Ieri è successo che una docente della Sapienza, Donatella di Cesare, 67 anni, ha pensato di accompagnare la morte dell’ex BR Barbara Balzarani con questa frase: “La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna #barbarabalzarani”.
Ovviamente (l’ovvietà sta nella naturale tendenza all’indignazione facile facile tutta italiana) la rettrice della Sapienza ha commentato: ” A nome di tutta la comunità accademica ricordo l’altissimo tributo di sangue pagato dall’Università La Sapienza nella stagione del terrorismo e prendo le distanze da qualsiasi dichiarazione di condivisione o vicinanza a idee fatti e persone che non rispettano o hanno rispettato le leggi della Repubblica e i principi democratici espressi dalla Costituzione”. Brava! Nessuno avrebbe saputo fare di meglio!
Il problema è che la sessantasettenne docente, appiattita e zittita come filoterrorista, aveva scritto “Le vie diverse non cancellano le idee”, cioè aveva scritto che le vie erano state diverse, l’una violenta e l’altra no, ma la Rettrice, in nome del popolo, non ha potuto badare a sottigliezze: “Terrorista”.
Io negli anni Settanta e Ottanta ero un giovane, molto incasinato tra Dio, le donne (le avvertivo, come oggi avverto mia moglie, mediatrici di un rapporto con ciò che va oltre la realtà, vedevo nella sessualità una porta verso una condizione più alta dello spirito, insomma, senza saperlo, ero un po’ celtico), gli amici (li ho sempre amati come fratelli, soprattutto quelli che non la pensavano come me) e il Medioevo, ma ero dalla parte giusta: non credevo nell’ipocrisia congenita del PCI, tolleravo male la Dc (il problema fu che mio padre era democristiano e io non potevo vedere alcun errore in mio padre, perché lo amavo) non credevo alle favole di Potere Operaio, non ero rimasto ammaliato da Lotta Continua di Sofri, sebbene Sofri fosse straordinariamente ammaliante e Negri notevolmente intelligente. Mi piacevano Pannella e alcuni socialisti e certi circuiti (quelli non massonici) dei repubblicani, ma non lo dicevo.
Ma mai, proprio mai, ho pensato che i terroristi fossero volgari assassini. In questo, da adulto, mi confortò vedere che Cossiga aveva la mia stessa posizione: non li considerava delinquenti comuni, assassini sanguinari, andò ripetutamente a trovarli in carcere, fu di fatto il mediatore della bugia di Stato che coprì l’affaire Moro pur di giungere alla fine di quella che fu una vera e propria guerra civile.
Uccidere è uccidere. Non ci sono attenuanti. I morti non tornano e gli omicidi lasciano ferite insanabili. Ma a me piace, in questo mondo inferocito, ogni scintilla di deviazione, di pietà e di intelligenza. La docente pericolosissima ha solo voluto dire a chi ha sbagliato, cioè alla Balzarani, che lei non era riducibile al solo suo errore. Io sto con Gesù Cristo che difese l’adultera da chi la voleva ridurre al solo adulterio.
Sono convinto che, se Cossiga fosse stato ancora in vita, sarebbe andato a rendere omaggio alla salma di Barbara Balzarani, non per omaggiare la sua rivoluzione o i suoi omicidi (dei quali, sono certo, anche lei pativa la gravità e il peso), ma la persona che rovinò la sua vita per un’idea, per quanto sbagliata essa fosse. C’è nelle persone che dedicano tutte se stesse a una causa una radice demoniaca, ma anche un seme angelico, la capacità di rinunciare a tutto, di perdersi per trovarsi.
C’è più verità nella compassione con distinzione della pericolosissima sessantesettenne della Sapienza di quanta ve ne sia nelle parole a indignazione automatica del Rettore.
Un autore spagnolo ha scritto: Las mujeres, o algunas de ellas, se casan con los caballeros pero se enamoran de los truhanes. Verissimo: le donne si sposano con i gentiluomini ma si innamorano dei mascalzoni. Il male affascina e l’unico modo per vincerlo è amare chi ne rimane vittima, specie quando muore. E adesso, scagliate le pietre.
Prof. Maninchedda, per me ha risposto Enrico. Nel suo post. E Antonio Giovanni Rubattu nel suo ha poi spiegato meglio di me il senso di quegli anni che mi appartengono.
https://www.repubblica.it/politica/2024/03/06/news/balzerani_tweet_di_cesare_br_ucraina-422267214/
Non sono stato mai a favore della violenza, quello che si rievoca oggi ,la morte della Balzarani, mi trova d’accordo con chi l’avrebbe voluta in galera sino alla fine, non essendosi mai pentita dei suoi atti che sono stati orribili e orrendi. Le rivoluzioni violente non hanno mai e dico mai, portato a nulla di buono. Male ha fatto Cossiga ad andarla a trovare in carcere.
@ Enrico Secondo Lei che ruolo ricopre un docente universitario? Glielo dico io: prima di tutto quello di continuare a cercare la verità e di rappresentarla. La pietà è privata? Complimenti, infatti il mondo che non sa più esprimerla in pubblico si sta inferocendo. Chiunque dissente vuole mettersi in vista? Allora chiunque consente si vuole mettere in fila, come le pecore.
@ Roberto G. Nel 1978 la professoressa non era evidentemente professoressa, aveva 21 anni. Il ruolo se lo è conquistato rispettando le leggi che disciplinano l’accesso alla carriera universitaria e non certo a colpi di pistola. Mi pare che le sia partita l’accusa facile come ai brigatisti i colpi di pistola.
Quegli anni miei sono gli stessi della Balzarani. Li ho vissuti tutti e ho creduto nei possibili cambiamenti. Anzi, prorpio nella idea di rivoluzione ho con tutta l’anima creduto. Devo però dire che pensavo un altro tipo di rivoluzione: i morti di quegli anni non mi sono piaciuti e mi hanno allontanato. Io ero nel servizio d’ordine nazionale di potere operaio. Allora voleva dire aver fatto una scelta di campo precisa. Ma mi sono allontanato perché non credevo che una rivoluzione dovesse essere preceduta con quei morti o quegli attentati, teoricamente e praticamente portati avanti dai tutti i gruppi combattenti nati come funghi in quegli anni. No, la rivoluzione a cui pensavo era un’altra: aveva il profumo della liberazione delle coscienze e di un nuovo vento di libertà, insieme alla voglia di un rapporto più egualitario fra le persone. Quei gruppi, invece, amavano la rigidità e combattevano tutti coloro, anche dentro il movimento, che non la pensavano come loro. Erano convinti di aver solo loro ragione ed erano portati a santificare le loro azioni come le uniche possibili. Quella loro rigidità ha ucciso le speranze e ha portato la gente verso altri lidi. Balzarani è il prodotto di questi errori. Non posso dire che mi dispiace che quella follia abbia chiuso la sua parabola storica. Il grande problema è che al momento si fa fatica vederne all’orizzonte un’altra. Questo vuole dire che abbiamo fallito, che dobbiamo ripensare tutto e che, soprattutto, se vogliamo ritornare a sognare l’impossibile, dobbiamo accettare la realtà per quella che è. Non possiamo evitarla. Ora a noi rimane il compito di riflettere e di capire che forse, come diceva un vecchio cantante anarchico francese: “Si può morire per una idea, ma lentamente”. I cambiamenti, cioè, bisogna non solo volerli, ma capirli. Pietà per i morti. Ma per tutti i morti di quegli anni.
Troppo comodo.
Facile dichiarare “la tua rivoluzione è stata anche la mia” stando ben seduta sulla cattedra universitaria con relativo stipendio. Che coerenza c’è nel far parte di un sistema che in cuor proprio si vorrebbe “rivoluzionare” continuando a beneficiare dei vantaggi personali che quello stesso sistema assicura e, non partecipare attivamente alla “rivoluzione” (certamente non sparando ma adoperandosi con opere e mezzi leciti che la docente non sembra proprio aver mai praticato)? Proclamarsi pubblicamente sostenitrice di ideali per i quali non si è combattuto è facile come sputare nel piatto dal quale si mangia. Mi viene da pensare a tanti giornalisti che in gioventù simpatizzavano proprio per queste brigate armate di estrema sinistra e che oggi sono finiti a scrivere, pardon pontificare, in giornali e settimanali, solo leggermente di sinistra.
Alla Balzerani deve essere dato solo il merito per la sua coerenza perché fino all’ ultimo non ha rinnegato il suo passato (giusto o sbagliato che fosse) e per questo ha pagato (secondo alcuni non il giusto). A quella docente, secondo me, no.
Chiamarla compagna Luna non fa diventare complici, ma sicuramente, almeno implicitamente, legittima un percorso di vita che di tutto avrebbe bisogno tranne che della legittimazione pubblica da parte di una persona che ricopre un simile ruolo anche, ma non solo, educativo e istituzionale. E poi diciamocela tutta la pietà e la commiserazione sono sentimenti tanto privati che non dovrebbero essere diffusi a mezzo stampa. Salvo non si voglia fare clamore e attirare l’attenzione. Cosa riuscita perfettamente.
Meno male che non sono i Rettori di Università a stabilire il luogo dell’anima dopo la morte.
Alcuni aggiungerebbero: meno male che non compete nemmeno al prof. Maninchedda.
simpatico che invece qualcuno ritenga di avere le chiavi di paradiso ed inferno, a seconda del morto: auguro a costui vita lunghissima, alla fine della quale però inevitabilmente…….
Caro Professore,
come spesso le accade, lei esprime, attraverso i suoi scritti, concetti e riflessioni non banali, che presuppongono, nei lettori, la necessità di attenzione e volontà di comprendere.
Merce rara.
Personalmente, condivido pienamente il suo tentativo di non arrendersi di fronte al pensiero unico e comune che tutto divide in bianco e nero e, di fatto, rende tutto uguale.
Sono convinto che la Professoressa Di Cesare, salutando la Balzarani, abbia reso omaggio, soprattutto, alla propria idea giovanile di voler cambiare il mondo (chi non è rivoluzionario a 20 anni è senza cuore, diceva Winston Churchill), certamente non violenta, parlando di “vie diverse”.
Magari avrebbe potuto scrivere che proprio la visione omicida e nichilista della Balzarani, e dei suoi compagni, insieme ai morti e feriti lasciati sulle strade senza pentimento alcuno, ha, sulla coscienza, la morte del sogno, di tanti giovani di allora, di realizzare un mondo migliore.
È davvero difficile seguire il suo ragionamento ; noi piccoli cittadini , spesso impediti dal pensare ed approfondire ,a causa delle molteplici incombenze quotidiane che occupano corpo e mente senza lasciare tregua ed energie per il pensiero ,siamo assaliti dall’immediatezza degli avvenimenti e delle conseguenti evoluzioni che occupano e preoccupano la vita ; spesso manca il tempo e forse anche la voglia di affrontare argomenti scabrosi evitando di esprimersi o forse di allinearci al pensiero comune prevalente .Non credo che siano stati molti , in quel periodo ,a domandarsi sulle vere cause e sulle vere finalità di quei movimenti , cavalcati da mentalità giovani ed intelligenti ; da giovani acculturati che di punto in bianco hanno dichiarato guerra allo stato ed ai suoi organismi più importanti . Non siamo riusciti ,malgrado tutto,a capire,a correggere , a indirizzare : abbiamo più facilmente girato pagina ad un libro che non volevamo leggere . Solo l’età e la vecchiaia ha il coraggio di riguardare quelle pagine insanguinate con la speranza di non trovarvi i semi di un’inquietudine che oggi ,spero di no,sta sbocciando nelle piazze con le più svariate e variopinte azioni e motivazioni .
Grazie professore
La sua posizione discorde dalla maggioranza dei commenti omologati e omologanti che in quest’occasione imperversano sui media é di conforto e stimolo per tutti quelli che si sforzano per essere autentici nelle proprie convinzioni
Non tutti possiamo essere giovanni Bachelet, che al funerale del padre Vittorio, pregò per i brigatisti che glielo avevano assassinato. Sempre dalla parte delle famiglie delle vittime del terrorismo e dello Stato .
condivido il tuo pensiero, Paolo, anche perchè tornando coi ricordi a quel periodo che vissi da studente mi rendo conto di quanto sia vero che il fascino del male attrae, come dici tu; cadere o meno nell’ipnosi della rivoluzione violenta forse dipese solo dal fatto di vivere in un paese e non in una città, o forse dall’avere una fede e non un’indifferenza al tema del sovrannaturale, o forse dall’avere un tipo di educazione piuttosto che un’altra
voglio dire che l’illusione (irrazionale) che avevamo di poter cambiare il mondo in un batter d’occhio ce l’avevamo tutti, e il non esser caduti nel contagio della lotta armata potrebbe essere stato solo una combinazione, diciamolo pure, fortunata.
come dice Guccini “a vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell’età…”
@ Rinaldo Pinna E dunque: strade diverse, ma se poi la si chiama compagna Luna, si è complici di chi sparava a sangue freddo? E dunque: è più autentico chi prova pietà e distinzione o chi ha l’indignazione subito pronta ai comandi della folla? Forse la docente avrà fatto una cazzata, come dice lei, ma la docente è una persona autentica.
Sono d’accordo con te, Paolo: quel “le vie diverse non cancellano le idee” avrebbe dovuto indirizzare verso una giusta comprensione del testo (che non contiene un elogio del terrorismo, come qualcuno ha voluto intendere: bisogna spegnere il cervello per non vederlo). Oggi non si tollera il pensiero complesso, la capacità di distinguere, di non allinearsi “senza se e senza ma” a una visione manichea del mondo e della vita. Succede per tutto, ed è un segno dei tempi.
Ha una visione ancora romantica di quel movimento che oramai di romantico ha solo un ricordo sbiadito di quei primi primi brigatisti che al massimo gambizzavano. È vero , erano visti con simpatia dai giovani studenti e lavoratori italiani dell’epoca. Io ero uno di quelli Un ragazzino che sogna la vittoria della giustizia e che viene poi tradito dagli assassini a sangue freddo, tradito dal sequestro Moro. Tutto il popolo lo avrebbe voluto libero e il “tribunale del popolo” invece lo aveva condannato a morte. Lo stesso dicasi Del fratello del pentito Peci. Di Guido Rossa. Cito a caso quello che mi viene in mente. E poi tantissimi altri morti. .
La sessantasettenne , come la chiama lei, ha scritto una cazzata forse dettata appunto dal ricordo romantico e ideale che nessuno, compreso me ragazzino tradito del 77, voleva abbandonare. Ha fatto bene la docente a cancellarlo perché era chiaro che , anche se parla di strade diverse, poi la chiama “compagna Luna” che era il nome di chi sapeva sparare a sangue freddo.
@ Francesco Tutto verissimo. Incontestabile. Ma io difendo il diritto di chi sta di fronte alla morte di chi ha sbagliato di poter esprimere sentimenti di pietà, non di complicità, di pietà e trovo più eroico far questo che indignarsi. Verissimo che le vittime e i loro familiari vengono dimenticati, ma il loro oblio è la cartina di tornasole del fatto che l’indignazione non è autentica, è l’ennesima furbizia politica di chi lucra sulle lotte, sugli scontri, sulle simmetrie degli schieramenti. Ci si indigna perché una docente afferma, dinanzi alla morte di una terrorista, di aver condiviso lo spirito rivoluzionario ma non le forme della rivoluzione, ma non ci si indigna per il fatto che lo Stato non abbia mai preteso la verità da Moretti sulla morte di Moro o sul fatto che lo Stato si guarda bene dal tentare di arrestare Alessio Casimirri. È più falsa questa indignazione inoperosa verso la verità o il twitter dal sen fuggito di una docente?
Quando si parla di ex terroristi, rossi e neri, bisogna sempre tenere a mente le conseguenze emotive del fatto che loro abbiamo avuto uno vita dopo il periodo della sbornia rivoluzionaria, mentre le loro vittime quella vita non la ebbero più.
Ricordo una magnifica risposta di Corrado Augias dopo che in tv, Claudio Martelli per parlare della storia delle Brigate Rosse, portò Alberto Franceschini (con Renato Curcio e qualche altro, fondatore delle Br), nel luogo dell’’eccidio di via Fani, scatenando la reazione indignata di Maria Ricci, vedova dell’appunto Domenico.
“Nessuno chiede di continuare a battersi il petto per tutta la vita – scrisse Augias, rispondendo metaforicamente agli ex terroristi, ormai uomini liberi – Le pene comminate sono state severe e solo l’età dei colpevoli all’epoca dei fatti rende possibile che alcuni di loro dopo decenni di carcere escano in età ancora relativamente giovane. Stiamo parlando di persone che hanno militato nelle Brigate Rosse, o in altri gruppi terroristici che predicavano e praticavano la lotta armata, seminando dolore e provocando lutti, accecati dai loro inutili fantasmi, e non sempre hanno espresso rammarico o hanno condannato quegli atti nefandi. Certo, anche loro hanno diritto a reinserirsi nella società, anzi è doveroso che vengano aiutati, se davvero crediamo, in senso religioso o civile, alla redenzione. Tra il reinserimento e il salire in cattedra a fare lezione, o a diventare piccole star, o esperti da dibattito televisivo però ce ne corre. Tanto più che alla asimmetria di allora, assassini contro vittime, fa da specchio la asimmetria di oggi: piccoli divi contro familiari dimenticati nel loro oscuro dolore”.
Ecco, questa asimmetria è la causa di razioni emotivamente scomposte, anche rispetto alla morte di Barbara Balzerani, una donna che ho conosciuto e che, per generazione, ho immediatamente sentito così distante dal mio mondo, quello della sinistra, che solo in apparenza fondava le radici col suo.
Era impossibile nn stimare o voler bene tuo padre … un uomo straordinario
Ma quali pietre? Il tuo pensiero vola troppo “alto”, e allo stesso tempo va troppo in profondità per essere capito, e praticato. Occorrerebbe liberarsi dalla zavorra dei pregiudizi, oppure addentrarsi fino al midollo, fino al singolo neurone. Il messaggio della Prof. è stato un saluto e un rimprovero allo stesso tempo. Ma si è letto solo una parte, e si è persa un occasione per riflessioni serie. Come la tua. Grazie
@ Alfio Contento tu di questi tuoi mirabili sentimenti, sicuro tu di non aver bisogno di perdono visto che lo neghi agli altri, contenti tutti.
Non provo nessuna empatia né pietà verso un’assassina che, nonostante 6 ergastoli era a piede libero anziché marcire in galera. Se avesse compiuto gli stessi crimini in uno dei suoi tanti amati paesi comunisti non avrebbe mai più rivisto la luce.