Diamanti, l’ultimo film di Ozpetek, è un buon antidoto alla banalità. È un’immersione nell’intenso di ciascuno, quello meno praticato quotidianamente.
Non è un film sulle donne, ma è un’opera dove l’umano è affrontato dal lato del sacrificio amato, non da quello subito, il lato più spesso femminile che maschile.
Il punto forte di questa parentesi di bellezza, fatta di colori ben miscelati, di musiche naturalmente aderenti alla sintassi dei sentimenti, di immagini perfette, è l’equilibrio rinascimentale, cioè monumentale, di gioia e dolore.
C’è Geppi Cucciari, con la sua ironia rivelatrice, sfacciata e tenera (impattante l’esordiale ‘vaginodromo’), ostile alla solitudine ma mai disponibile alla subordinazione per un briciolo di compagnia, la quale però non ride di fronte alle violenze domestiche e diventa capace di trasformare i suoi occhi da maschera impertinente in quelli intensi e buoni che erano già di sua madre.
C’è il dolore inestinguibile che Jasmine Trinca riesce a rendere con una recitazione franta, bisbigliata, intensissima.
C’è una gigantesca Luisa Ranieri, che parla con la postura e con occhi magnetici, che affronta la vita come Prometeo, col piglio dell’eroe antico che combatte il destino, che dà alla volontà e alla disciplina la forma della resistenza, che ama col pudore di chi lotta e non può abbassare la guardia.
C’è una Mara Venier che fa se stessa, che fa famiglia senza chiedere e senza domandare.
Infine c’è una casa, un clima, una compagnia, un’armonia di grandissimi interpreti con microscopiche parti realizzate come se fossero masterpiece di recitazione. Si esce dalla sala immaginandosi in quella casa, in quella sartoria, tra le braccia, i cuori e le cosce di quelle donne (perché stare tra le gambe di una donna è una grandissima esperienza etica, estetica, morale, oltre che un rimedio potentissimo alla paura di sé. Essere amati consapevolmente da una donna è una insuperata lenizione del dolore del mondo). Non c’è una scena di sesso in questo film, eppure la sensualità trasuda dalle stoffe.
Si esce sentendosi immeritatamente accolti.
Unico neo, una certa indulgenza autocelebrativa di Ozpetek, una vocazione estetica solo per uomini dai corpi torniti, un lettering dei titoli di coda un po’ da Roma imperiale, ma sono inezie rispetto alla bellezza realizzata e donata.
Spero di vederlo per smontartelo😂😂
Un’analisi che è poesia, che è assieme commozione e pensiero, abbandono e distacco. Alla fine un inno alle donne, a tutte le donne.