di Paolo Maninchedda
Ieri Il Sole 24 ore ha dedicato un’intera pagina al Taxpayer Italia 2016, un rapporto del Centro Studi Sintesi (un centro che sta nel Veneto e ha molto la testa nel centro-nord) che mette a confronto il livello di tassazione di ciascuna regione con la qualità dei servizi: infrastrutture, istruzione, salute, sicurezza, ambiente e benessere economico.
Questo è l’articolo.
Il dato più significativo è che la Sardegna è la regione peggiore d’Italia nel rapporto tra tasse e istruzione: solo 4 miserissimi punti. Siamo ultimi per livello di istruzione, calcolato sui punteggi medi Invalsi, sulla qualità del sistema universitario e sulla percentuale di 20-24 enni con diploma superiore. I dati dicono che mediamente siamo i più ignoranti della Repubblica italiana, e questo fa male. Questa è la nostra grande emergenza, dinanzi alla quale tutte le false emergenze iscritte nell’agenda della politica da strategie inspiegabili, appaiono paraventi per nascondere una confusione sul futuro del nostro popolo che è proporzionale alla distanza delle nostre scuole e università dalle strategie di crescita della nostra nazione sarda. È desolante vedere come i perimetri teorici e ideologici di tanti docenti siano ancora quelli di cinquant’anni fa o, peggio, siano una mera reazione isterica a quelli, realizzata con un’adesione meccanica a tutto ciò che non è sardo in nome di un’esterofilia provinciale di cui scrisse mirabilmente Antonio Pigliaru. Qui passa per essere un intellettuale chi divulga l’ultimo articolo pubblicato su una rivista inglese, non certo chi ha maturato una visione sostenibile della Sardegna e la mette in discussione senza protezioni di ruolo, come avrebbe fatto Abelardo, indimenticato (almeno da me) fondatore dell’università di Parigi. E se è vero che la democrazia non seleziona i migliori ma solo i più popolari, è anche vero che ciò che sta crescendo nelle amministrazioni pubbliche della Sardegna sta mostrando sempre più un gap culturale, rispetto alla media europea, da far paura. La nostra scuola disastrata sta producendo classi dirigenti e politiche inadeguate, molto esposte al neofascismo populista di radicata memoria nel costume italico.
Il secondo dato brutale è che nessun autonomista potrà dire che la qualità è legata alla dimensione, tirando fuori la solita stupidaggine che vuole che le nostre disgrazie dipenderebbero dal fatto che noi siamo pochi mentre in Lombardia, per esempio, sono tanti. Le regioni risultate migliori infatti sono: Umbria, Marche e Friuli.
Il terzo dato che ci sbertuccia è che la Sardegna è sempre tra le cinque regioni peggiori, ma tra queste è la prima per livello di tassazione. In poche parole, siamo la regina delle tasse tra le regioni povere, ma, nonostante questo, forniamo servizi peggiori rispetto a chi fa pagare tasse inferiori rispetto alle nostre.
Adesso ricordiamoci alcune nostre anomalie: abbiamo un gap infrastrutturale che aumenta di giorno in giorno perché non mettiamo da parte annualmente le risorse che servono per le manutenzioni ordinarie e straordinarie; non riusciamo ad uniformare il sistema dei rifiuti; non sappiamo neanche che cosa sia il benessere economico; la nostra sanità costa 3,3 miliardi di euro l’anno ed è nelle condizioni in cui è; la nostra scuola è tragicamente inadeguata.
Non si tratta più di mettere una pezza qui, un rattoppo là, una rassicurazione più in qua, una visione rassicurante più in là; si tratta condurre in salvo una nave in preda a una tempesta che rischia di travolgerla. È un compito per il quale non c’è apprendistato.