La sentenza 41/2024 della Corte Costituzionale segnerà un punto di non ritorno nella cultura giuridica italiana.
Nella sostanza, cioè nel suo dispositivo, non dice niente di eclatante, anzi, afferma che non è in nulla incostituzionale che il Pm non avverta l’indagato se ne chiede l’archiviazione per sopraggiunta prescrizione nel corso delle indagini preliminari.
Nei fatti, la Corte si è trovata a occuparsi di un caso particolare. Un magistrato era stato accusato da un imprenditore di essere corrotto. Il Pm, aveva archiviato la posizione del magistrato perché il reato era già prescritto, ma aveva scritto nel decreto di archiviazione che le prove della corruzione erano comunque solide.
La questione della prescrizione è stata l’oggetto di uno degli scontri più feroci tra avvocatura e magistratura sarde degli ultimi anni e ha riguardato il gruppo Pd in Consiglio regionale, processato per la questione di fondi dei Gruppi. L’avvocatura aveva rinunciato all’esame dei propri testimoni, che avrebbe fatto scattare la prescrizione prevista da lì a un mese. Nessuno sa che cosa si fossero detti avvocatura e magistratura nei colloqui informali, fatto è che nessuno rinuncia all’esame dei testimoni che farebbe scattare la prescrizione senza l’attingibilità di un orizzonte altrettanto positivo. Il processo è andato a sentenza e tutti gli imputati sono stati condannati. Tra il primo grado e il secondo è intervenuta la prescrizione.
La sentenza 41/2024 forse spiega il perché di questa strana vicenda.
La Corte ha fatto chiarezza su alcuni punti.
Un imputato può rinunciare alla prescrizione, ma non può ovviamente farlo durante le indagini preliminari, cioè prima che il PM abbia fatto propria l’accusa.
Ovviamente, scrive la Corte, chiunque, anche durante le indagini preliminari, può denunciare per calunnia chi lo accusi di qualcosa che non ha commesso.
Qui siamo alla fuffa, perché un imputato conosce ciò che un testimone dice su di lui solo con il deposito del fine indagini, non prima. In secondo luogo, a torto o a ragione, gli avvocati (ma, mi verrebbe da dire, certi avvocati sardi) si guardano bene dal denunciare i testimoni di un processo prima che il processo sia concluso. La regola aurea è: “Vediamo prima che cosa ha in mano la Procura, poi decidiamo”. In realtà spesso dietro questa prudenza si nasconde tanta pigrizia e un po’ di mestiere a lanciare sempre la palla il più possibile in tribuna. Ma la Corte si salva l’anima con queste parole: “Inoltre, un elementare principio di civiltà giuridica impone che tutti gli elementi raccolti dal pubblico ministero in un’indagine sfociata in un provvedimento di archiviazione debbano sempre essere oggetto di attenta rivalutazione nell’ambito di eventuali diversi procedimenti (civili, penali, amministrativi, disciplinari, contabili, di prevenzione) in cui dovessero essere in seguito utilizzati”, così da assicurare all’interessato in quelle sedi “le più ampie possibilità di contraddittorio (…), anche mediante la presentazione di prove contrarie”.
Fin qui niente di nuovo, comunque.
La Corte, però, si è dovuta occupare del fatto che il PM pur archiviando (ne conosco uno che non archivia mai, ma lascia i fascicoli a scadere e a ‘maturare’, non si sa mai che prima o poi si possa riaprire la caccia) ha espresso valutazioni sulla fondatezza delle prove. La Corte sottolinea che sia “l’iscrizione nel registro degli indagati, quanto il provvedimento di archiviazione che chiude le indagini, sono provvedimenti concepiti dal legislatore come “neutri”, dai quali è erroneo far discendere conseguenze negative per la reputazione dell’interessato”.
Quindi, ‘prescritto’ non vuol dire colpevole. Lo sapevamo, ma che lo si ripeta è bene.
Tuttavia se il provvedimento di archiviazione esprime giudizi sulla colpevolezza dell’imputato, esso risulterà del tutto indebito, “a fronte della considerazione che, una volta riscontrato l’avvenuto decorso del termine di prescrizione, gli stessi poteri di indagine e di valutazione del pubblico ministero sui fatti oggetto della notitia criminis vengono meno”. Ne consegue che atti con giudizi così gratuiti “sono in concreto suscettibili di produrre – ove per qualsiasi ragione arrivino a conoscenza dei terzi, come spesso accade – gravi pregiudizi alla reputazione, nonché alla vita privata, familiare, sociale e professionale, delle persone interessate. Ciò che, in ipotesi, potrebbe dare altresì luogo a responsabilità civile e disciplinare dello stesso magistrato”.
Insomma, la prescrizione non è colpevolezza perché su quei reati non vi è stato processo definitivo. La novità sta nel fatto che i PM non possono insultare i prescritti. Poco o molto che sia, questo è.
Nella coscienza comune, però, prescrizione significa solo essere scampati alla Giustizia (e così la pensano i Cinquestelle, non dimentichiamolo).
Adesso torniamo al Pd. Serve che io spieghi perché il Pd è stato condannato in primo grado? No, siamo tutti intelligenti. Vogliamo chiamarlo uno schizzo di fango sugli imputati poco prima che arrivasse il getto della doccia a lavare tutto? Forse. Ma forse no.
Serve spiegare che il più delle volte la prescrizione protegge gli errori giudiziari dal venire alla luce in processo? No, non serve spiegarlo.
Ma nella testa della gente, la prescrizione è la via di fuga dei colpevoli non una norma di sicurezza dagli errori dei magistrati.