di Paolo Maninchedda
La Giunta regionale ha già fatto un atto significativo verso la creazione di ciò che impropriamente si è chiamata Anas sarda. Infatti, nel disegno di legge approvato in Giunta per la riforma di Area, l’agenzia regionale per l’edilizia abitativa, si è provveduto ad ampliarne le funzioni in modo da renderla strutturata per poter prendere possesso, progettare e costruire (sempre attraverso bandi) le infrastrutture di cui la Sardegna vorrà dotarsi o che già esistono sul suo territorio ma non sono di proprietà della Regione (come, per l’appunto, le strade statali e provinciali). La prima scelta è dunque se acquisire al patrimonio regionale oltre le strade statali anche quelle provinciali.
Il quadro normativo è, per quanto invecchiato, comunque favorevole a questa soluzione: Decreto Lgs 461/1999; legge 112 1998; Intesa Istituzionale Stato-Regione.
Esiste un contesto nuovo, con l’arrivo del ministro Del Rio, che può declinarsi in un ruolo diverso delle Regioni nel peso per il riparto degli stanziamenti del Fondo di Sviluppo e Coesione (ex Fondi Fas) e ne peso che le Regioni possono e debbono svolgere nel Cipe. Il tema, infatti, è relativo alla distinzione delel funzioni eseritate e delle opere realizzate rispettivamente dallo Stato e dalle Regioni. Attualmente il epso dello Stato nel Cipe è sovrastante rispetto a quello delle Regioni.
Detto questo, esiste dunque un contesto politico aperto e un obiettivo politico praticabile e largamente condiviso che deve declinarsi, però, in una strategia finanziaria che lo renda sostenibile.
Proviamo a esplicitare gli scenari finanziari.
1 scenario: attualmente la Regione incassa i 7/10 del bollo auto, circa 75 milioni di euro. Non li usa per la manutenzione delle sue strade ma li ingloba nel grande calderone delle entrate che alimentano sanità, assitenza sociale, funzionamento e politiche varie di sviluppo più o meno credibili e sostenibili. Da domani si può decidere di destinarli annualmente alle sole manutenzioni; si reggerebbe così finanziariamente l’acquisizione della rete stradale nazionale. Ovviamente, proporzionalmente, occorrerebbe tagliare altre spese.
A fronte di tutto questo, ci resterebbero sul collo i 400 dipendenti del Compartimento Anas Sardegna, che più o meno costano 10 mln di euro l’anno. Si potrebbe negoziare allora con lo Stato il versamento dei 10/10 del bollo e poter così pagare da un lato il personale e dall’altro avere una scorta per gli investimenti. isogna ragionarci e far di conto.
Per la rete provinciale, occorrerebbe appropriarsi della quota di tributo provinciale presente nelle assicurazioni automobilistiche, tenendo conto che, per esempio la Provincia di Cagliari, ha dovuto innalzare l’aliquota al 16% (utilizzando 2,5 punti dei tre disponibili) per far fronte al disimpegno finanziario dello Stato nei trasferimenti a favore delle province a fronte, invece, dell’aumento dei contributi alla finanza pubblica di cui le province sono state ulteriormente gravate. In ultima istanza, le manutenzioni stradali provinciali sono, di fatto, sostenute da un aumento della tassazione indiretta.
Queste soluzioni hanno un difetto: la Regione si assume patrimonio e funzioni e lo Stato non trasferirebbe le risorse corrispondenti.
2 scenario: la Regione assume al proprio patrimonio i chilometri di strade statali ebprovinciali e lo Stato riduce di 100 mln gli accantonamenti che ogni anno si trattiene sulle compartecipazioni sarde (oltre 600 mln). A mio avviso questa sarebbe una buona battaglia, utile anche per altri scopi, per esempio per la soppressione delle province (nessuno ha ancora chiarito chi si farà carico dei mutui delle province, per esempio) o per il passaggio alla Regione della Finanza Locale (che vale circa 400 mln di euro, ma che libererebbe i Comuni definitivamente dal Patto di stabilità e, con l’Agenzia delle Entrate attiva, libererebbe la Sardegna in gran parte da Equitalia).
Io sono convinto, sempre a titolo personale, che se aumentiamo la sovranità esercitata e ci carichiamo i relativi costi, viene un po’ male allo Stato non rinunciare alla sotrazione annuale degli accantonamenti operata a nostro danno con legale destrezza.
Crolli e incompiute L’Assessorato da mesi sta monitorando tutto il sistema degli appalti delegati. Credetemi se vi dico che non è stato facile dire, di fronte all’Anas e ai colleghi dell’Università di Cagliari e di Roma che, sulla imprevedibilità del crollo sulla 554 bis io voglio vederci chiaro. Di fronte a loro ho dato incarico al Genio Civile dell’Assessorato di verificare le carte e i prossimi giorni firmerò l’incarico, sempre al Genio civile, di controllare tutto il percorso della 554 bis e della 125. L’Anas mi ha detto che lo sta già facendo. L’attività di controllo sulla Sassari-Olbia porterà a azioni nei prossimi giorni che non verranno particolarmente apprezzate dal sistema che in Italia vive intorno ai grandi appalti. Bisogna mettere ordine senza enfasi. Non c’è bisogno di Zorro, ma di Quintino Sella
Stiamo sbloccando molti appalti, eppure ogni volta che ci si mette per bene la testa si incontra da una parte uno spaccato dell’Italia dei decenni trascorsi e dall’altra il grande scoramento dell’Italia presente. Si incontrano con evidenza tutte le stratificazioni della politica del passato, la quale se fosse stata efficiente avrebbe oggi potuto chiedere perdono per i suoi vizi, ma obiettivamente non può chiedere perdono. Troppe opere sono bloccate e sbloccarle è una fatica impressionante, tuttavia bisogna farlo e non li può fare all’ingrosso. Bisogna prendere ogni singolo caso e lavorarci sopra. Come abbiamo fatto sulla Diga di Monti Nieddu, come abbiamo fatto per rimettere in moto i cantieri a Capoterra (un ritardo incredibile), come stiamo facendo sui tanti cantieri dell’idrico e del fognario, come stiamo facendo lungo i principali fiumi (Posada e Cedrino). Se si scorre l’elenco predisposto dall’Adisconsum, si può notare che sulle opere di interesse regionale (SS131, Sassari-Olbia, 554, Diga di Monti Nieddu) la macchina si è rimessa in moto. Sugli appalti di interesse comunale il discorso è diverso e molto più complicato. Perché siamo lenti in Sardegna? Perché la Sardegna non è abituata a lavorare come uno Stato, come un sistema coeso. Noi siamo un arcipelago sociale e istituzionale: una sommatoria di solitudini che si immaginano autarchiche e che invece necessitano le une delle altre.
Nei percorsi per sbloccare i cantieri e completare le opere si incontrano da un lato funzionari regionali ammirevoli per la signorile e silenziosa dedizione alla loro professione, gente a metà tra Gramsci e De Amicis che veramente potrebbe fare scuola professionale e morale a tanti giovani e meno giovani; dall’altro si incontrano pratiche e abitudini amministrative assolutamente inutili, inconcludenti ma pericolosissime per chi voglia risolvere i problemi senza poi averne nel futuro sul piano personale.
I 42 avvisi di garanzia sul ponte di Oloé stanno facendo riverificare tutte le procedure e le responsabilità, ma intanto nessuno si pone il problema che ci sono luoghi dove le strade e i ponti non hanno senso di esistere, eppure collegano i paesi che sono lì da secoli. Non possiamo scegliere la sede dei paesi della Sardegna. Questo talvolta sfugge. Alcuni sorgono sotto montagne che stanno franando. Come talvolta sfugge che le scelte degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, scelte spesso scellerate, non sono state fatte da commissari prefettizi italiani, ma da sardi in carne e ossa che hanno tombato fiumi, che hanno lottizzato le paludi, che hanno inquinato le lagune, che hanno fatto strade inutili e fatto invecchiare quelle utili, che hanno fatto malissimo le reti idriche e fognarie, che hanno costruito interi borghi marini senza reti fognarie, che hanno fatto le dighe e non hanno fatto la manutenzione adeguata. Che facciamo? Cerchiamo colpevoli o risolviamo problemi? Ci piangiamo addosso e aspettiamo che arrivino gli americani a risolverci i problemi così come ammazzarono le zanzare nel dopoguerra?
Chi vive il presente si trova comunque gravato di responsabilità secolari che non può sostenere singolarmente. Bisognerebbe ripensare cosa è accaduto nella nostra storia recente e capire che per mettere a posto il pasticcio di stratificazioni che è stato realizzato non basta indignarsi, bisogna stringersi insieme, bisogna lavorare duro, molto duro. E nel frattempo governare la paura di essere chiamati a rispondere dei disastri provocati da pioggia e vento.
Come ho già avuto modo di segnalare, il ponte di Oloé è stato progettato in modo idraulicamente sbagliato, dimenticando che sotto scorreva un fiume, per cui il progettista, sicuramente per “risparmiare”, ha pensato bene di realizzare un ponte con una luce che dimezzava la larghezza dell’alveo.
Nel corso di una piena importante, il fiume ha occupato tutto l’alveo, e trovandolo sbarrato ha eroso la scarpa del rilevato svuotandolo completamente.
Come non bisogna trascurare gli aspetti geologici, non bisogna trascurare gli aspetti idraulici, in particolare lo smaltimento delle acque piovane, vedi l’allagamento della 195 nella zona di Capoterra, dove i vigili del fuoco hanno dovuto abbattere i marciapiedi per liberare la strada dall’acqua e farla defluire nei campi, o vedi il frequente allagamento dell’asse mediano sprovvisto di caditoie sufficienti per smaltire le acque piovane