La rivoluzione legale Benvenuti. Sapete tutti che quello di oggi non è un convegno.
Non siamo qui per approfondire la conoscenza di questo o quel tema.
Questa è una riunione politica per parlare di temi politici: libertà, diritti, poteri, equilibri, produzione e distribuzione della ricchezza, di elezioni, di governo, di poteri.
Solo che le persone quando si riuniscono diventano qualcosa di diverso da ciò che erano prima, da sole.
Quando gli stamenti sardi si riunirono nel triennio rivoluzionario del 1793-1796, all’inizio erano nient’altro che un vecchio parlamento cetuale di preti, baroni e funzionari regi; quando si trovarono insieme, pretesero di essere un parlamento che faceva leggi.
Quando si divisero, invece, si uccisero a vicenda.
Il numero, l’unità, però, contano se li si sa usare, se li si vuole usare. Noi oggi abbiamo gli occhi di tutti addosso. Tutti si chiedono che cosa realmente vogliamo fare. Tutti si chiedono se abbiamo il coraggio di farlo. Oggi non solo i giovani chiedono un cambiamento radicale della Sardegna. Oggi sono i pensionati a dire che così non si può andare avanti. Oggi sono gli imprenditori che ti dicono che così non si può andare avanti. Chi vuole aprire un’attività artigiana, solo per il fatto di aprirla spende 17.000 euro senza neanche avere iniziato. Serve un cambiamento radicale. Eppure anche noi non riusciamo a dire il nome vero, perché ne abbiamo paura. Non riusciamo a dire ‘rivoluzione’. Perché i sardi sono stati messi in prigione e impiccati per non una, molte rivoluzioni. E allora in primo luogo togliamoci la paura.
Noi abbiamo molti giovani laureati; abbiamo molti professionisti; molti diplomati, ottimi impiegati, molti artigiani.
Noi oggi abbiamo cultura. Noi siamo due secoli che studiamo non solo come fare una rivoluzione senza farci arrestare, ma anche senza perdere una pensione, senza perdere un posto di lavoro, senza perdere un soldo.
Oggi sappiamo farlo perché abbiamo cultura di governo; siamo un’assemblea di gente che sa governare i processi. Siamo gente cui non piace né il disordine né il ribellismo. Ma siamo gente che sa cambiare il corso delle cose.
Noi oggi sappiamo come fare un rivoluzione legale.
Vogliamo farlo.
Come lo facciamo? Questo è il tema di oggi.
Non una Regione ma una Ragione Perché tutti i governi italiani di Destra e di Sinistra sono stati profondamente sleali con la Sardegna e l’hanno sempre costretta a un defatigante contenzioso per ogni suo diritto, dagli accantonamenti ai trasporti, dal fisco alla scuola, dalla sanità agli enti locali?
Per un motivo semplice: perché avevano di fronte solo le Giunte e parte dei Consigli regionali, non la Sardegna.
Mi spiego meglio. Quando una società ha interessi diffusi comuni, condivisi, riconosciuti, e poteri per difenderli, l’alternanza tra schieramenti politici per determinare chi debba governare porta a egemonie politiche con diversità di prospettive, ma non a sconvolgimenti di sistema: gli interessi comuni restano condivisi e difesi.
Quando una nazione, invece, non ha ancora i suoi interessi comuni riconosciuti e condivisi e non ha poteri per difenderli, anzi, si trova dentro un ordinamento che rende difficilissimo difenderli, ogni volta che si divide per conquistare il piccolo potere autorizzato dall’ordinamento, indebolisce gli interessi comuni perché la contesa li nasconde.
Perché sia la Giunta Cappellacci che la Giunta Pigliaru sono dovuti finire di fronte alla Corte costituzionale per tentare di riprendersi i famosi accantonamenti, che oggi cumulano quasi 2 miliardi di euro?
Perché è stato possibile che dinanzi alla denuncia del miliardo e 200 milioni di tagli nei trasferimenti dello Stato ai Comuni sardi, più un altro miliardo e 400 milioni fermi nelle casse dei comuni per le regole del bilancio armonizzato, non sia accaduto niente, assolutamente niente?
Come è possibile che lo Stato italiano dica formalmente che non può estendere ciò che riconosce alla Val d’Aosta o al Trentino alla Sardegna, perché la Sardegna non è stata adeguatamente furba nei patti sottoscritti da Soru e da Paci?
Questo è potuto accadere perché il Governo ha sempre saputo di avere di fronte non un popolo coeso, pronto a scendere in piazza e a porre la questione politica centrale, cioè il potere, l’organizzazione e la disponibilità dell’ordine delle cose, ma invece ha sempre saputo di avere di fronte una Giunta, una maggioranza, che aveva contro un’opposizione e non aveva alcuna capacità di mobilitazione generale reale della popolazione.
Bisogna cambiare prospettiva: la Sardegna per noi non è la Regione, è la nostra ragione.
La Sardegna prima della Destra e della Sinistra Per questo è nata questa assemblea, perché l’iscrizione automatica dei sardi agli schieramenti tradizionali dei sardi indebolisce la difesa degli interessi nazionali dei sardi.
Faccio esempi di come un elettore sardo di destra o di sinistra alla fine si trova di fronte al dilemma del favorire la sua parte contro gli interessi dei sardi o se fare il contrario.
Come si pone un elettore sardo che simpatizzi per la Lega, sapendo che la Sardegna perde circa un miliardo di euro l’anno che vanno al Veneto e alla Lombardia nel passaggio della benzina raffinata in Sardegna dai depositi fiscali ai depositi commerciali di quelle regioni?
Il tributo matura in Sardegna, ma l’incasso matura nelle due regioni più ricche d’Italia? Come sta di fronte al fatto che Malpensa sta uccidendo tutto il know how tecnico delle manutenzioni dell’aeroporto di Olbia? Come fa a non ricordare che, nei governi di Destra italiani, nei più importanti trattati commerciali internazionali prodotti Doc pressoché soltanto veneti e Toscani?
Vogliamo parlare dei migranti?
Noi non siamo per niente razzisti, siamo contro ogni nazionalismo, contro dazi e truppe al confine, contro ogni guerra e ogni spirito guerreggiante. Noi salviamo la gente in mare. La Sardegna è terra di naufragi da millenni.
Noi ci ricordiamo benissimo, tutti i giorni, Auschwitz e non giriamo la faccia di fronte ai lager libici. Noi conosciamo il dolore e la violenza e li combattiamo.
Ma siamo anche contro il disordine e il lassismo dell’Italia che consente ai clandestini l’accattonaggio e il commercio in nero vietato ai sardi, siamo contro le espulsioni fasulle, poniamo da Nuoro, che generano residenze clandestine tollerate ad Aritzo, come venne denunciato nel nostro convegno di Nuoro. Noi siamo contro la concentrazione in interi quartieri di gruppi coesi di clandestini che fanno sentire gli altri residenti come ospiti. Siamo contrari all’assalto dei venditori nei parcheggi.
Noi sappiamo che i clandestini consumano lo spazio di integrazione e di legalità degli immigrati regolari.
Ma quando noi decidemmo di combattere legalmente e in punta di diritto i clandestini riaprendo il carcere di Macomer, noi ci trovammo contro il Pd locale e la Lega. Quando si difende la legalità col diritto e non con la retorica, si scopre che dietro la retorica c’è la manipolazione.
La Sardegna ha interessi contrapposti ad altri interessi, bisogna ricordarselo. Poi si parla con tutti, ma uniti intorno a interessi e valori.
A Sinistra: la sinistra italiana ha preteso dai sardi di sinistra che si schierassero a favore dei referendum istituzionali di Renzi, che avrebbero indebolito i già deboli poteri dell’autonomia.
La sinistra italiana ha costretto al sinistra sarda al silenzio quando Renzi prima promise a Paci di non applicare nuovi accantonamenti e poi, il giorno dopo, li applicò di nuovo.
La sinistra italiana ha difeso e coperto la protervia militaresca della ministra Pinotti, quella che in vacanza faceva le ricognizioni in elicottero, che ha fatto spallucce dopo le gravi e importanti risultanze sui poligoni sardi della commissione Scanu sull’Uranio impoverito.
La sinistra non è riuscita a ricordare al ministro degli esteri del Lussemburgo che i nostri emigrati lavoravano, non chiedevano l’elemosina o la grazia. Lavoravano e venivano pagati. Punto. Ce lo ha insegnato il socialismo a non considerare il lavoro un favore.
È un certo italianismo della sinistra che ha fatto passare come acqua fresca l’importante documento del Pd della Gallura che spingeva verso la costituzione di una sinistra sarda. Grave errore, perché se la Sinistra italiana non ha più l’entusiasmo che anima chi vuole realizzare un riscatto, qui in Sardegna il nostro riscatto è tutto da fare.
Se dunque si appartiene prima alla parte e ad ogni costo alla parte e la parte è costituita sugli interessi italiani e non su quelli sardi, la vittima designata è la Sardegna.
Il prima nazionale della Sardegna Non sto affermando che non esistano i sardi di Sinistra e quelli di Destra.Affermo che questi, come fecero la sinistra e la destra italiane per l’Italia nei primi anni del dopoguerra prima dello scoppio della guerra fredda, devono prima unirsi per costruire un nuovo ordine della Sardegna e poi dividersi per governarla. Ma c’è un prima nazionale della Sardegna da fare per costituire l’ordine dei poteri che difenda i nostri interessi, e c’è un ‘dopo’ dove la naturale diversità dei presupposti culturali ha diritto e dovere di manifestarsi.
Ciò che manca nella storia è il prima nazionale sardo.
Perché questa riunione, con questi contenuti, è stata voluta fortemente da molti amministratori, da molti sindaci?
I Sindaci e lo spirito di comunità Perché i sindaci sono coloro che più di tutti interpretano lo spirito di comunità.
Diventano tutti sindaci come uomini di parte, ma un attimo dopo si trasformano necessariamente in rappresentanti complessivi di tutta la comunità. E alla fine scoprono che spesso le parti sono strumentali, sono vestiti utilizzati per coprire scontri tra ambizioni piuttosto che tra visioni.
La stragrande maggioranza dei sindaci della Sardegna sono eletti in coalizioni civiche e non di partito.
I partiti rinascono alle regionali e alle politiche italiane. Quando si sta nei paesi e nelle città, inevitabilmente trionfa il civismo.
Perché? Perché, se non perché nelle piccole dimensioni è maturato quel senso di comunità, di nazione, che ancora nei grandi numeri non si avverte?
Io penso che i sindaci della Sardegna dovrebbero candidarsi in massa alla regionali per portare non i localismi nel Consiglio regionale, ma il senso dell’unità della nostra società.
Non capisco perché si chieda loro di essere presìdi istituzionali per cinque anni e portatori d’acqua alle elezioni. Le avanguardie di partito devono accettare sportivamente il confronto con le eccellenze istituzionali.
Non importa, in uno scenario del genere, chi dovesse essere eletto, importa costruire una Camera dei Comuni, dei Maiores, che rappresenti a livello grande ciò che si sperimenta già a livello più piccolo.
Candidatevi.
Facciamo liste, più liste in ogni territorio, ma un unico programma nazionale. Cambiamo tutto.
Nei livelli locali si è registrato il più alto tasso di rinnovamento della classe dirigente sarda.
Bene, portiamola a governare con lo stesso spirito di unità, di concretezza e di cambiamento.
Noi aiutiamo.
Noi ci mettiamo a disposizione.
Però, tutti in campo, tutti impegnati, tutti coinvolti.
Serve veramente un Consiglio regionale di lotta, costituente, legato ai territori, capace di essere pratico ed efficace.
La rivolta fiscale Solo un Consiglio regionale siffatto potrà avere il coraggio di varare la Commissione d’inchiesta sull’operato dell’Agenzia delle Entrate in Sardegna. Guai a pensare che l’imminente condono esaurisca il problema fiscale della Sardegna. Noi subiamo lo stesso fisco delle regioni italiane dove il reddito pro capite è quasi il doppio di quello sardo e noi subiamo più controlli e più accertamenti di qualsiasi cittadino italiano. Il tema politico è la persecuzione fiscale, non la grazia temporanea che munge più dolcemente ma poi mantiene in campo la persecuzione.
Senza una grande rivolta fiscale noi non riusciremo mai a produrre un aumento della ricchezza sostenibile necessaria allo sviluppo civile della Sardegna.
E non è possibile farla se non si è uniti.
Si stanno ripetendo cose gravi già accadute nel passato.
Ricordate quando l’Italia pretese che la Sardegna pagasse la costruzione delle sue ferrovie con i 200.000 ettari dei terreni ademprivili? I sardi venivano condannati a pagare le infrastrutture, che nel resto d’Italia venivano realizzate con le tasse pagate anche dai sardi, con il ricavato della vendita di 200.000 ettari di terreni ad uso comunitario affidata a una società italo-inglese? Poi il disegno fallì, ma fu tentato.
Oggi chiedetevi, per fare un ultimo esempio, chi ha pagato la banda larga in Sardegna? I sardi. E che cosa adesso pretende Telecom, ex azienda di Stato che ha oggi un privilegio da monopolista in Sardegna derivatogli dall’essere stata azienda di Stato? Pretende che per rendere operativa la rete i sardi paghino ancora. La storia si ripete se chi, come noi, non impara niente dalla storia.
Primarie nazionali della Sardegna Tutti sappiamo che chi fa politica, come chi vive, sbaglia. La Sardegna deve imparare ad accantonare la tecnica del rinfaccio e dell’annientamento dell’avversario a fini elettorali.
Se si parte dal presupposto che chi decide sbaglia di più di chi non fa nulla, si deve arrivare a comprendere che l’errore di parte non può essere il motivo dell’assenza di dialogo tra le parti.
Noi, credo lo si sia capito, proponiamo un grande sovvertimento delle cose consolidate in Sardegna.
Serve un evento storico inatteso, non servono i veti incrociati, le divisioni a priori.
Serve anche un metodo per ritrovarsi tutti insieme.
Serve un’esperienza di unità ma non di uniformità, un ‘prima nazionale’.
Serve istituzionalizzare l’unità e valorizzare la competizione delle differenze possibili.
Nessun candidato alla presidenza imposto da nessuno. Scegliamolo tutti insieme, ma dentro una cornice che ci unisca. Un candidato che si autocandidi, fa un esercizio di narcisismo. Un candidato che venga scelto dalle segreterie dei partiti, svela di essere subordinato alle oligarchie di partito. Un candidato scelto dal popolo, rappresenta il popolo.
Noi proponiamo che la Sardegna organizzi per fine novembre le primarie nazionali sarde a cui può partecipare chiunque dica solo una cosa: la Sardegna è una nazione, una comunità di valori e di interessi nazionali che vuole i poteri necessari per difenderli e interpretarli.
Questo vuol dire fare una rivoluzione legale.
Immaginate che cosa significherebbe in Italia e in Europa affermare che la Sardegna è una nazione e organizzare in ogni paese e città primarie nazionali per scegliere il candidato presidente.
Chi potrebbe contestarne la legalità?
Ma anche: chi non si accorgerebbe che significa l’inizio di un cambiamento profondo dei rapporti con tutte le istituzioni?
Non importa dove ognuno militi, dove militino i candidati; importa che ci si riconosca in uno schema di costituzione e difesa dei nostri interessi.
Se sindaci, sindacati, aziende, partiti riconoscono questa cornice essenziale e si decide di fare primarie non odiose ma gioiose, ordinate, pacifiche, di contenuto e di programma, noi cambiamo la storia.
Non primarie del centrosinistra, del centrodestra o autonomiste o indipendentiste.
No, primarie nazionali sarde.
Poi vinca chi prende più voti, tutti ne saremo felici.
Noi abbiamo bisogno di un obiettivo comune che diventi un’emozione e una motivazione.
Abbiamo bisogno di fare un’esperienza insieme che non sia una lotta tra noi.
Se ci uniamo in primarie nazionali, la storia cambia direzione.
Noi dobbiamo ripetere:
La Sardegna è la nostra ragione. Facciamola diventare una realtà europea.
Come vedete è possibile fare rivoluzioni profonde e profondamente ordinate, ma vere e senza farsi arrestare, senza perdere un pensione, senza perdere un soldo.
Se voi, stamattina, alla fine, deciderete, questa storia nuova inizia oggi.