Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Caro Paolo,
oggi ho letto alcuni post arretrati del tuo blog; mi ha colpito quello che rinvia all’articolo del Prof. Pigliaru, una delle poche figure serie e di spessore di cui il PD abbia potuto fregiarsi. Così scrive : «… immagino che la CGIL e forse anche Elly Schlein si innervosirebbero, loro che dichiarano di voler abolire una delle “POCHE RIFORME VERE” fatte in Italia in questi anni, il Jobs Act». Mi ha sorpreso questa affermazione sul Jobs Act. Ho letto anche l’articolo di Tommaso Nannicini (economista servo di Renzi durante il suo governo). «… Jobs Act RIFORMA VERA»!
Cosa intende per riforma vera?
Intende dire che ha impedito e tuttora impedisce a un lavoratore licenziato di potersi difendere adeguatamente, costringendolo a doversi mettere a 90°, prima davanti al proprio datore di lavoro e poi anche davanti a un tribunale, ancor più se si affida a un avvocato sprovveduto?
In questo caso sì, è una riforma vera, perché ha radicalmente riformato, in peggio e di tanto, il regime delle tutele per i lavoratori che subiscono un licenziamento. Senza rischio di smentita, su questo punto, è la legge peggiore mai approvata in tema di tutele.
Probabilmente il Prof. Pigliaru e l’economista Tommaso Nannicini non conoscono e non si sono mai documentati sugli effetti devastanti che, in concreto, il Jobs Act con il c.d. “Contratto a tutele crescenti” – fittizie aggiungerei – ha determinato nell’ambito del diritto del lavoro, sul piano processuale e sostanziale.
L’economista Tommaso Nannicini scrive cose senza senso sull’art. 18, sulla legge del 2012 Monti-Fornero che lo ha riformato e sul Jobs Act, sugli interventi della Corte Costituzionale e sui loro effetti giuridici che, in modo inesatto, riconduce all’art. 18 che con il Contratto a tutele crescenti del Jobs Act non c’entra nulla.
La Corte Costituzionale ha giustamente censurato e modificato alcuni parametri in tema di indennizzo, ma l’impianto della legge resta immutato e in alcun modo può essere ricondotto all’art. 18, neanche nella sua nuova e pur sempre peggiorativa formulazione introdotta dalla legge Fornero.
Il danno è stato e resta sempre enorme per i lavoratori e bene fanno la Schlein e la CGIL a darsi da fare per promuovere il referendum.
Quanto al sistema della flexicurity, in Italia non funzionerà mai, lo hanno importato e mutuato dai paesi virtuosi scandinavi, come la Danimarca, che conta appena 5 milioni di abitanti e dove, quando le aziende devono licenziare un dipendente, investono in anticipo in formazione per assicurare una nuova collocazione, anche in settori completamente diversi da quello di provenienza.
Da noi si ricorre con rassegnazione alla NASPI, senza alternative.
I centri per l’impiego che dovrebbero promuovere interventi di politica attiva del lavoro non riescono a coniugare adeguatamente l’incontro tra domanda e offerta e dovrebbero essere sganciati dalla politica.
La scarsa produttività delle aziende nel nostro paese è la diretta conseguenza di un mercato del lavoro allo stato vegetale, retto costantemente dagli ammortizzatori sociali, spesso percepiti dalle aziende in modo illecito.
Sono poche le imprese serie che investono sulle risorse umane per migliorarne la condizione.
Negli Stati Uniti le aziende hanno investito prima sulla forza lavoro e sui salari, incentivando così la produttività, che in effetti è cresciuta assieme all’occupazione. In Italia questo non accadrà mai; aziende e imprenditori sono troppo assatanati dal guadagno attraverso la politica della riduzione dei costi e dei tagli del personale, senza alcuna politica di contrattazione decentrata finalizzata al miglioramento delle condizioni di lavoro e all’adeguamento dei salari. Lo sfruttamento è l’unica leva per avere maggiori margini e utili, infischiandosene della produttività. Questo è quello che di regola, da trent’anni, vedo in Sardegna, con le rare eccezioni di quelle imprese serie che investono per la loro crescita e vanno avanti grazie a sforzi propri, senza bussare alla finanza pubblica quale unico strumento di sussistenza e senza ricorrere ai tagli sul personale che, al contrario, tendono a valorizzare quale risorsa imprescindibile per potersi distinguere in termini di produttività, anche nell’era dell’intelligenza artificiale.
Avv. Gianni Benevole
Sul tema oggetto delle mie considerazioni dello scorso 8 luglio, riportate su SL Sardegna e Libertà (che ringrazio), vorrei segnalare due importanti sentenze della Corte Costituzionale, depositate appena tre giorni fa, esattamente il 16 luglio 2024.
A conferma di quanto affermavo circa il fatto che il Jobs Act sia una pessima legge (a mio avviso la peggiore in tema di tutele), demoliscono ulteriormente la cd Riforma sul Lavoro, introducendo alcuni fondamentali principi, in base ai quali la tutela reintegratoria attenuata deve trovare applicazione anche a fronte di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di insussistenza del fatto materiale e del licenziamento disciplinare intimato per un fatto punito dalla contrattazione collettiva solo con la sanzione conservativa.
Nello specifico, la sentenza n. 128/2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015, nella parte in cui non prevede che la tutela reintegratoria attenuata si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore (c.d. repêchage).
In merito alla medesima norma, la successiva sentenza n. 129/2024 ha ritenuto non fondata la questione sollevata in riferimento ad un licenziamento disciplinare basato su un fatto contestato per il quale la contrattazione collettiva prevedeva una sanzione conservativa, a condizione che se ne dia un’interpretazione adeguatrice. Deve dunque ammettersi la tutela reintegratoria attenuata nelle particolari ipotesi in cui la regolamentazione pattizia e dunque il CCNL preveda che specifiche inadempienze del lavoratore, pur disciplinarmente rilevanti, siano passibili solo di sanzioni conservative.
Pienamente d’accordo su tutto, ad eccezione della definizione di Pigliaru, un borghese lontano, lontanissmo dalle esigenze dei lavoratori, non molto diverso dall’autore di questa odiata legge.
https://www.lastampa.it/politica/2014/02/17/news/pigliaru-renziano-della-prima-ora-1.35925786/
Ho letto i commenti, ringrazio Paolo per avermi ospitato nel suo blog per alcune riflessioni. Ringrazio anche per le parole di stima. In effetti il tema meriterebbe maggiore spazio di discussione. Voglio solo aggiungere che la riforma del Jobs Act e della cd flexicurity è stata caratterizzata da una partenza immediata della flessibilità in uscita, ovvero dell’entrata in vigore delle disposizioni che hanno ridotto e quasi annullato le tutele, mentre non è stata data attuazione alla security che avrebbe dovuto assicurare tutti quei meccanismi di salvaguardia e ricollocamento del lavoratore espulso dal mondo del lavoro. Insomma un riforma senza paracadute o con un paracadute difettoso. Un altro aspetto curioso, nella vigenza dell’art. 18 e della legge Fornero sui licenziamenti operava quello che rappresentava un principio giuslavoristico fondamentale che consentiva al Giudice di valutare la proporzionalità della sanzione del licenziamento rispetto al fatto. Ebbene il Jobs Act ha introdotto un piccolo comma nascosto che vieta espressamente al giudice di compiere un giudizio di proporzionalità, così eliminando un principio di diritto cardine del nostro ordinamento. Ma si è andati anche oltre, eliminando la reintegrazione in servizio del lavoratore in ipotesi di licenziamento illegittimo per cd giustificato motivo oggettivo. Insomma una vera riforma tranciante.
@gianluca serra
Ho quasi finito i popcorn che ho comprato aspettando la Sua risposta con dati e numeri che dovrebbe avere da qualche parte ma non trova..
Pienamente in sintonia con l’analisi e la bocciatura del ‘Job’s Act’ (inglesismo becero) dell’avv. Benevole, mi indigno di fronte al semplicismo populista del sig. Davide , dal cui intervento scaturisce la condanna del ‘pubblico’- inetto e scansafatiche -a fronte dell’efficiente (sic) settore privato.
Premesso che le generalizzazioni tout court sono assurde ed improponibili, mi permetto di dire che nel settore pubblico lavorano tantissime persone che, con enormi difficoltà (legate soprattutto a normative di settore complicate e mal scritte) ogni giorno lavorano e si impegnano per garantire servizi pubblici fondamentali per tutta la comunità. Parallelamente a tale plauso , concordo con quanti auspicano la crescita di una cultura di impresa, che purtroppo è invece molto carente.
Se ci fosse tale cultura non ci si limiterebbe ad una visione economica di brevissimo periodo – come oggi avviene – fatta per perseguire profitti sostanziosi a tutti i costi, ma si investirebbe sul lavoro, sui lavoratori ed il loro benessere.
Il Job’s Act ha viceversa sdoganato le peggiori pratiche imprenditoriali, legittimando condizioni di vero e proprio abuso.
Amara riflessione: i ragazzi che si affacciano ora nel mondo del lavoro non hanno minimamente idea di cosa significhi ‘tutela del lavoro’. Non ne hanno mai visto esempi di riferimento e spesso sono costretti ad accettare condizioni di lavoro aberranti.
Non dobbiamo pensare e puntare su come licenziare ma ad invogliare il francazzista. Quindi eliminare art 18 inserire job act non hanno prodotto poi quei grandi successi. Allora. Francazzista si diventa anche dopo. Fannulloni si diventa anche dopo. I dipendenti pubblici tanto amati di Brunetta non sono fannulloni dal primo giorno o meglio non sono selezionati solo nel pubblico impiego. Si diventa mammano che passano gli anni nel vedere andamento o comportamento dei diretti dirigenti STATALI profumatamente pagati e lasciati liberi a scriversi i propri obbiettivi con laute ricompense. Non si può basare tutta la piramide del mondo di lavoro su quattro francazzisti nati. Allora nei NUOVI contratti di lavoro si può inserire un gettone di presenza o buono pasto per eliminare le assenze facilitate. Si può inserire un premio produttività al singolo lavoratore designato da altri colleghi e in dimbiosi da suoi diretti responsabili. Insomma inserire NEI NUOVI CONTRATTI forme e oneri dove garantiscono la presenza e la premialità a fare le cose per bene. Allora si che il francazzista ed il fannullone ci ripensa prima diventarlo. Se ci rimette soldi e prestigio allora abbiamo EDUCATO il lavoratore che nasce SANO al primo giorno di lavoro ma si diventa diverso nel frequentare e vedere maltrattamenti in ambiente di lavoro. Poi trovare formalita anche di gruppo e anominati per denunciare fatti di sfruttamemto e irregolarità in ambiente di lavoro. Allora si che il lavoratore diventa cosciente ed educato al BUON LAVORO e non c’è più più bisogno di pensare al licenziamento
L’analisi dell’avv. Benevole è impeccabile.
Posto che la tutela dei lavoratori è l’esame del sangue di qualunque partito di massa che voglia definirsi di Sinistra – tutto il resto sono chiacchiere da dare in pasto al popolo bue tramite i canali della (dis)informazione mediatica – l’attestato di stima in cima all’articolo verso il prof. Pigliaru (accademico di alto spessore culturale, ma non per questo ascrivibile a un pensiero politico socialdemocratico e ancor meno laburista, quanto a un’ideologia liberaldemocratica, per non dire liberista) stride sonoramente con le argomentazioni tecniche, e quindi scevre di qualunque narrazione politica, sviluppate fino all’ultima riga.
Sarà sicuramente vero che il professore è una delle poche figure serie e di spessore di cui il PD abbia potuto fregiarsi, ma leggendo in filigrana l’articolo non si può non trarre la conclusione che o si è trattato della persona giusta nel posto sbagliato (un economista liberista in un partito che dovrebbe avere una vocazione laburista), o che il PD è immerso ormai in un brodo culturale di ispirazione liberaldemocratica che nulla ha a che vedere con la tutela dei lavoratori.
Probabilmente sono vere entrambe le cose.
Egregio, complimenti per aver ospitato l’intervento dell’avviso. Benevole, professionista tra i più competenti, su un argomento sul quale, temo, tutti abbiamo conoscenza quantomeno indiretta ma che siamo restii a dibattere pubblicamente.
Non sono un esperto di diritto del lavoro ma ho lavorato per 45 anni e quando sento i racconti sugli escamotage che vengono spesso utilizzati (anche da grosse imprese di parastato) per continuare a lucrare sulla precarietà …. beh …. un certo moto di schifo lo provo senza se e senza ma.
Detto questo esistono gli scansafatiche come i lavoratori instancabili, quelli validi e quelli scarsi, nel pubblico come nel privato. Ma il lavoro, chi lo crea e chi lo svolge onestamente va rispettato e tutelato.
Saluti.
Concordo con quanto scritto dall’avv. Benevole. Il Job Act é uno schiaffo ai lavoratori e ai diritti che questi hanno conquistato negli anni a prezzo di lotte, sacrifici e talvolta della vita. Credo sia ora di finirla di fare cassa sulla pelle dei lavoratori.
Che in Italia i licenziamenti arbitrari vengano fatti su lavoratori assenteisti e fancazzisti lo puó dire solo un imprenditore liberista e volto allo sfruttamento.
A fronte di pochi lavativi, che in genere vengono ostracizzati e messi da parte dagli stessi colleghi, esistono milioni di lavoratori (e non parlo per teorie ma per esperienza, diretta e indiretta, da RSA), che vengono rottamati, ad esempio, perché un nuovo lavoratore costa di meno, magari con un contratto pirata. Oppure perché sono over 50 e con qualche acciacco. Oppure perché possono essere sostituiti da lavoratori in affitto. Oppure perché chiedono gli straordinari pagati, o le ferie. Oppure perché si dissetano o vanno in bagno (non invento, casi reali!). Oppure perché partecipano alle assemblee (vedi caso di v. Tripoli Carrefour Torino). Oppure perché donne e si sposano. Oppure perché si iscrivono al Sindacato sbagliato. Oppure perché fanno vertenza. Oppure perché aderiscono agli scioperi. Oppure perché non sono donne gentili col padrone. Oppure perché fanno presente che la 81 non viene rispettata. Eccetera.
Ogni imprenditore ha il diritto di lasciar morire dissanguato un bracciante che ha perso un braccio sul lavoro.
Senza un braccio, a cosa serve più un bracciante ?
Si certo,rispolveriamo anche il CONFINO, “misura di prevenzione repressiva” e cosi facciamo tutti da bravi, manca solo quello.
Delle volte l’eccesso, e sottolineo eccesso, di tutele è quasi più dannoso della mancanza delle stesse. Negli stati uniti si possono permettere di investire su salari facendo crescere la produttività in quanto non hanno un sistema rigido e iper garantista, delle volte a sproposito, come il nostro.
@ Davide, così torniamo ai ‘padroni’, alla discrezionalità pura, al ricatto. Non sono minimamente d’accordo. La lettera dell’avv. Benevole dice con chiarezza che sono diminuite le tutele in giudizio per il lavoratore, cioè che è aumentato il margine del licenziamento arbitrario. L’argomento non è quello dei lavoratori assenteisti o improduttivi, al contrario è quello dei lavoratori bravi alla mercé di chi interpreta la funzione imprenditoriale come dominio e non come costruzione di sé e degli altri.
Solo uno che ha un impiego statale può parlare e s-ragionare così. Se tu sei un vero imprenditore non puoi e non devi tenere in azienda delle zavorre umane. Qualsiasi imprenditore serio se manda via un fancazzista lo sostituisce con uno che abbia voglia di lavorare. E gli deve essere lasciata la libertà di licenziare se il sostituto non corrisponde alle sue esigenze. Nel pubblico purtroppo non accade e lo vediamo quotidianamente. Nella scuola, nelle forze armate nei ministeri. In tutto il comparto regionale c è gente che non solo non fa ma che impedisce a chi ha voglia di fare di potersi meritare lo stipendio. A mio parere la vera riforma è quella di poter licenziare per scarso rendimento anche nel pubblico senza dover dare nessuna buona uscita. Solo così avremo una macchina amministrativa che produce benessere per i cittadini
In Italia e Sardegna vige la cultura PRENDITORIALE, non imprenditoriale. Sul diritto del lavoro, il governo Renzi, è stata una sciagura! (e anche su qualcos’altro).
Come non esser d’accordo con questo articolo? Sono pochi che con tale garbo sanno spiegare quello che è successo.