Lettera aperta alla Commissaria di ARGEA
Gent.ma Sig.ra Patrizia Mattioni, Commissaria di ARGEA,
mi presento: sono conosciuto come Mimmia ‘e Zappone e sono un vecchissimo pastore, di pecore e di vacche.
Ho fatto solo le prime scuole elementari, e dunque, seppure con molta difficoltà, riesco a scrivere e so far di conto. Mio padre, mi ha lasciato solo due cose: il nome di famiglia “sos de Zappone” e la dignità.
Perciò le scrivo questa nota, mosso, in pari misura, dalla curiosità e dalla compassione.
Lei, in data di ieri, ha inviato una richiesta straordinaria all’Assessora del Personale Valeria Satta, al Direttore generale del Personale e, per conoscenza, anche al Presidente Solinas e agli Assessori dell’Agricoltura e del Bilancio.
In tempi sventurati e straordinari, come quelli che viviamo, ci si aspetterebbe che una “richiesta straordinaria” sia finalizzata ad ottenere strumenti necessari per poter lavorare (presidi sanitari, dispositivi di protezione) o anche particolari deroghe per poter riaprire gli uffici e dare il proprio contributo a superare questa drammatica crisi.
Per esempio: da mesi si chiede che le pratiche di finanziamento presentate da agricoltori e pastori siano liquidate sulla base della semplice accertata completezza. Basterebbe coinvolgere i Caa, fare far loro piccole istruttorie e poi liquidare. e invece no.
Invece, senza nessuna remora o pudore, Lei scrive per richiedere alle casse regionali, quasi mezzo milione di euro per incrementare il fondo di posizione di ARGEA, in modo da poter dare, a tutto il personale dell’agenzia, soldi in più rispetto allo stipendio ordinario.
Negli stessi giorni nei quali, attraverso misure straordinarie, si cerca di arginare la tragedia sociale di coloro che, a causa dell’epidemia, hanno perso il lavoro o la possibilità stessa di lavorare, attivando cassa integrazione in deroga o distribuendo il piccolo contributo di 600 €, attraverso l’INPS, Lei, gentile Commissaria di ARGEA, non ha esitato a firmare una lettera formale per chiedere mezzo milione di euro per distribuire ulteriori incentivi a chi, almeno uno stipendio, lo ha assicurato tutti i mesi.
La richiesta nasce, secondo la Sua nota, per dare attuazione alla legge regionale che doveva risolvere il problema delle pratiche arretrate di finanziamento al settore agricolo.
Francamente, fin dall’inizio, la vicenda delle pratiche arretrate della Sua Agenzia è stata poco comprensibile nella genesi e ancor meno nella prospettata soluzione.
I numeri delle pratiche arretrate, che Lei stessa ha fornito, variavano alla stessa velocità delle previsioni metereologiche di marzo pazzerello, da 18.000 a 40.000, fino ad arrivare a 90.000, per poi scendere a 60.000, forse. Una babele indecorosa.
Alla fine, l’unico elemento certo, sono le quasi 15.000 pratiche di ristoro di danni da eventi calamitosi (neve, alluvioni e siccità) degli anni 2017 e 2018, che avete trasferito, dopo un lungo tira e molla, in carico all’Agenzia Laore.
Quindi, ad oggi, la Sua Agenzia deve gestire pratiche di finanziamento, certamente in ritardo rispetto ai tempi previsti, ma che rientrano nella ordinarietà dei compiti istituzionali, niente di più.
Credo, o forse spero, che Lei non si renda neanche conto di quanto la sua richiesta sia intempestiva e offensiva per tutti coloro che si trovano, giornalmente, davanti al problema di mettere insieme il pranzo con la cena.
Lei cerca anche di giustificare, questa ingiustificabile richiesta, perché, così scrive nella sua nota “l’epidemia di COVID-19 sta, purtroppo, determinando una crisi economica di dimensioni estremamente preoccupanti anche per l’intero Comparto agricolo isolano, destinatario degli aiuti ARGEA”.
Quindi nella sostanza, dato che il comparto agricolo è in gravissima sofferenza, la soluzione che Lei propone è quella di dare più soldi all’Agenzia ARGEA per incentivare i propri dipendenti a disbrigare le (famose) pratiche arretrate e “immettere liquidità nel sistema agricolo”.
Ulteriori commenti sono superflui e indurrebbero ad assumere toni poco urbani.
Mi limito ad invitarla a ringraziare, forse l’unica in Sardegna, la situazione drammatica che viviamo per la presenza dell’epidemia, dato che, in tempi normali e con una politica regionale meno distratta, le Sue dimissioni sarebbero già nelle mani di chi l’ha nominata.
Cordiali saluti
Mimmia ‘e Zappone
Stessi problemi sussistono in agea e nei vari ispettorati agrari… Tutte poltrone ben salde alle loro chiappe disfattiste… L’Italia è questa…. L’italiano è questo…
Cosa posso dire questa gente non aiuterà mai chi a veramente bisogno tanto è impegnata a curare il suo orticello burocrati (OMISSIS) buoni solo a (OMISSIS) lo stipendio prova ne è le pratiche arretrate quindi che fare: vanno rimossi fisicamente dai loro posti (OMISSIS) in modo che capiscano il male che fanno a chi veramente lavora!
Purtroppo questo è il modus operandi dei nostri Governatori.. gente incapace e priva di buon senso!
Io avevo già prospettato la soluzione. Riforma delle agenzie agricole.
1- riportare l istruttoria in seno alla assessorato alla agricoltura, istituendo una direzione generale dedicata;
2- fondere assistenza tecnica e ricerca in un’unica agenzia anch’rssa articolata in due direzioni generali.
In questo modo si sradicherebbe l insana consuetudine di attribuire la guida delle agenzie ai vari partiti di governo, privando di fatto l’assessore di turno del ruolo di coordinamento.
Ovviamente questo presuppone in assessore capace. Non dico eccezionale, ma semplicemente responsabile!!!
… toni poco urbani… Abbaidade, deo própriu “urbanu” no so: so nàschidu e créschidu in d-una bidhighedha e, oh, si bos paret pagu, in dainanti de unu de sos muntonarzos (noi naraimus chi lu teniaimus apalas de domo) e pessade cantu nos piaghiat s’arga, no solu sa nostra (chi si fit su “umido” che lu leaimus a s’ortu a ledàmine), ma mescamente s’arga de una parte manna de sa bidha!
Epuru – cun totu chi apo fatu sos annos de s’universidade in tzitade – apo zuradu de no andhare mai a istare in tzitade e so torradu a bidha, no a sa mia ma a un’àtera, chi est mia etotu che a donzi àtera bidha e tzitade de sa Sardigna (nessi).
E cun sos pisedhos mios de iscola, solu de paperi béciu ndhe amus collidu e leadu a una cartiera séighi tonelladas e apo connotu e connosco unu muntone de logos (namus totu su logu) a inghiriu de sa bidha prenos de bascaràmine, unu muntonarzu totu pínnigu, cosa de una “civiltà avantzata” chi faghet ischifu (che a custa “civiltà produttiva”) e candho a tzitade mi capitat de bi dèpere andhare, si che sezis intro est totu una meraviza (nel centro) chi bos tiaizis frimmare donzi pagos passos pro abbaidare, disizare, comporare, divertire… un’ira! Ma candho dae atesu si comintzat a bídere sa tzitade dae fora bidides in s’aera subra una nue (de cudhas candho est annuadu ma no proet), una néula in colore de tzoculate… Inzertade si est profumu o disinfetante o solu ària ossigenada de respirare a pieni polmoni.
Ite tio èssere deo? “Urbanu” no! (cussu est cosa de “urbanistas”) Bidhaju? Bidhúnculu? Bidharesu? No ndh’isco. Urbanu nono. Pro cussu, lezindhe custa chistione de ARGEA (e tambene si fit sa sola!), tio nàrrere chi prus de carchi “funtzionàriu” o “cummissàriu” e carchi àteru buròcrate (e no naro de chie l’at postu) tiat fàghere prus pagu dannu si lu mandhaiant a si campare faghindhe prus pagu dannu chirchendhe cocois, sitzigorrus, e no a s’iscrafi o iscimingiai sa conca puru sighendi a segai sa matza e is cambas a sa genti chi dhas portat giai segadas e depit campai trabballendi comenti si fait me is campus e is montis.