Il libro di Alessandro Barbano, La gogna. Hotel Champagne, la notte della giustizia italiana, è un libro importante che andrebbe riscritto dalla prima all’ultima pagina, perché il suo autore si sovrappone così tanto ai fatti narrati, da far perdere al lettore il piacere dell’evidenza del vero. Troppe parole, troppi commenti. Troppa enfasi che sporca fatti già lerci fino a renderli incomprensibili. Ma se, dopo questa faticosa lettura, ci si ferma a ragionare, si arriva alla conclusione che lo Stato di diritto che insegniamo nelle università (poi accade che il diritto, le università se lo appendono nella stanza del cesso quando devono tutelare pluridecennali carriere, ma questa è un’altra storia che prima o poi racconterò) non esiste e che lo Stato di fatto è un ordinamento fondato sulla forza, non sulla legge.
Il libro racconta come Luca Palamara è stato incastrato dai suoi stessi colleghi. Ogni affermazione è corredata da atti giudiziari, non si scappa. È tutto vero e Palamara si svela per essere un uomo imprudente, fragile, ma non corrotto. La macchina investigativa e giudiziaria messa in moto per incastrarlo è qualcosa di diabolico e di così articolato e sofisticato (ovviamente tutti i finanzieri che hanno costruito e chiuso la trappola sono stati promossi) che la pezza messa in atto anche dal Capo dello Stato per restituire credibilità alla magistratura, sembra piuttosto la tutela quirinalizia a favore di una delle fazioni in gioco: il diritto, in questa storiaccia, è vittima.
Provo a sintetizzare i fatti narrati.
Per noi comuni mortali, la fine di Luca Palamara inizia l’8 maggio 2019, ore 23.30, data della nota riunione all’Hotel Champagne di Roma tra Palamara, il deputato Cosimo Ferri , Luca Lotti, e cinque membri del CSM: Luigi Spina, Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre e Corrado Cartoni. Il cellulare di Palamara è infettato da un Trojan, inoculato dal Gico di Roma su ordine della Procura di Perugia che indaga Palamara per corruzione. La conversazione, registrata è su tutti i giornali il 29 maggio. Si confeziona subito uno schema salvifico per le istituzioni: Palamara, il corrotto e corruttore che voleva orientare le nomine dei vertici della magistratura è stato scoperto, i suoi complici sospesi, il male estirpato.
La verità è diversa, molto diversa.
La verità si comprende chiedendosi perché Palamara era intercettato e perché gli fosse stato inserito un Trojan nel cellulare e da chi.
Palamara era intercettato in quel modo perché indagato per corruzione, il reato che consente quel tipo di intercettazione (c’è un PM in Sardegna che ha tentato anche con me di ipotizzare i peggiori reati pur di potermi spiare anche in bagno. Io so come fanno queste aquile impunite del sospetto e dell’accanimento).
La corruzione non è mai stata dimostrata, anzi, Palamara ha patteggiato una condanna lieve per traffico di influenze, nella cui motivazione viene censurata come colpevole la sua attività come segretario di Unicost, il sindacato che lui stesso dirigeva. Ma poco importa che ormai si possa dire che Palamara non è un corrotto; serviva ipotizzarlo per poterlo ascoltare.
L’attacco a Palamara inizia da lontano e si svolge in ragione di ciò che accade nel Csm durante il 2018.
Nel 2018, proprio nell’estate del 2018, Palamara, leader del sindacato dei magistrati Unicost, decide un ribaltone delle alleanze che in tanti non gradiscono. Fino ad allora il CSM era stato governato da un’alleanza tra i centristi di Palamara e la Sinistra. Palamara decide per il cambio delle alleanze, si rivolge a Cosimo Ferri di Magistratura indipendente e sposta la maggioranza del CSM a Destra. Il 27 settembre del 2018 viene eletto vicepresidente del CSM David Ermini, inviso all’ala sinistra della magistratura. L’indagine su Palamara inizia quando è in atto questo ribaltone.
L’obiettivo di Palamara era portare alla carica di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma il dott. Marcello Viola, allora Procuratore della Repubblica a Firenze, oggi a Milano. Palamara voleva Viola a Roma perché ambiva a divenire il procuratore aggiunto della capitale. Questo suo disegno andava a cozzare con i desideri del Procuratore della Repubblica di Roma in carica, Giuseppe Pignatone, amico e superiore gerarchico di Palamara (il quale è in aspettativa, ma è incardinato come pm presso la Procura di Roma e dunque ha come capo proprio Pignatone), ma in rotta con lui proprio su queste scelte. Pignatone vorrebbe come successore o il suo vice Prestipino o il procuratore di Palermo Lo Voi (attuale Procuratore di Roma).
In poche parole, il caso Palamara va inquadrato dentro due conflitti: quello per il governo del CSM e quello per la nomina del nuovo procuratore della Repubblica di Roma, dopo il pensionamento di Pignatone. Come si combattono gli scontri di potere dentro la magistratura? Con le indagini, questo rivela il libro, ed è una vera schifezza.
Come viene incastrato Palamara?
Il 3 febbraio 2018 la Procura di Roma ottiene l’arresto degli avvocati d’affari Amara e Calafiore e dell’imprenditore Fabrizio Centofanti. L’accusa è frode. Centofanti è amico di Palamara, ma è anche un habitué di cene cui partecipano il procuratore di Roma e quello di Perugia. I finanzieri scoprono che Centofanti e Palamara vanno spesso in vacanza insieme, e qui i finanzieri cominciano ad annotare che talvolta Palamara va in vacanza con la moglie, tal altra con l’amante. Cosa c’entri questo con le indagini lo vediamo tutti. I finanzieri non trovano una sola prova che i conti degli alberghi li paghi Centofanti, ma manifestano il sospetto che sia lui a pagare i conti anche di Palamara. I finanzieri sanno che per ipotizzare la corruzione occorre che il pubblico ufficiale compia un atto illecito nell’esercizio delle sue funzioni. Non vi è traccia di alcun atto illecito di Palamara, ma i finanzieri ne ipotizzano uno che è a dir poco barocco: Amara e Calafiore hanno presentato un esposto al CSM contro un magistrato, Marco Bisogni, e Palamara ha votato a favore dell’incriminazione di questo magistrato. Poche chiacchiere, il cerchio secondo questo meccanismo sbirresco sarebbe chiuso. Palamara avrebbe incastrato Bisogni e in cambio Centofanti, per conto di Amara e Calafiore, gli avrebbe pagato gli alberghi. Prove? Nessuna. Non solo: nessun membro della commissione che incrimina Bisogni verrà mai interrogato per verificare eventuali pressioni di Palamara e Palamara non si presenterà al processo contro Bisogni istruito contro il magistrato e nel quale questo verrà assolto. Tutto aria fritta, ma intanto……
Il 31 luglio 2018 un magistrato siciliano arrestato per corruzione e associazione a delinquere, Giancarlo Longo, si presenta ai finanzieri di Messina per fare dichiarazioni spontanee. Dice tante cose. Racconta di un vasto sistema corruttivo che stava intorno ai due avvocati faccendieri Amara e Calafiore. Dice cha Calafiore lo aveva avvertito nel 2017 che lo stavano per arrestare e che l’informazione gli era stata data dal fratello del procuratore Pignatone. Poi dice (nel 2018) che Calafiore gli avrebbe rivelato nel 2017, di aver dato, nel 2016, 40.000 euro a Luca Palamara per favorire la sua nomina (sua di Longo) a procuratore di Gela.
Primo dato da appuntarsi: il Procuratore di Messina trasmette subito a Perugia, procura competente per le indagini sui magistrati romani, gli atti su Palamara. Viceversa, trasmette gli atti sulla fuga di notizie dalla procura di Roma che avrebbero coinvolto il fratello del procuratore Pignatone, solo un anno dopo. Un caso.
Ai primi di febbraio del 2019 il pm di Perugia Gemma Milani decide di mettere sotto intercettazione Luca Palamara. Per quale ipotesi di reato? Per corruzione, cioè per una mazzetta pagata, secondo l’accusatore, nel 2016. Cosa si spera di trovare su un passaggio di denaro avvenuto tre anni prima? Si sono sentite delle persone, per esempio Calafiore, per verificare se le informazioni trovano un qualche riscontro? No, lo si farà dopo e tutto si scioglierà come neve al sole. Cosa risulta dalle intercettazioni del telefono di Palamara per due mesi? Nulla, nessun riscontro dell’ipotesi corruttiva. Nel frattempo, però, si sta combattendo la battaglia per la nomina del nuovo procuratore di Roma. Il Gico della GdF di Roma, che Perugia utilizza su autorizzazione del procuratore di Roma Pignatone, ascolta tutto ciò che passa sul telefono di Palamara rispetto alla questione di potere che più divide Palamara dal suo capo: la nomina del sostituto di Pignatone. Il libro è molto puntuale nel descrivere, attraverso atti giudiziari, lo stretto legame della struttura investigativa romana con la procura della capitale. Un nesso impressionante e grave, quando si scende poi nei dettagli tecnici di come le intercettazioni sono state svolte.
Il 26 marzo 2019, dopo mesi di intercettazioni infruttuose, la procura di Perugia decide, sempre sulla base di un’ipotesi di corruzione per una mazzetta introvabile, pagata tre anni prima secondo un testimone che riferisce cose di seconda mano e per atti illeciti non riscontrati, di inoculare un trojan nel cellulare di Palamara. Questo Trojan quando Palamara parla con Pignatone si spegne. Sempre.
Da questo momento in poi il Gico ascolta tutto di Palamara, cioè ascolta le manovre politiche del CSm verso la nomina del nuovo procuratore di Roma. L’autore giustamente fa notare che se lo stesso trojan fosse stato inoculato nel cellulare di un sostenitore del candidato di Pignatone si sarebbe potuto verificare se i metodi di Palamara fossero solo i suoi o di tutta la magistratura, ma nessun esponente della sinistra si è trovato ad essere indagato per corruzione e dunque spiato con un trojan.
Il resto è cronaca a tutti nota.
Poco importa che poi tutte le accuse corruttive contro Palamara si siano rivelate infondate. Una volta che le intercettazioni sulla cena all’Hotel Champagne vennero divulgate su tutti i giornali, lo scopo era stato raggiunto. Il libro, però, è molto puntuale nel descrivere come il Gico e la magistratura abbiano fatto strame della Costituzione pur di intercettare il parlamentare Cosimo Ferri senza ricorrere all’autorizzazione delle Camere. La Corte costituzionale ci ha poi messo una pezza: oggi in Italia i parlamentari possono essere intercettati, ma non indagati senza l’autorizzazione delle Camere. Cioè, oggi, un pm può intercettare un parlamentare e poi decidere se chiedere di indagarlo. Vorrei tanto invitare questo genere di persone ad andare in bagno, ma non così, con parole più grevi. Non lo faccio per non sporcarmi l’anima, ma si considerino invitati ad andare a …..
Il libro è la cronaca di una guerra sporca, sporchissima, combattuta con i poteri dello Stato contro i principi che regolano ufficialmente il nostro Stato. Per questo, non con tutti, ma con molti, quando incontrerò per strada un magistrato, cambierò marciapiede. Noi, i semplici, senza potere, siamo più puliti.
Bisogna vietare l’associazionismo dei magistrati e separare le carriere fra i giudicanti e i requirenti, altra soluzione non esiste.
Hanno semplicemente e anche candidamente utilizzato con un altro magistrato il metodo che generalmente utilizzano con le persone comuni, se poi sono politici meglio ancora..
La casta dei politici (non tutti ne facevano o ne fanno parte…solo molti)…la casta dei magistrati (non tutti ne fanno parte…solo molti)….
Beh, insomma ogni volta, quando ciascuno di questi meccanismi scricchiola per troppo appesantimento e stress da potere, dall’accordo dialettico si passa alla spaccatura polemica e quindi alla guerra.
Assisteremo dunque a qualcosa del genere anche con la casta dei professori universitari (non tutti ne fanno parte…solo molti) e quella delle alte sfere militari……ecc. ecc. ecc…e altre ancora.
In Italia occorrerebbe un Vespasiano in ogni cantone
Dove poter vomitare in tranquillità
… si no est gherra custa!… Cun sa ‘régula’ de totu sas gherras: bochire, distrùere, e VINCERE de fascinazista memória a tutti i costi. Tantu a fascistas e nazistas puru no lis est costadu nudha!…