Il caso di oggi è il seguente: che cosa succede se si dice “ladro” a una persona comune o a un magistrato?
Non si tratta di casi astratti. Il sindaco di Bortigali è da un anno che su Facebook viene preso alternativamente da”ladro” a “figlio di bagassa” da un utente sconosciuto; ha presentato denuncia, è andato da tutti i lor signori che in teoria dovrebbero difenderci dai maldicenti impuniti per chiedere giustizia, fatto è che ogni mattina deve digerire una marea di insulti perché non c’è nessuno, dico nessuno, in grado di identificare l’anonimo e di portarlo di fronte a un giudice, sperando che questi non sia tra quelli che afferma che “stronzo” è un’opinione politica. A me era capitato, anni fa, di voler denunciare un pazzo che, sempre su Fb, firmandosi con nome e cognome autentici, abitante in un paesino semispopolato del Goceano, mi aveva dato del “mafioso” ecc. ecc. Ho denunciato. Un magistrato cagliaritano ha archiviato perché i Carabinieri gli hanno scritto che non era possibile identificare la persona. Un consigliere regionale di allora mi disse che, se avessi voluto, poteva accompagnarmi fino al portone di casa del maldicente, perché lo conoscevano tutti, perché tutti erano stati vittime, a turno, della sua lingua.
Al termine di una piccola discussione accademica con una collega sul bellissimo libro di Shopenauer L’arte di ottenere ragione (che ci mette di fronte al punto di svolta nel quale la nostra civiltà ha optato per la prevalenza della persuasione sulla comprensione) ho chiamato uno dei pochissimi avvocati di cui mi fido, e gli ho sottoposto il caso di un utente web che in rete aveva scritto che la Giunta Pigliaru aveva commerciato illegalmente in armi. Gli chiedo se posso denunciarlo. Risposta: “La cosa più probabile è che finisca tu a pagare le spese di giudizio”. Perché mi facessi un’idea di come funziona in Italia la diffamazione, mi ha inviato questo illuminate numero monografico di una importante rivista giuridica dedicato a La quantificazione e liquidazione del danno alla reputazione in 620 sentenze del Tribunale civile di Roma (2015-2020).
Letto il testo (con qualche difficoltà con le sentenze, per la presunzione dei magistrati di scrivere in italiano) si coglie un limite generale: il campione non è in nulla rappresentativo dell’universo nazionale e dunque non è propriamente utile per ricavare indicazioni di funzionamento di sistema. Vale per Roma, ma non per l’Italia. E dunque non possiamo generalizzare, ma il dubbio che sia un campione rappresentativo di qualcosa che va al di là del distretto romano rimane.
Cominciamo col notare una questioncella di base e cioè come l’orientamento dei magistrati faccia civiltà, cioè incida sui costumi.
Nel ventennio 1980-2000 era più facile essere condannati per diffamazione rispetto a oggi: più o meno, allora, il 60% delle istanze venivano accolte e il 40% rigettate. Dal 2000 a oggi è stato sdoganato il “vaffanculo” e le percentuali si sono invertite: più o meno un 30% di accoglimenti, contro un 70% di rigetti. Possibile che ne abbia guadagnato la libertà di opinione, ma anche che si sia legittimata quella violenza verbale che sta funestando il nostro tempo.
Il risarcimento per il danno reputazionale patito è qualcosa di ridicolo: mediamente si tratta di 20.000 euro a persona, media non troppo distante da quella rilevata nel 2018 su un campione di sentenze di tribunali italiani, pari a 26 mila euro. È poco, ma comunque è una sanzione in grado di farsi sentire e di indurre a un cambiamento di rotta. Insomma, il sindaco di Bortigali può sperare un giorno di comprarsi una Yaris bene attrezzata e di mostrarla al suo calunniatore-persecutore.
Quando si arriva ai beneficiari degli indennizzi, incontriamo i nostri cari amici magistrati.
Se la denuncia è presentata da un magistrato, sette volte su dieci viene accolta; se presentato da un cittadino che fa un’altra professione, sette volte su dieci viene respinta (Si veda la tabella a p.10 del pdf, p. 666 della rivista).
Ne consegue anche che i magistrati svettano anche nella statistica sugli indennizzi.
Che cosa significa? Significa che si ha a che fare con una casta, con una corporazione che trasforma la sua posizione in privilegio e la impone, per il potere immenso di cui dispone, a tutto il resto della società.
Ho un motivo in più per cambiare strada quando li incontro: li trovo potenti, arroganti, temibili e adesso anche permalosi; quindi, non li frequento. Piccola soddisfazione, certo, ma quando si ha di fronte il vecchio adagio “Cane non mangia cane”, l’unica salvezza è conoscere e percorrere le strade che i canidi non frequentano.
a mei non dolet nudda
est a aterus che piziat
Come dicevo un mio manager: “i numeri sono pettegoli…”
https://www.ilfoglio.it/editoriali/2024/09/27/news/la-sentenza-era-gia-scritta-embe-il-folle-caso-dei-giudici-del-tribunale-di-firenze-6984630/amp/
Povero il cittadino di questo Paese che confida in questa miserevole casta ….
Saluti.
@ Renato E ite ti dolet?
Ma cribbio!;Un Sindaco è, fino a prova contraria, un Funzionario dello Stato. La magistratura si dovrebbe muovere d’ufficio per difendere una figura istituzionale! A meno che non ci siano funzionari di serie a o di serie z. Boh di più non so.
Poi arriva Sigfrido
La casta …delle caste !!!! È meglio non incapparvi !!! Più saggio , evitare di ricorrervi per banalità o valori di modesta consistenza !!!! Mettiamocelo bene in testa : la giustizia ,quella giusta,viaggia a correnti alternate e spesso manca del tutto di contatto elettrico e l’istanza , si perde negli archivi cartacei polverosi di decenni di pratiche inevase . Per piccole facezie , meglio il sensale di paese di buona memoria , che tuttalpiu’ costava una cena o un pranzo o una “passata” al bar ,ma spesso trovava soluzioni soddisfacenti per le parti in contesa ………ma siamo nell’era digitale !!!!! Anche le molestie non vengono più sussurrate di faccia in faccia , ma vomitare in quest’agora’ che macina ed omogenizza e spalma ogni fatto,ogni umore,ogni parola ancora più se sproloquiante !!!!!
Che tempi !!!!
e dringhili sa mesu canna!
torra con sa giustizia
posto che Bortigali non è New York e che l’identità del persecutore secondo me è un segreto di pulcinella, emergono le considerazioni seguenti:
chi di dovere a rintracciare l’utenza dalla quale si insulta non ci prova neanche; la vittima non è che un povero sindachetto che perde il suo tempo e le sue energie a mandare avanti la sua minuscola comunità… cavoli suoi!
proprio perchè lo/la stalker è o sarà prima o poi noto, stupisce che costui/ei non tema di doverne pagare il conto.
comente narat su diciu “su piatu girat”
Egregio, eccellente riflessione sulla casta delle caste. Tipico: forti con i deboli (che gli pagano lauti stipendi) e deboli con i loro pari. Al povero cittadino inerme viene opposto il muso di Torquemada; per i loro (com)pari la telleranza massima. A noi comuni mortali può essere rivolta qualsiasi ingiuria mentre per un vago doppio senso rivolto a loro si rischia la bancarotta.
Il tutto in linea con il principio imperante in questo strazio di Paese: la min***hia nel fondo schiena degli altri è sempre un batuffolo di cotone.
Degli altri eh.
Saluti.
… a bonos contos tenimus it’e fàghere e de ratare/iscrafi cun d-una cania e… canarzos!
Unu Sardu antigu tiat nàrrere: Sa Zustìscia los pregonet!
Ma est menzus meda su chi iscriet Maninchedda cun sa zustìssia de sa zustìssia (senza mai fare di ogni erba un fascio… Però, bae e distinghe erba de erba!… ).