Oggi leggere L’Unione Sarda è stato motivo di acutissimo dolore, non perché è stato il giornale nel quale ho scritto tanti anni e oggi si legge in due secondi netti per rinuncia alla notizia, ma per la resa al salotto insipiente che la sta uccidendo.
Non è possibile che l’editore del giornale si prenda la briga di girare tutta l’isola a presentare un libro con una sua idea di Sardegna, che può piacere o non piacere ma è un’idea, e poi il suo giornale dedichi una pagina intera a una figura come Giuliano Guida Bardi che si conclude con l’appello all’insurrezione rivoluzionaria: “Aux armes, citoyens!”.
Non è possibile perché questi appelli non sono questioni da salotto e da marketing, sono cose serie quando si vive in una Repubblica fondata sullo stato di diritto. Chiamare alle armi, che è un reato grave, per banalmente vendere un libro, vuol dire avere perso il senso delle cose; dedicare una pagina a tutto questo è dissipazione intellettiva e finanziaria.
L’intervistatore è Luca Telese, che a me non piace per ragioni di sapidità, ma de gustibus non disputandum.
Quando tempo fa Sergio Zuncheddu mi propose di scrivere su L’Unione Sarda, mi disse che lo faceva perché voleva una voce che unisse analisi accurate ed eccentricità di vedute; voleva, insomma, un solitario che facesse pensare. Io accettai a una condizione: non essere pagato. Il denaro inquina tutto. Oggi il suo giornale pubblica un’intervista che in realtà ha tutti i crismi della pagina pubblicitaria, cioè regala soldi, per che cosa? Per una buona causa? No, per una banalissima operazione di marketing culturale di segno contrario (la ribellione, e l’indignazione come veicolo per la vendita di un libro e, se ci esce, per una carriera televisiva e/o politica.
Il senso dell’intervista è un po’ alla Vannacci: difendere i borghesi che hanno fatto l’Italia. Difenderli da cosa? Dall’oblio e dalla persecuzione burocratica e legale di uno Stato descritto come disordinato e oppressivo. L’accusa da chi viene? Da chi si riconosce ‘borghese’. E qui, invece, occorrerebbe mettere i puntini sulle ‘i’.
Essere borghesi significa, in positivo, lavorare sodo per migliorare la propria condizione, studiare e essere promossi nelle scuole, avere il senso del dovere, divenire autonomi economicamente senza chiedere favori, rinunciare al parassitismo e al servizio alla corte di un potente.
In negativo, significa anche percorrere fino in fondo la doppiezza raccontata da Stevenson e da Wilde, quell’essere lindi in pubblico e sporchissimi in privato, rispettabili per la legge e marci moralmente.
Il borghese classico conosce entrambe le lotte: quella per essere libero e quella per diventare buono.
Il finto borghese vive in genere immerso nella seconda lotta senza riuscire a vincerla. È da questo mondo che è fiorito un nuovo modello.
Si tratta dell’ “uomo alla moda”.
Prima la persona di cultura era una persona distinta, in senso etimologico: separata, riconosciuta come dotata di valore da altri già accreditati come valenti.
Oggi, invece, si accredita come uomo di cultura l’uomo alla moda. Come un rapper, che chiama le donne ‘troie’ può passare per musicista e strappare le prime pagine dei tabloid, purché abbia venduto milioni di copie, così uno di lingua sciolta che azzecca una battuta sagace su dieci, può passare per uomo di cultura. È l’effetto terribile che Pasolini aveva largamente previsto con l’affermarsi dei supermercati. Questi non sono ‘borghesi’, sono una via di mezzo tra i picari e gli avventurieri. Picari perché hanno il problema di mettere sempre insieme il pranzo con la cena, magari riuscendo a farli pagare agli altri. Avventurieri perché hanno un certo senso del rischio. Ovviamente non stiamo parlando di figure alla Cervantes, che andò in guerra, ci rimise un braccio, fu fatto prigioniero e progettò otto piani di fuga, che trovò un impiego e fece galera per non aver commesso il fatto ecc. ecc.; non stiamo parlando di Casanova, che scrisse l’Histoire de ma vie dopo averla vissuta non per autopromuoversi, ma per conservarsi. No, stiamo parlando di gente che cerca il colpaccio pubblicitario, che cerca di vendere per sistemarsi e per farlo frequenta gli ambienti snob che Jep Gambardella (l’idolo dei dandy italiani non attratti dal denaro) attraverserebbe con disgusto (e che di ambienti paracommerciali si tratti, è confermato dall’illeggibile, simmetrico, paginone dedicato dalla Nuova qualche giorno fa) .
Questo mondo non può chiamare alle armi. Primo perché sta mentendo sapendo di farlo; secondo perché è troppo smaccato il tentativo di utilizzare il disagio sociale per accomodarsi sul risultato economico di un po’ di vendite; terzo perché è sguaiato, stridente, frettoloso, troppo esplicitamente ipocrita. Tuttavia, è pericoloso: la violenza non è governabile, guai a evocarla anche solo per vendere un libro.
No, il signore non ha precedenti penali.
Ma il signore è stato condannato? Per concussione? Era stato anche arrestato.
È lui?
Allaaaarmi!… Allaaaarmi!… siam… terror dei comunisti.
In d-una ‘economia’ e civilia bàrbara, de gherra, a VINCERE E VINCEREMO costi quel che costi, seus totus chiamati alle armi e in su “fronte” de sa gherra cun totu is guvernos e formas de istadu ca in d-una ‘economia’ mundiale de gherra tocat a gherrare, ma no a farche e martedhu ma fintzes cun totu is ainas meda prus lébias ma po si campare e istare méngius pruscatotu cudhos chi prus ndhe tenent bisóngiu, e seus impreaos totus fintzes a “clic” e fintzes a disocupatzione e cristianos de iscartu iscartaos.
Chi siat unu fascimu ‘demogràticu’ ca cudhu nazi-fasci (chi Antoni Gramsci iat batiau de gherra) est tropu iscandhulosu?
Ma is leones chi bolent pònnere e agguantare is manos apitzu de sa fita prus manna de su mundhu ant a èssere cun eticheta “demogàticos” ma buratinajos soft de gente e de guvernos.
Epuru, si s’ONU no est mortu calecuna cosa si podet cambiare assumancus cumenciandho a firmare sa produtzione de is armamamentos prus distrutivos de gente, de logu, de òperas e de risorsas.
Peraltro ormai più “scrittori” che lettori
L’ho letto. Mamma mia! Una fatica leggere queste farneticazioni. Pur essendo una forte lettrice, credo che non comprerò mai questo libro. Tra l’altro non viene menzionata la casa editrice. Non è che siamo davanti all’ennesimo libro autoprodotto?
Comunque, per rifarmi, torno a leggere il libro che ho questi giorni sul comodino (La collina dei conigli), questo sì da consigliare caldamente.
Avevo appena finito di sfogliare l’Unione quando ho letto questo intervento. Non a caso ho scritto “sfogliare” e non “leggere”, perché concordo sul fatto che, ormai, sull’Unione, da leggere rimane ben poco. E tra le cose che ho saltato a piè pari, c’è proprio l’intervista a Guida Bardi. Non so molto di questa persona, che ho visto solo qualche volta su La 7 dalla Gruber ed ho trovato fastidiosa e supponente. Quindi non vedevo il motivo di perdere tempo a leggere quel paginone. Ma ora sono curiosa e vado a ripescarmi l’intervista……
Ho scritto anche io un libro dal titolo “Ogni c…….e può scrivere un libro “.