Sa tanto di accanimento terapeutico, di spina attaccata contro ogni logica a un malato terminale perfettamente consapevole – comunque vada – di avere i giorni contati.
La proroga di un anno della cassa integrazione per i 500 e passa lavoratori Alcoa incassata a Roma è vero, regala un po’ di ossigeno e permette di allungare il fiato in attesa che arrivi la decisione finale, ma da l’impressione che ancora una volta, l’ennesima, da Roma viene gettato dall’altra parte del Tirreno qualche pannicello caldo per far passare la nottata.
Certo, meglio un anno di cassa integrazione che niente, ma solo se non è un altro modo per prendere tempo e lasciare che sia.
Il governo nell’incontro al Ministero per lo sviluppo economico ha promesso impegno nella trattativa con Klesch, lo mantenga: se vendita dev’essere vendita sia, se ripartenza dev’essere ripartenza sia anche perché sarebbe l’unico modo per salvare pure i 400 lavoratori dell’indotto, ma guai a pensare che si possa ripartire senza ricontrattare e ridefinire il costo dell’energia, perché tutto sarebbe inutile e ogni tentativo destinato a fallire.
I sindacati sono cauti e fanno bene: ma niente come la vicenda Alcoa deve insegnare, a loro per primi, quanto sia inutile ostinarsi a guardare il dito invece che andare oltre e cercare la luna.