Ieri la Rai ha fatto due cose, una buona e l’altra pessima.
La prima è stata una puntata di Passato e presente condotta da Paolo Mieli; equilibrata, problematica, interessante.
La seconda, un servizio commemorativo sul Tg1 che ricordava il “vile omicidio operato da partigiani comunisti” di cui fu vittima appunto Gentile il 15 aprile 1944, a Firenze. Il “vile omicidio” fu deciso dal Pci in solitudine, col parere contrario degli altri partiti rappresentati nel Comitato di Liberazione Nazionale toscano.
Ciò che ha destato la mia attenzione è l’aggettivo “vile”.
È quasi il DNA di una retorica di Destra.
Nel 1944 l’Italia era nel mezzo di una guerra civile durissima. Firenze era la base della celebre Banda Carità, una banda di assassini e di torturatori con funzioni di polizia della Repubblica di Salò. Erano tempi duri. Chi era vile, chi combatteva una manica di ferocissimi delinquenti o chi se ne lamentava senza sporcarsi troppo le mani?
La storiografia si è a lungo interrogata su Giovanni Gentile, la cui robustezza come filosofo è indiscutibile, non altrettanto quella di uomo politico e di cultura.
Era ministro dell’istruzione quando Mussolini pronunciava in Parlamento il celebre discorso del bivacco , quando fece approvare la celebre legge Acerbo, ed era ancora ministro, sebbene prossimo alle dimissioni, quando venne ‘rapito’ (rectius ucciso) Giacomo Matteotti. Chi fu vile?
Molti concordano sul fatto che Gentile si allontanò progressivamente dalla militanza fascista degli anni Venti e che mostrò una certa distanza dal razzismo fascista culminato nelle leggi razziali del 1938. È provato che si adoperò per tanti docenti universitari di origine ebraica (molti dei quali fascistissimi), aiutandoli a ricollocarsi in altre università. Tuttavia si può leggere la voce Gentile, gli ebrei e le leggi razziali affidata dalla sua Treccani a Giovanni Rota, per capire che stette sempre molto attento a non contrastare politicamente con il regime sul tema dell’antisemitismo. Non solo: è evidente che vedesse negli ebrei dei senza patria, e per questo degli apolidi inquieti e forse pericolosi. Chi è più vile, chi si oppone a una dittatura o chi, per non opporvisi, si arrampica sugli specchi?
Gentile fu colui che inventò il giuramento fascista per i docenti universitari. Si era nel 1931. Fu un abominio. Tra i diciotto che non firmarono, vi furono anche docenti in rapporto diretto o indiretto con la Sardegna. Ernesto Bonaiuti, esponente del modernismo cattolico, spretato da Pio X, docente di Storia del Cristianesimo alla Sapienza, era stato compagno di studi e di sventura, nonché corrispondente, di Bachisio Raimondo Motzo, il filologo sardo, che invece giurò, cui noi dobbiamo la stessa esistenza della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Cagliari. Ma soprattutto Aldo Capitini, l’economo della Normale di Pisa, che dal 1956 insegnerà pedagogia nell’Università di Cagliari e al quale è dedicata l’aula più grande (e più fredda!) del Corpo Aggiunto degli stabili del Magistero di Sa Duchessa. Piero Sraffa, l’amico-nemico di Gramsci, invece, fece una cosa più semplice: benché vincitore della cattedra a Cagliari, pensò bene di scappare in Inghilterra e di insegnare a Cambridge dove rimase fino alla morte. A non giurare fu anche Giuseppe De Sanctis, maestro di Bachisio Raimondo Motzo, il quale fu ‘salvato proprio da Gentile, che lo assunse all’Enciclopedia italiana.
Questo fu Gentile: la regola e l’eccezione; la regola imposta a tutti e l’eccezione governata dal suo gusto. Non restò solo in questa doppiezza. Togliatti e il Papa ordinarono a comunisti e cattolici di giurare, per rimanere nei gangli della vita accademica. Il realismo è contrario al sacrificio, ma poi è il sacrificio che dà gambe alle idee. L’Italia è libera più per i morti di Anzio che per il tatticismo di Togliatti e di Pio XII. Ma io, me lo sputano in faccia tutti i giorni i miei avversari, non sono realista.
Un omicidio è sempre un omicidio. Però c’è qualcosa in quel ‘vile’, non accompagnato dal ricordo delle notevoli responsabilità attribuibili a Gentile, che disturba, ed è esattamente l’obiettivo del nuovo corso della Destra italiana di affermare che i morti del 1943-1945, e tutti i morti del ventennio, sono da considerarsi ‘alla pari’, con stessa dignità, in ragione della buona fede delle loro scelte.
No.
Nessuno storico è in grado di fare la storia delle intenzioni. La storia giudica le azioni. Però bisogna mantenere una differenza e una gerarchia di valore tra chi si schierò per la libertà e chi contro. Chi uccise i dissenzienti e chi no. Chi tacque e chi no.
Gentile stava mani e piedi dalla parte sbagliata, una parte che uccideva, torturava, privava della libertà, discriminava. Meritava per questo di essere ucciso? No, assolutamente no, ma in un contesto di guerra poteva legittimamente passare per nemico. C’è chi mi ha fatto notare che anche Moro poteva passare per nemico legittimo agli occhi delle Br. Vero, anzi, direi certo. Però Moro non privò della libertà nessuno, non fu complice di alcun razzista, non tacque quando uccisero alcun parlamentare, non torse un capello a chicchessia. Le Br ebbero un delirio ideologico assimilando la Prima Repubblica a un regime fascista. Se ne accorsero solo dopo la loro sconfitta. Si accorsero di avere ucciso innocenti. Durante il delirio nons e ne avvidero e si sporcarono vigliaccamente le mani di sangue, perché uccisero e ferirono indifesi.
L’omicidio Gentile è assimilabile solo all’omicidio Mussolini e su entrambi si può parlare di massimalismo, di ferocia di guerra, di inutile e cieca violenza, ma non di viltà.
Bravissimo!
Concordo pienamente con la tua analisi, Paolo. Sottolineo anch’io quanto fosse difficile, nella feroce guerra civile in atto, prendere decisioni, se non si fosse fatto un discrimine netto tra ‘parte giusta’ (Resistenza e lotta di liberazione) e ‘parte sbagliata’. E non si è mai andati a fondo nell’applicare questa separazione: uomini come Gentile hanno continuato impuniti a gestire gangli di potere-così come facevano nel ventennio-nella neonata Repubblica…. Tanto, come è noto,…. italiani=brava gente…
Caro Professore,
Gentile è – e lei lo sa meglio di me- una figura complessa, dove è sicuramente difficile, soprattutto dopo la resistenza e adesso il revanchismo di destra, esprimersi quanto meno, se non sul Filosofo e sull’Uomo di cultura, del quale ricordo solo la sua riforma scolastica, (l’unica decente in cento anni di istruzione pubblica), quanto meno sulla sua Personalità.
Fu fascista? si sicuramente. Moderato, si sicuramente, anche se gli si addebita la sua adesione alla Repubblica sociale Italiana , con l’accettazione della presidenza dell’Istituto di cultura. Ma fu questa la causa, il movente della sua morte? Io ho dei dubbi, e non perché come qualche storico afferma , la morte parte dalla volontà degli alleati e dei servizi inglesi in particolare di eliminare prima della fine del conflitto il maggior numero di “fascisti” di spessore. Non credo neanche che sia stata neppure una rivalsa e una ritorsione al sadismo della banda famigerata Carità che imperversava all’epoca a Firenze, banda con la quale non aveva nessun legame( molti dimenticano che il figlio di Gentile seguì una sorte , certo comune a molti italiani, di essere internato in Germania).
A me pare che quell’atto di morte, e per il quale neanche tantissimo tempo fa, la giustizia italiana è intervenuta per condannare per diffamazione un deputato dell’allora PDL che aveva definito l’atto vile e vigliacco ( in quanto lesivo dell’onore di un discendente di uno dei partecipanti dell’attentato gappista), sia stato né più ne meno, un atto di guerra, all’interno della guerra civile italiana, verso un simbolo, verso un uomo che a guerra finita, avrebbe potuto tornare con il suo pensiero a indirizzare altre generazioni di studenti e studiosi, oltre ad essere critico anche con chi formatosi col suo pensiero, passò da un ideologia ad un altra.
Gentile era un simbolo e in quanto tale doveva essere abbattuto ( e su questo potrebbe essere esplicativo l’articolo epitaffio pubblicato dall’Unità a pochi giorni dalla sua morte e al quale – per i più curiosi, che non dovessero conoscerlo, rimando .
@ Enrico Gentilissimo, mai mischiare le mele con le pere! In Italia, nella guerra di liberazione, Togliatti stava dalla parte giusta. Indiscutibile. In politica estera stava con un tiranno, col più sanguinario, ma la Costituzione è italiana. Mai detto che Gentile andasse ucciso per le sue idee, ma non va dimenticato che quando era ministro assistette senza battere ciglio al sequestro-omicidio Matteotti. Matteotti sì che venne ucciso per le sue idee. Per il resto, io non sono capace di uccidere nessuno, forse neanche il mio assassino.
Se applichiamo la stessa logica viene difficile comprendere la firma di Togliatti sulla Costituzione Repubblicana. Anche lui stava dalla parte sbagliata di chi uccideva, discriminava, di chi privava della libertà. Con l’unica differenza che poi si trovò dalla parte dei vincitori. Gentile andava ucciso per le sue idee? Per me no. Poteva starci l’uccisione in quel clima? Sicuramente, anzi mi sarei stupito del contrario. Ma che l’omicidio , quale singolo gesto, sia stato vile per me è fuori di dubbio. Altrimenti se si fossero uccisi tutti quelli complici di qualche nefandezza in quella Italia e in quell’europa i sopravissuti sarebbero rimasti in pochi..
Certamente. Luci ed ombre. Una figura come Gentile meritava un trattamento più lungo.
L’atto del suo omicidio è esecrabile, come tante azioni compiute da una parte e dall’altra. Perciò, è essenziale riflettere ed opporsi ‘prima’ agli abusi. Prima che il belluino che è in noi emerga in conflitti e guerre ingestibili se non con la spada.
Mi piacerebbe che la destra riuscisse ad usare attributi aggettivali altrettanto chiare per definire i tanti omicidi politici perpetrati dal fascismo e dai suoi valvassori.
Pane al pane e vino (senza solfiti….) al vino.
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