Ieri, dopo che La Nuova Sardegna ha aderito alla campagna del Fatto Quotidiano che da mesi annuncia come realizzato l’accordo tra la Schlein e Conte per il candidato di centrosinistra alla Presidenza della Regione, un caro amico mi ha scritto queste parole:
“Mi chiedo: ma se basta incontrarsi, tra due, in una trattoria romana, o in un bar milanese, oppure all’angolo di Montecitorio, o dentro una stanza di hotel per spartirsi, come fosse cosa propria, le istituzioni democratiche, Presidenze, Vicepresidenze, Sindaci e Vicesindaci, di ogni territorio, a prescindere dal volere delle popolazioni che ci nascono, vivono o ci lavorano, trattando persone, storie e culture, peggio dei più cinici colonialisti, mi chiedo che cosa ci facciamo noi?”.
Gli ho risposto: “Noi siamo quelli che devono dire no a questo abuso di Sardegna, ma per essere credibili abbiamo solo una strada: tradurre in una candidatura il dissenso e sottoporci al giudizio degli elettori. Senza questa determinazione, non ci sarà alcun negoziato, solo una lunga, estenuante trattativa, che si concluderà a bocca di elezioni secondo le indicazioni romane. In una parola: si subirà, come spesso è accaduto”.
Se cosi stanno le cose e pare proprio che siano cosi, E’ ora di sottoporre agli elettori un progetto e un candidato o una candidata espressione dei sardi o di buona parte di essi senza eccedere però in progetti autonomisti ormai abbastanza fuori luogo.
«Senza questa determinazione» bi at solu negótzios, butegas e buteghedhas, mercadu a sa russa e a sa minuda, no políticos dignos de custa cualífica ma incettatori de eletores berbeghes de masellu a contu de padrinipadroni, ‘política’ miseràbbile de miséria e miséria mendicante, pastores abigeatari. Ma ‘programma’, si bi podet zurare, bene articolato in italianu perfetu, chi nos podimus fintzas risparmiare de lèzere ca tantu… bi est totu.
Pienamente d’accordo , noi e solo noi dobbiamo elaborare un progetto chiaro e ben dettagliato concordare chi debba rappresentarci e sottoporlo agli elettori. Basta con le imposizioni dall’alto se vogliamo riportare al voto chi ormai non si sente più rappresentato da uomini scelti dai capi partito a Roma
E alla fine, come oramai avviene da decenni, voteremo turandoci il naso, purché non vincano “quelli lì”.
Quando denominano “Governatore” un presidente che dovrebbe essere eletto in sede territoriale, già danno un connotato colonialista alla carica.
Il governatore lo nominava il re, e per i coloni americani era la massima autorità locale.
Sai com’è, scimmiottando scimmiottando spesso ci si azzecca.
Con la differenza che, in Sardegna, trattasi di autorità di merda
Disarmante.
TERTIUM NON DATUR
Egregio Professore
Il pensiero espresso a conclusione del suo intervento è l’interrogativo che dobbiamo valutare nell’analisi di ogni appuntamento elettorale?
Lasceremo numeri, percentuali, aggregazioni e conta di sedie in consiglio regionale e poltrone nelle postazioni cencelli?
Il risultato potrà confortare i soliti detrattori dell’esistenza stessa di un pensiero nazionalitario sardo oppure animare passione ed entusiasmo di questo pensiero comunque latente in tanti isolani?
Il risultato sarà la conta – in senso maggioritario – delle due macro tipologie: sardi a schiena dritta e sardi piegati.
Il risultato dovrà stimolare ad insistere nel sostenere e far crescere sentimenti anche embrionali, comunque sempre presenti pur latenti.
Non abbiamo paura del risultato ed anzi – in caso di numeri non favorevoli – sarà il dato dal quale sempre ripartire.
Molti saluti.
Ignazio s’Antigu