Quando ho fatto il consigliere regionale della Sardegna, le relazioni tra i membri del Consiglio erano ben rappresentate dalla parola ‘collega’.
Ognuno si sentiva parte di un’istituzione comune, nella differenza dei ruoli, delle funzioni e anche dei caratteri.
Nascevano e si consolidavano anche amicizie autentiche, profonde, ma in generale i rapporti rimanevano formali, oscillanti tra la cortesia e la competizione, non tanto per ragioni di temperamento, quanto per la necessità di tenere distinti i ruoli di maggioranza e opposizione.
Mi spiego con un esempio.
Mi ha sempre colpito un episodio raccontato da Cossiga sui suoi rapporti con Berlinguer. I due erano parenti, alla lontana per l’Italia (le mamme cugine), ma alla sarda più che stretti.
Siamo nel luglio del 1980, Cossiga era Presidente del Consiglio e si era saputo che qualche mese prima aveva avvertito il suo compagno di partito, Carlo Donat Cattin, vicesegretario della Dc, più volte ministro della Repubblica, che la Polizia cercava il figlio Marco come membro attivo dell’organizzazione terroristica di sinistra Prima Linea.
Il Pci, guidato da Berlinguer, voleva mandare a processo Cossiga.
Si pensò a una cena per stemperare le posizioni.
Venne organizzata, il giorno prima del voto alla Camera, da Gerardo Chiaromonte, a casa di Ugo Pecchioli, il ministro degli Interni del Pci.
L’obiettivo di Chiaromonte era provare a comporre, in modo da non arrivare al voto.
Cossiga fu cordiale, Berlinguer quasi muto.
Alla fine della cena, Berlinguer disse: “Comunque, Francesco, noi domani votiamo per la tua incriminazione”. Non si può essere contrapposti e avere troppa familiarità, perché alla fine si intossica il sistema. Berlinguer tacque per non essere costretto dalle circostanze a provare imbarazzo a dover dire che non c’erano santi: il Pci voleva la testa di Cossiga.
Ho capito questo codice in ritardo e anch’io ho frainteso slanci tattici di cordialità come amicizia sincera e, viceversa, non ho saputo riconoscere aperture sincere, ma paludate in politichese. Talvolta penso che bisognerebbe iniziare a fare politica quando la forza degli ormoni si fa quotidianamente meno esigente, dopo i sessant’anni, quando si passa dal quotidiano al triduo; prima un uomo è naturalmente troppo reattivo.
Insomma, prima c’era la consapevolezza della distinzione tra maggioranza e opposizione e della sua utilità.
Qualcosa è cambiato dalla legislatura Solinas in poi.
Non per colpa di Solinas (che è un genio degli acconti immobiliari, ma non delle leggi finanzairie), ma per accordo bipartisan in Consiglio e con un gran concorso dei consiglieri regionali che fanno anche i sindaci dei piccoli comuni (una disgrazia per la Sardegna intera).
Dalla legislatura Solinas in poi i consiglieri regionali sono diventati soci, come mi ha detto un acutissimo osservatore politico.
Il terreno dove la colleganza è diventata società è stato fornito dalle tabelle allegate alle leggi finanziarie, nelle quali ciascun consigliere regionale, con budget prefissato e differenziato tra maggioranza e opposizione, ha potuto far pervenire decine di migliaia di euro a chi pareva a lui.
Chi è socio non può più farsi la guerra.
Questo è il vero motivo per cui l’opposizione di centrodestra ha permesso la follia della discussione di una leggina sanitaria, ricca di falle e di errori, prima della legge finanziaria, facendo entrare quest’ultima in Aula al terzo mese di esercizio provvisorio.
In un paese normale, l’opposizione, dinanzi a una scelta che paralizza, di fatto, la spesa per un altro anno, scatenerebbe l’inferno.
Ma tra soci questo non si fa.
Tra soci si cerca di capire quale vantaggio può trarre il socio di minoranza dagli errori di quello di maggioranza senza però renderglieli letali.
Si spiega così perché, in una situazione emergenziale, quale è quella della Sardegna, con anche la Cgil che rumoreggia contro una Giunta inconcludente, la politica tenti di ricondurre tutto alla placida e normale dialettica tra le parti.
Tutti dicono che la situazione è gravissima, ma non seria.
È vero il contrario: la situazione è serissima, perché, come ha scritto l’Economist, le categorie del sodalizio politico, nel mondo, si stanno pericolosamente approssimando a quelle del sodalizio criminale. Se questo stia avvenendo anche in Sardegna, giudicatelo voi.
Il cambio di status (da collega a socio) è abbastanza evidente. Basterebbe leggere il contenuto delle cosiddette leggi omnibus per vedere la continuità nell’attività di distribuzione di risorse a pioggia anche dopo il cambio della maggioranza in Consiglio; il generale consenso di tutti attorno a tali iniziative; la coincidenza dei beneficiari dei regali; la conferma di una percentuale elevatissima di dirigenti nelle posizioni apicali (DG) nominati nella precedente legislatura (ognuno di loro associabile a qualche consigliere o qualche partito); la presenza, addirittura nel Gabinetto della Presidente, di consulenti (per definizione, individuati su base fiduciaria) del precedente Presidente. Insomma, un numero elevato di circostanze che farebbero pensare ad accordi, intese, memoradum tra le due presunte parti avverse con l’obiettivo di dividere i benefici.
A conferma di quello che scrive basta vedere come l’opposizione ha accettato di governare con una Presidente della Regione decaduta.
Non mi risulta che nessun giudice abbia sospeso la decadenza.
‘Sono tutti uguali ‘ sento dire dai cittadini.
Poi ci si stupisce della percentuale di astenuti.
Buongiorno, a proposito di personalità politiche del passato, ieri sera ho visto il film “Emilio Lussu il processo”.
Al rientro a casa con mia moglie ci siamo sentiti, come dire, ricaricati. Suggerirei la visione, come Pillole di salute.
Orraju a “definizione’ apuntinu de sa Sardigna e de sos Sardos coment’e «situazione»!!! «gravissima» eja e mancu male chi, comente si narat pro sos tzegos, “no zughent sos ogros puntos” che a sa linna prudigada e pipionida! Ditzosos issos – beati loro –chi no cherent acumpanzados a manudenta!
«Però»… eh, balla, custu est unu però mannu meda e… “solido” prus de su basaltu prus tostu chi in sardu si narat «pedra butillone»… chi tiat pàrrere pedra imbriagona! Ma sa pedra no buffat.
Issos ite ant bufadu?
Tandho, «però»: però ‘situazione’ «non seria».
At a èssere chi sa seriedade issoro l’ant lassada “A MENEFREGO“ iscobertu a ‘ideale universale’. De su restu, su «premio di maggioranza» chi faghet UGUALES A ZERO deghinas de mizas de votos l’ant inventadu sos campiones italianos de su MENEFREGO e in Sardigna sos ‘politici’ za sunt totu made in Italy.
Candho est chi sos Sardos amus a iscobèrrere s’arga de su muntonarzu polìtigu? O semus totu tzegos e menefreghistas?
A volte si è nemici … a propria insaputa… Il cinismo non mi è mai piaciuto … Ad un amico si può dire non son d’accordo, spiegare perché. Senza fingere. Credo che Cossiga abbia capito, pur nel dolore.