Credo si sia capito che provo una certa simpatia per i magistrati che si occupano di delinquenti veri, di assassini, trafficanti di droga, rapinatori ecc. Li trovo più facilmente identificabili come alleati dei deboli o semplicemente dei cittadini tranquilli.
In questi giorni, la realtà ci mette di fronte uno dei problemi maggiori per un magistrato: l’interpretazione dei fatti.
Qualsiasi cosa, per avere un senso per un essere umano, deve tradursi in linguaggio e racconto. Quindi l’interpretazione non è il fatto, che non è mai evidente senza un discorso che lo espliciti.
Il Tribunale del riesame di Cagliari, chiamato a pronunciarsi sull’ipotesi del reato di associazione mafiosa a carico di un ex assessore regionale e di altri, ha escluso che il reato potesse essere stato commesso perché dei sei caratteri che lo identificano, nei fatti a carico degli imputati ne ricorrerebbero solo tre e questi sarebbero, a dire del tribunale, più di tipo sociologico che criminale.
Avant’ieri si è svolta lungo SS 125 una rapina dal bottino ignoto (ma ogni qual volta gli inquirenti lo minimizzano, significa che è molto alto), con caratteristiche da assalto militare: isolamento dell’area, diversivo per coprire lo svolgimento delle azioni e della fuga, distruzione delle prove prima della ritirata. Neanche il numero dei partecipanti all’azione è certo e ciò dipende dalla loro intelligenza di non rendersi facilmente identificabili, in modo che i testimoni possono dichiarare di aver visto, per esempio, otto persone e non accorgersi che in realtà erano quattro, sebbene osservate due volte.
Tutti i media hanno ricordato che questo è il secondo assalto in grande stile di cui, al momento, sembra essersi capito poco. Il primo è stato quello all’altezza di Giave sulla SS 131 di poco più di un anno fa (novembre 2022).
Credo si possa dire che, a differenza di ciò che pensano alcuni magistrati, in Sardegna c’è un pezzo di malavita che:
– dispone di armi da guerra, sa usarle e sa nasconderle;
– non è così fessa da utilizzare pregiudicati (i primi che vengono controllati non appena si verifica un reato);
– ha capacità manageriali di pianificazione e di simulazione (per essere coordinati bisogna ‘provare’ almeno una volta il piano);
– conosce molto bene le tecniche di disimpegno (l’abilità di questa/e banda/e è tutta nel sapersi volatilizzare un attimo dopo i fatti, e sta tutta nella conoscenza e nel dominio del territorio);
– sa riciclare il denaro (questo, a mio modestissimo avviso, è l’unico indizio sulla struttura di questa associazione a delinquere. Dispone di attività commerciali e/o produttive in grado di pulire il denaro).
A ciò si aggiunga ciò che i lavori della prof.ssa Mazzette stanno insegnando a tutti noi: è possibile che il denaro venga prima di essere investito in attività lecite, venga impegnato nel traffico di droga, l’unico ad avere la capacità di moltiplicare per dieci la redditività di questi ricavi illeciti da rapina.
Adesso uniamo i puntini.
In Sardegna gira un mare di droga. Il tenore di vita delle città sarde non si giustifica con il solo Pil prodotto legalmente.
Quando gli inquirenti sono riusciti a condannare qualcuno, le aree di provenienza dei condannati ci hanno detto che i grossisti degli stupefacenti sono di area urbana (non sempre, ma spesso), mentre gli uomini che maneggiano le armi sono sempre di area rurale, per non dire barbaricina (con le propaggini della Barbagia nel Marghine e nel Goceano che tutti conoscono).
In Sardegna (chi ha letto Cirese lo sa) i rapporti tra i ceti alti e quelli bassi della società sono più intensi che altrove (il banditismo è nato nel Seicento come esperienza e pratica signorile). Ci sono intere categorie professionali in Sardegna (avvocati, medici, ingegneri, funzionari pubblici ecc.) che sono molto esposte a un rapporto equivoco e fraintendibile con i ceti delinquenti, perché sono i mediatori della loro ambizione di investire i capitali sporchi in attività pulite e così, come dicono, “sistemarsi”. Non c’è delinquente che voglia esserlo per la vita. Il mondo di mezzo, in Sardegna, è una lavatrice di denaro sporco difficilissima da identificare.
In Sardegna siamo in pochi e il territorio si presta a coprire la fuga e le attività di chi delinque. I sequestri sono stati debellati da tanti fattori, ma tra tutti, la conoscenza delle campagne sarde e delle loro dinamiche è stato il più produttivo. Il discorso non cambia per le rapine: le potrà decodificare solo chi conosce le nuove dinamiche rurali, le nuove gerarchie, i nuovi flussi.
In Sardegna, Carabinieri e Polizia si stanno progressivamente ritirando dai presìdi capillari di un tempo. Io viaggio spesso di notte. Prima non capitava mai di non essere fermati almeno da una pattuglia. Oggi si può fare un viaggio da Olbia a Cagliari senza incontrare neanche una macchina della polizia. Al diradamento delle forze dell’ordine fa da pendant il diffondersi delle armi da guerra. Il giorno che tra i criminali nascerà una mente strategica, questa userà le armi da guerra per controllare il territorio e i rapporti professionali per garantirsi un’immagine legale, e allora sarà nata una mafia, non ‘la mafia’, ma ‘una mafia’ con sue proprie caratteristiche.
Questo significano le rapine da far west.
Effettivamente, una ventina di anni fa il Nuorese brulicava letteralmente di presenza della Polizia. La fine o, quanto meno, la ritirata strategica dell’Anonima Sequestri, forse ha fatto pensare troppo presto che si potesse allentare la pressione. Come se la criminalità nuorese non conoscesse altra attività se non i sequestri. Invece, purtroppo, il mito della quasi immunità della Barbagia dal cancro delle tossicodipendenze, che faceva si che un tempo i cagliaritani venissero canzonati come “conk’e droga”, è da tempo caduto. Sempre che le ipotesi investigative siano fondate, OMISSIS non è stato certo il primo ex sequestratore a occuparsi di traffico di stupefacenti. Prima di lui era arrivato un certo signor Mesina. In ogni caso, più che su mafie autoctone per la cui configurabilità non sussistono presupposti né tecnico-giuridici, né sociologici, sarebbe meglio che si vigilasse di più sulle pesanti infiltrazioni in Sardegna delle mafie tradizionali del Sud Italia. In Lombardia facevano tanto i superiori rispetto al radicamento meridionale della criminalità organizzata, finché non si sono trovati la ‘ndrangheta a comandare a casa loro, o quasi!
… ” bisognerebbe depenalizzare le droghe che richiedono ampia coltivazione agricola”
Sì, si, il suo parere lo vada a raccontare al Procuratore Capo
Dr Nicola Gratteri.
Come diceva un ex magistrato che fu anche presidente della Regione Autonoma della Sardegna, bisognerebbe depenalizzare le droghe che richiedono ampia coltivazione agricola.
Il valore di tale produzione, sicuramente green, è dato esclusivamente dal proibizionismo, e dall’imponente interesse proibizionistico che vi gira intorno.
IMHO.
Mi pare di aver letto che la mafia (quella siciliana per intenderci) non controlla con le armi il territorio. Ecco, se così fosse, ci siamo già dentro.