Stiamo raccontando la vicenda di Beniamino Zuncheddu, ergastolano che si è sempre proclamato innocente. Abbiamo riepilogato il delitto di cui è accusato, l’intercettazione che lo scagiona, il contesto dell’indagine e le ragioni indicate dalla Procura generale come moventi del grande depistaggio.
Oggi, essendo imminente un passaggio processuale, facciamo una pausa sulla vicenda in sé, per parlare di un fattore contestuale che ha avuto e continua ad avere nelle vicende processuali sarde, grande rilevanza.
Nella vicenda Zuncheddu ha un grande ruolo colui che abbiamo indicato come l’Ispettore, un agente di Polizia Giudiziaria che aveva collaborato a lungo col giudice Lombardini.
Questo agente ha scritto un libro, che ho letto per intero. Ne emerge il profilo di un uomo sinceramente impegnato nella lotta contro il crimine, ma anche di un investigatore di altri tempi, che risolveva i casi più grazie ai suoi informatori che grazie alle evidenze probatorie. È il rapporto psicologico con l’informatore che, così come viene descritto, è inquietante, soprattutto nell’obbligo di una certa omertà reciproca posta a fondamento dello scambio, come pure di una vena di affettività che si scorge nelle parole utilizzate per descrivere alcuni soggetti. Infine, clamorosamente, il più importante fatto di sangue che avviene nella lunga carriera dell’Ispettore non trova spazio nel libro.
Stiamo entrando in un campo minato della psiche del magistrato inquirente e dell’investigatore. Vogliano o non vogliano, entrambi risentono di chi chiarisce loro il quadro o lo traccia in modo congruente alla loro ipotesi. Entrambi risentono delle loro relazioni personali (sempre sacrificabili se dovessero entrare in un processo: un mio amico, innamoratissimo di una magistrata, è stato piantato appena ha avuto un guaio giudiziario), delle loro convinzioni, delle loro antipatie, che poi sono abilissimi nel mascherare dentro la procedura. Il nostro ordinamento protegge questa zona d’ombra dell’azione investigativa: «Il giudice non può obbligare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria nonché il personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica a rivelare i nomi dei loro informatori». Cioè, un poliziotto può essere reticente sulle sue fonti di fronte al giudice.
Possiamo pensare che siano questioni di altri tempi, che oggi conti più il riscontro probatorio ottenuto con sofisticati mezzi tecnologici che non l’informatore? Forse.
In diversi procedimenti che mi sono stati sottoposti dalle tante vittime di una certa magistratura o troppo piena di sé o troppo ideologicizzata (anche soltanto nel senso dell’antipatia preconcetta verso taluni e nella simpatia preconcetta verso altri, o anche nella imperante difesa corporativa) o di una polizia giudiziaria incredibilmente lasciata libera di creare castelli accusatori tanto perfetti nei piani alti quanto privi di alcuna fondazione, ho ritrovato questa protezione degli informatori o delle persone informate sui fatti decisive in alcuni processi.
Mi è rimasto impresso il caso di un interrogatorio molto aggressivo nei confronti di un dirigente pubblico molto capace che, non appena ha fornito una risposta che sconfessava l’impianto stesso dell’indagine, ma forniva una prova evidente in un’altra direzione, guarda a caso volta a illuminare l’operato di una persona con alti incarichi istituzionali, ha visto l’interrogatorio chiudersi rapidamente, quasi d’improvviso.
Come pure, nel caso di un processo con migliaia di pagine di intercettazioni, ad un certo punto due soggetti, testimoni decisivi per l’accusa, vengono sorpresi al telefono a parlare di come dividersi i soldi di 12 operai ignari della loro intesa commerciale. Incredibilmente, la Polizia Giudiziaria non segnale e il magistrato non agisce.
Non si tratta di cose di altri tempi; sono sempre cose che ci riguardano.
Che lo si voglia o no, un uomo detenuto in galera da innocente per così tanto tempo, è insopportabile da ogni punto di vista.
Mi chiedo però quanto e se interesseranno la giustizia i vari profili di reato che, assai probabilmente, nel corso del processo di revisione, verranno individuati in vari soggetti che, pur sapendo, hanno taciuto, deviato, distorto, omesso,