Caro Paolo,
mi è caro evocare sempre, quando mi si dà l’occasione, la memoria di Fabio Maria Crivelli, storico direttore de L’Unione Sarda, al quale fui legato da amicizia personale e consentaneità civile. Ogni anno, nell’anniversario della dolorosa scomparsa, cerco di richiamare episodi della sua bella e complessa vicenda di vita e del suo ingegno intellettuale, le prove provate della sua virtù democratica e della sua… cagliaritanità conquistata.
Fra i molti articoli a lui dedicati (e nel mezzo potei inserire, nel gennaio 2011, un impegnativo e gustoso e affollato reading a palazzo Sanjust) uno ve ne fu, lunghissimo, uscito nel sito di Fondazione Sardinia, che richiamava, perfino nel dettaglio delle cadenze temporali, il primo anno della sua direzione, il 1954. In esso rievocai anche l’originale performance redazionale ch’egli promosse per consentire ai tifosi del Cagliari di seguire “in diretta” – quando la televisione non aveva ancora installato i suoi ripetitori nell’Isola e quando anche “il calcio minuto per minuto” non era entrato nella programmazione della radio nazionale – la partita di spareggio dei rossoblù (allora allenati da Cenzo Soro) contro la Pro Patria, giocata sul neutro di Roma.
In palio la promozione in serie A, in aggiunta ai rossoazzurri del Catania. Allora, mentre Peppino Fiori si preparava a scriverne, per il “colore”, sull’Informatore del lunedì di Sergio Valacca (riferendo anche d’un minatore sardo – Francesco Trudu – che dal Belgio era sceso nella capitale per “tifare” la squadra del cuore) riservandosi Mario Mossa Pirisino con Guido Zirano il notiziario delle azioni di gioco, ecco che la redazione riceveva via filo la cronaca dallo stadio infuocato e con gli altoparlanti ne diffondeva gli echi, fra timori ed entusiasmi, ai cinquecento concentrati sul Terrapieno, di fronte alla palazzina del quotidiano. Intelligenza artigianale, artigianato intelligente. E appassionato. Non andò bene per il Cagliari (che perse 1 a 0) e la promozione slittò d’una decina d’anni, conseguita con Silvestri Sandokan allenatore.
In A le maggiori soddisfazioni vennero, nella seconda metà degli anni ’60, con Manlio Scopigno allenatore: con lui, friulano di nascita e reatino di cuore, che a doppia ragione… geografica aveva stretto un rapporto di speciale personalissima fiducia proprio con il direttore del nostro giornale, tanto più dopo il brutale licenziamento del tecnico e la sua felice riassunzione da parte del presidente Rocca nel 1968. Fu in quel contesto, anche, che si era operata la trasformazione societaria del Cagliari, da Unione Sportiva a Spa capitalistica. E da lì, con indovinati nuovi innesti nella squadra, partì la grande volata dello scudetto. (Qui vado coi ricordi, ma credo di non sbagliarmi).
Venne dunque lo scudetto, vennero i trionfi di tutti i valorosi uomini della squadra che entrarono tutti quanti, non uno escluso, nei nostri cuori. Con Gigi Riva naturalmente, e per generale riconoscimento, stretto in una singolare affezione popolare e capace di suscitare suggestioni e brividi ancora oggi. Anch’io, a settant’anni suonati mi commuovo tutte le volte che lo vedo, perché nella sua figura sono riassunte non soltanto le migliori virtù della cittadinanza sentimentale ma anche i rimandi più intimi di noi allora giovani o giovanissimi o soltanto adolescenti…
Venne lo scudetto e Crivelli che al Cagliari aveva voluto dare ogni spazio possibile sul giornale, infinite volte anche in prima pagina, di rinforzo a L’informatore del lunedì allora affidato alla direzione di Franco Porru (diligentissimo vicario a L’Unione), scrisse un articolo di fondo già prima che il campionato completasse il suo calendario di partite (così martedì 14 aprile 1970). Si tratta di un editoriale sapiente che va letto con attenzione riga per riga perché portava (e porta) all’attenzione del pubblico, con piena libertà argomentativa, direi anche con coraggio anticonformista, motivi di riflessione che investivano (e investono) aspetti della vita civile soltanto all’apparenza slegati dalle categorie del gioco sportivo.
Ti mando, caro Paolo, questo intervento dell’amico direttore – indimenticato amico e indimenticato direttore – del quale ho raccolto e catalogato finora molte centinaia di articoli che furono infine – mi piace vederla anche così (e pur nella rapsodica distanza delle opinioni) – le mille tessere di un mosaico rivelatore, nella sequenza delle stagioni politiche, di una invidiabile coerenza morale e professionale.
Abbracci,
Gianfranco Murtas
Crivelli: Lo scudetto in Sardegna
La Sardegna è in festa. Una vittoria sportiva che ha ancora, per molti, i contorni dell’incredibile ha portato l’isola sulla ribalta nazionale con una risonanza che potrà sembrare perfino eccessiva ed illogica; ma chiunque abbia presente il posto che tiene il calcio nella scala degli sport nazionali, la sua popolarità, il suo ruolo di grande spettacolo di massa, le sue implicazioni sociologiche e psicologiche, deve accettare senza stupore e senza ipocriti moralismi l’esplosione di gioia con la quale centinaia di migliaia di sardi, nell’isola e fuori, hanno accolto l’evento.
La conquista dello scudetto da parte del Cagliari supera i limiti della cronaca e della storia sportiva. Per la prima volta in settant’anni il più prestigioso titolo nazionale scende nel meridione d’Italia; per la prima volta una società del sud scrive il suo nome nell’albo d’oro di uno sport che per tutto un insieme di motivi – economici, climatici, organizzativi – ha visto sempre l’ininterrotto predominio delle grandi squadre del nord. La vittoria del Cagliari rappresenta, dunque, un fatto straordinario, nuovissimo, rivoluzionario. Ed esce dai confini della storia calcistica per suggerire temi più vasti, considerazioni di più profonda apertura.
La demagogia è in agguato con le sue suggestioni più facili. Subito la vittoria del Cagliari diventa la rivincita del povero sul ricco, dell’inerme sul potente, dello sfruttato sullo sfruttatore. Riva diventa il povero ragazzo lombardo che si fa sardo d’adozione e celebra il rito della vendetta, sulla scia di un banditismo che ieri era un fatto romantico ed oggi si tramuta in esasperazione sociologica e addirittura politica. Lo scudetto diventa una sorta di rivincita storica contro millenni di ingiustizia, di abbandono, di tradimenti. Si tirano fuori, addirittura, i tanti sardi della Brigata Sassari “mandati al macello dai generali piemontesi”, o la contrapposizione fra la miseria endemica di certe zone interne e gli splendori effimeri della Costa Smeralda, per cercare nel trionfo sportivo una riparazione o una consolazione del tutto assurde. Nulla può esservi di più stolto e di più pericoloso che questo abbandonarsi alle tentazioni di un populismo fuori misura e fuori senno. Significa, oltre tutto, tradire il vero significato di un’impresa che è sostanzialmente sportiva e che però, nello stesso tempo, suggerisce importanti e concreti insegnamenti sul piano di altri e più complessi problemi. La storia del Cagliari come società sportiva e lo scudetto portato in Sardegna debbono offrire motivi di valutazione d’insegnamento su un piano ben diverso; e riguardano Cagliari come città capitale di un’isola in fase di trasformazione e d’inserimento in una nuova realtà economica e sociale. Al di là dei miti e del frastuono, validi e legittimi nell’interno di uno stadio, bisogna guardare a quello che c’è di sostanziale, anche se meno apparente, nella conquista di un trionfo che non è nato dal caso o dalla fortuna. Bisogna riandare indietro di tre anni nelle vicende della società rossoblù, e ricordare come avvenne la trasformazione di un sodalizio sportivo che per merito di un gruppo di dirigenti aveva portato i colori del Cagliari sulla scena grande del calcio italiano ma subito dopo si era trovato di fronte a problemi ch’erano al di là delle sue intrinseche possibilità. Tutto si era fino ad allora svolto sul piano di una concezione artigianale, fatta di entusiasmi e di soluzioni intelligenti, ma impossibilitata a varcare quei limiti di organizzazione e di potenzialità economica che, appunto, hanno sempre diviso il campionato italiano di calcio fra un ristretto numero di protagoniste e le altre, le squadre chiamate a recitare il ruolo delle comprimarie o delle comparse. I vecchi dirigenti, in quella burrascosa estate di tre anni fa, si trovarono davanti al nodo di insolubili problemi finanziari e non videro altra soluzione se non quella di vendere Riva e proseguire sulla strada di una modesta conduzione di tipo provinciale. I tifosi si ribellarono; ma le proteste dei tifosi contano ben poco di fronte alla dura realtà delle cifre. Bisognava avere il coraggio del grande salto: quello che avrebbe fatto del Cagliari una nuova società, aperta agli apporti di industriali – i vilipesi e sospettati industriali del nord – per impegnarli in un’impresa che spaventava troppa gente e verso la quale gli enti pubblici dimostravano indifferenza o campanilistiche paure. Ci sia lecito, per un solo momento, ricordare ai nostri lettori le infuocate polemiche di quel momento; la battaglia che il nostro giornale sostenne per appoggiare la trasformazione del Cagliari in società per azioni, per la riconferma definitiva di Riva contro la tentazione dei milioni offerti dalle grandi squadre, per il ritorno di Scopigno che come allenatore era insostituibile ma che aveva avuto il torto di offendere le suscettibilità e le vanità provinciali di alcuni dirigenti. Fummo allora – come tante altre volte – al centro di attacchi concentrici e furibondi, ci accusarono di voler avallare il giuoco dei soliti industriali milanesi i quali, secondo i tanti oppositori, volevano impadronirsi del Cagliari per rovinarlo e far gli interessi dell’Inter o di altre squadre.
La verità era una sola: che si trattava di scegliere fra un metodo di conduzione familiare, superato, quasi dilettantistico, o quello che avrebbe posto il Cagliari sul piano di un’azienda nuova, con un nuovo tipo di dirigenza, con una visione a livello industriale. Cagliari, diciamolo pure, era la sola città sarda in cui un tentativo del genere era possibile, perché è la sola città che ha sempre saputo guardare al di là del mare senza complessi, senza timori, con fredda e magari mercantilistica visione di un mondo che è troppo vasto, troppo determinante, per poterlo ignorare. Cagliari, superando anguste visioni campanilistiche, piccoli interessi di fazione, e perfino umane ma improducenti ambizioni, ha saputo fare il salto e ha dimostrato anche in questo settore dello sport, che è poi un fenomeno con estensioni assai più vaste, di sapersi inserire in una realtà nuova e per certi aspetti esaltante.
E’ giusto, ed è bello, che ora lo scudetto giunga a Cagliari. Uno dei tanti consiglieri regionali che per anni ha guardato al fenomeno del calcio e all’esaltazione del Cagliari con il disdegno del politico impegnato in ben altre realtà, ha ora proposto che la Spa Cagliari cambi nome e si chiami Sardegna. Gli hanno già risposto di no le migliaia di emigrati sardi, di tutte le zone dell’isola, che da anni hanno imparato come gridando “forza Cagliari” nei grandi stadi della penisola, non ci sia il rischio di essere fraintesi o di essere scambiati per cittadini di qualche anonima o sconosciuta regione. Essi sanno bene che Cagliari significa Sardegna; e che lo scudetto che ha conquistato il Cagliari è uno scudetto per tutta la Sardegna. Una vittoria che lascia insolute – diciamolo chiaro anche nell’ora della festa – molte dolorose realtà dell’isola, ma che rappresenta qualcosa di valido e di concreto sotto molti aspetti; specie se si saprà valutarne il significato nei suoi termini esatti, respingendo le tentazioni demagogiche e le esaltazioni fuori misura e, soprattutto, se sull’onda di un entusiasmo popolare che è genuino ed onesto si saprà costruire con realistica determinazione un domani sportivo sottratto all’effimero e al provvisorio.
Forza Cagliari e Forza Gigi Riva, mio fedale, coscritto per gli italiani. Io sono nato a Gennaio Lui a Novembre. Ho avuto l’onore di arbitrare una partita “amichevole” con lui in campo, appena lo sfioravano fischiavo una punizione. Una figata ❤
C’è tanto pregiudizio e autocolonialismo in questo articolo di Crivelli, comunque figlio di quei tempi. La solita narrazione dei sardi incapaci di tutto, dei sardi che senza l’Italia e gli italiani non ce la possono fare. Serve ribaltare questa narrazione se vogliamo uscire dal pantano nel quale si è cacciata la nostra Isola.
Forza Cagliari ❤️💙