Riceviamo e pubblichiamo da Pina Garippa, con una sua breve introduzione, il testo dell’intervento di Suor Silvia Carboni, pronunciato dinanzi a Francesco Pigliaru il 3 febbraio scorso.
Ho avuto la fortuna nella mia vita di fare molti incontri speciali, umanamente e professionalmente. Gli incontri negativi hanno avuto il pregio di farmi prendere distanza da certo agire, da certo pensare e credo sia stata una fortuna anche questa.
Un incontro felice e di crescita riguarda una comunità speciale dove vivono suore speciali.
Una di loro è una suora senza velo per via di una dispensa, anch’essa speciale che mi ha detto “non è necessario che fai il mio nome”, ma io lo faccio, non per darle una visibilità che non le serve, ma perché credo, coerentemente con il mio pensiero, che ci sono persone nella nostra amata terra che hanno testa e cuore per risollevarla. E lo fanno tutti i giorni.
Lunedì 3 febbraio davanti a una sala di operatori sanitari e sociali nell’incontro voluto da Francesco Pigliaru a Cagliari, Suor Silvia Carboni, delle Missionarie Figlie di San Girolamo Emiliani (note ai più come Suore Somasche) ha pronunciato un discorso che è il frutto di tanta esperienza, di tanta formazione, di tanta vita spesa a favore degli ultimi. Perchè Silvia è una persona profonda e concreta. Che ha tenuto a precisarmi che lo stesso discorso lo avrebbe pronunciato davanti a Cappellacci, se la avessero invitata. E che se la divulgazione del suo pensiero, che è il pensiero di tanti operatori che come me collaborano con lei, serve a far cambiare le politiche sociali “ben venga”. E’ il frutto di un lavoro quotidiano, di chi gestisce una comunità per adolescenti e non solo.
E’ un discorso che punta a una buona prassi delle politiche sociali.
E’ il riassunto della mia politica. Quella in cui credo e in cui spero tornino a credere in tanti.
Di seguito il discorso integrale di Suor Silvia.
Pina Garippa
di Suor Silvia Carboni
“Non è facile parlare per ultima. Sicuramente i problemi presentati da chi mi ha preceduto, rappresentano aspetti importanti che necessitano soluzioni urgenti. Ma io non vorrei in questo breve intervento aggiungere il 12° problema.
Credo che per il politico che è chiamato a decidere un domani sulle priorità, sarà difficile dire che un problema è più urgente di un altro. Se poi il confronto è tra il sociale e la sanità….i problemi del sociale passano sempre in secondo piano, come spesso ho visto.
Qualche riflessione che viene dalla nostra esperienza.
1) Il sociale come la sanità
Intanto credo che il sociale dovrebbe essere concepito come il sanitario, con servizi essenziali di base, un pronto soccorso sociale che interviene nell’emergenza, professionisti di ruolo che garantiscano un servizio e non legati ad un bando di gara. Immaginiamo se un ospedale avesse il 90% degli infermieri e dei medici assunti secondo le logiche delle gare d’appalto. Se solo il primario fosse stabile e tutta l’equipe medica cambiasse ogni 6 mesi! Sarebbe antieconomico anche per i costi legati alla formazione del personale! (penso ad esempio ai servizi dei PLUS).
Ebbene. Anche il sociale non può continuare a rispondere a logiche assistenziali, con servizi soggetti a finanziamenti temporanei e personale che cambia continuamente. La professionalità passa per l’esperienza e formazione. Il continuo cambiamento non lo garantisce. Occorre un pronto soccorso sociale, h 24, capace di gestire l’emergenza. Il sociale deve intervenire prima che le situazioni degenerino, prima che una piccola ferita provochi una emorragia inarrestabile!
Un esempio. Siamo in piena emergenza educativa. Eppure tutti coloro (genitori e insegnanti) che si trovano ad affrontare l’emergenza non hanno punti di riferimento. I servizi sociali degli enti locali sono sovraccarichi. Idem i Consultori Familiari. E le persone non sanno a chi rivolgersi. Le situazioni degenerano e alla fine si arriva a ricoverare i giovani o presso la Clinica di Neuropsichiatria o in comunità, pur essendo questi due interventi spesso non rispondenti al bisogno delle famiglie che al contrario necessitano di altri tipi di supporto, più efficaci e meno dispendiosi, come un supporto alla genitorialità, un sostegno psicologico ed educativo.
Oppure al contrario, si attivano degli interventi incompleti che rendono vani gli sforzi educativi pedagogici degli operatori ed economici delle amministrazioni pubbliche.
Per esempio nella realtà dei minori in comunità, abbiamo il problema dei 18enni dimessi dalle comunità. Si tratta di giovani che per 3-4-5 o a volte 10 anni, sono stati in comunità e che al 18° anno di età non potendo rientrare in famiglia… dove vanno? Dopo anni di vita in comunità, non hanno punti di riferimento esterni. Sono soli. Senza casa e senza risorse economiche. Ancora troppo piccoli per poter vivere in autonomia. Senza un “dopo di noi” spesso finiscono o nel circuito penale o nel circuito della sofferenza mentale o dell’assistenzialismo!
Ogni minore in comunità costa minimo 30 mila euro all’anno. Ci sono neomaggiorenni che sono stati in comunità anche 10 anni, per una spesa che si aggira sui 300 mila euro. Assurdo pensare che dopo 10 anni in cui uno ha vissuto fuori famiglia, al compimento del 18° anno, solo perchè non è piu minore e non è una categoria che rientra nei “bilanci comunali”, non ci siano servizi adeguati per accompagnare il giovane in un percorso di supporto all’autonomia.
Chi di voi ha un figlio 18enne in casa, sa bene che oggi, nessun 18enne che vive in famiglia è capace di una vita autonoma. Su questo aspetto la Regione ha legiferato una normativa innovativa, ma purtroppo ogni anno il budget è diminuito fino alle risorse attuali totalmente insufficienti. Eppure qui si parla di diritti fondamentali.
2) Effetti negativi del passaggio da una vecchia a una nuova normativa
Quando arriva una nuova amministrazione, un nuovo dirigente, in genere “spazza” via gli interventi fatti in precedenza. Magari si tratta di interventi necessari, ma non sarebbe opportuno togliere il “vecchio” se non è stato costruito parallelamente il nuovo (per esempio legge 23 del 2005 di riordino dei servizi alla persona che ha superato la legge 4/88. Azione necessaria.
Peccato che sono stati approvati i decreti di attuazione solo nel dicembre 2013 e che questi per essere applicabili necessitano di alcuni passaggi non ancora fatti. Un buco di 8 anni all’interno dei quali, i “furbetti”, senza controllo si sono intrufolati. Risultato? Ad oggi non esiste un elenco regionale delle comunità per minori. Quando la fondazione “Isperantzia” ha cercato di creare un elenco unico delle comunità per minori autorizzate, incrociando i dati degli elenchi regionali, comunali, e della Procura Minori, ha constatato che c’erano comunità non autorizzate che accoglievano minori!
3) Maggiore controllo, maggiore trasparenza, maggiore tutela
Questi problemi si potrebbero ovviare con un intervento di razionalizzazione del sistema, con una semplice anagrafe protetta dei minori in comunità con diversi livelli di accesso che permetterebbe non solo una maggiore tutela dei minori (la procura avrebbe continuamente la situazione dei minori aggiornata) ma anche una maggiore razionalizzazione della spesa pubblica.
Le risorse economiche? Ci sono ma sono mal spese Avendo l’esperienza in terra di missione, ed essendo stata per qualche anno membro di un gruppo tecnico presso l’assessorato alla sanità, mi permetto in questa sede di affermare che non è vero che ci sono pochi soldi. I soldi ci sono. Sono mal spesi. E le logiche di spesa sembrano rispondere più alle richieste del singolo che ad una analisi del bisogno!
Gli interventi spesso sono sovrapponibili (es. equipe specializzate per le adozioni internazionali). Purtroppo mi rendo conto che ci sono delle “categorie di persone” più tutelate di altre. I minori fuori famiglia, in questo senso, appaiono come “figli di un Dio minore”, per non parlare dei detenuti e degli ex detenuti (per i quali spero ci sarà un incontro apposito.).
Non ho certamente la competenza per fare una scala di bisogni. Credo però di poter dire che in un momento di crisi come questo, dove non c’è una sovrabbondanza di risorse economiche, il 1° obiettivo del politico nel suo legiferare è quello di garantire a tutti una vita dignitosa.
Ci sono dei diritti costituzionali da salvaguardare per tutti. La legge non può garantire una famiglia, ma deve garantire che ogni minore fuori famiglia abbia gli stessi diritti di un minore che vive in famiglia. Non stiamo parlando di qualità della vita, ma di diritti costituzionali.
E’ pertanto una responsabilità anche di noi operatori sociali e della sanità: quando ci facciamo portatori di bisogni, dobbiamo sempre tener conto che il nostro non è l’unico bisogno. Quando la coperta è corta, non si riesce a coprire tutti i bisogni.
Ma questo è quello che spesso succede nel sociale rispetto alla sanità. Questa coperta, cercando di coprire i sacrosanti bisogni della sanità, inevitabilmente lascia scoperti molti “bisogni” essenziali” del sociale che ad un certo punto si trasformano in problematiche sanitarie! (con costi ben più elevati rispetto all’intervento nel sociale, se fosse stato fatto al momento giusto).
Parafrasando san’Agostino, credo che ognuno di noi dovrebbe pensare un pò di più come “persone d’azione ma agire come persone di pensiero”.
Dobbiamo vivere il presente, sognare l’avvenire ma soprattutto imparare dal passato.”
Grazie a Pina Garippa per averci dato l’opportunità di leggere l’intervento di Suor Silvia Carboni: c’è di che riflettere!
Leggo, tra le righe, tirate d’orecchie ma anche tanta progettualità.
Ai prossimi amministratori Regionali il compito della corretta e concreta interpretazione dei buoni, saggi e “gratuiti” suggerimenti.