai totu càlidos.
Una lettera ben più screditante della stessa campagna giornalistica.
La mia osservazione è diversa: un’istituzione che usa metodi mafiosi è difendibile? È solo il Rettore OMISSIS giuridicamente, ma è tutto il sistema che è marcio.
Il linguaggio, i modi, tutto è mafioso … non solo all’Università. Lo si vede negli ospedali, negli uffici pubblici. Perciò siamo chiamati tutti a rispondere davanti alle nostre coscienze. Perché basterebbe opporsi all’intimidazione, essere onesti. Rispondere con garbo facendo capire che le voci alterate non ci zittiscono.