Avant’ieri il sindaco di Cagliari ha fatto pulire i muri e i plexiglas del Bastione S. Remy di Cagliari dai graffiti, dalle tag e da quant’altro li aveva deturpati.
Ieri, durante la notte bianca di Nuoro, diversi writers si sono cimentati nelle loro ‘opere’ (e a Nuoro c’è qualcosa di più che cosiddetti semplici ‘imbrattatori’).
Non ho capito nulla di questo mondo fino a qualche mese fa, quando, per vincere l’insonnia, ho letto un romanzo di Arturo Pérez Reverte, Il cecchino paziente. Poi ho letto tante altre cose (per lo più in inglese e spagnolo).
Bisogna entrare in un ordine di idee nuovo: non sono teppisti, sono ribelli. È diverso. Non colorano senza un perché. Non sono rivoluzionari, perché non hanno in mente un’ordine diverso delle cose da instaurare.
Sono ribelli, anarchici sociali senza essere anarchici politici.
Sono persone libere sofferenti, che parlano in immagini e lessico underground, che non cercano i soldi, come invece fanno molti rapper, venditori di rabbia per vile interesse.
C’è un nesso forte tra la lingua dei graffitari, l’insuccesso scolastico di molti giovani e il disimpegno sociale di tanti adulti che non vanno più a votare. Il legame è la rabbia dell’impotenza, la percezione dell’immutabilità delle strutture fondamentali, avvertite come soffocanti senza saper ben dire perché. I vecchi rinunciano, i giovani danneggiano, protestano, si isolano e competono per ottenere il ‘rispetto’ degli altri ribelli, inventano un nuovo campionato della nobiltà, del valore e del coraggio.
La vernice vera sui monumenti ha l’odore di una crisi profonda, rivela le avanguardie di una tensione che in altri paesi europei (soprattutto in Francia) sta già esplodendo sotto le forme terribili dello scontro tra etnie.
Un porco che non vola, è solo un porco, così scrive su un muro Sniper, il writer protagonista del romanzo di Pérez Reverte.
Verissimo.
La memoria è corsa al 1977, quando nel mio liceo leggevamo sotto i banchi le gesta di Rocco e Antonia in Porci con le ali. Noi non facevamo graffiti, ma ci interessavano solo tre cose: libertà, sesso e felicità.
Eravamo davvero porci con le ali.
Siamo riusciti a volare, ma non sappiamo più educare a farlo.
Adesso, quando guardo un graffito, spero che un giovane voli.
Riflettevo sull’inutilità dell’ordine di ripulitura voluto dal sindaco di Cagliari (con ogni probabilità richiederà in un futuro non troppo lontano ulteriori interventi). Come sempre l’iniziativa di ‘risoluzione’ è drastica: eliminare ciò che disturba lo sguardo, ma che soprattutto, ci ricorda un senso di dis-ordine e forse anche di sporco. Cambiare lo status fa sempre problema a chi è abituato a respirare in stanze sempre poco arieggiate, dai confini sicuri e incrollabili.
Perché, invece, piuttosto che eliminare, non viene mai in mente di provare a interpretare e tradurre, perchè in fondo, di linguaggio si parla? Sarebbe un occasione per entrare in dialogo con un mondo. Invece, davanti alla diversità talvolta oppositiva, la risposta monotona e comoda è sempre il livellamento al mio margine di “connottu”. Oltre non si va, perché chissà che cosa la vita potrebbe riservarci.
Sì, è vero, i monumenti storici sono sacri, ma niente di ciò che è costruito dall’uomo è eterno, a volte sappiamo solo far sterili polemiche…
Mi viene un paragone con il mondo della disabilità, col quale mi interfaccio ogni giorno (per fortuna!), e ogni giorno scopro sempre più ostacoli e barriere
che impediscono una normale convivenza tra persone, perché il mondo lo si pensa sempre per quelli che hanno tutti i requisiti ok. Che bel mondo monocolore!
I colori dei pennelli della street art forse ci ricordano la diversità ribelle, ma in fin dei conti un raggio di luce, apparentemente monocromo, contiene tutti i colori possibili, è solo la diversità della lunghezza d’onda a distinguerli. Dobbiamo solo imparare a navigare.
Grazie prof!
Faccio parte di quella comunità di lavoratori e studenti che viaggiano ogni giorno con il treno dai nostri paesi dimenticati al capoluogo. Finalmente dopo anni, e con la solita lentezza che ammorba il processo di rinnovo infrastrutturale di quest’isola, hanno sostituito con treni moderni (sempre lenti) i vecchi treni di 40 e più anni, che ad ogni viaggio ti riempivano i polmoni dei fumi della nafta.
Già diversi convogli, neanche dopo un anno, sfoggiano le nuove livree disegnate dai writer, che non risparmiano i vetri e che spesso ci costringono a viaggiare come se fossimo in metropolitana: senza un paesaggio circostante da guardare.
Capisco la ribellione, l’anarchia sociale, il disagio, ma inizio a non sopportarli più. Capisco che vogliono lasciare una traccia, che non vogliono essere ingredienti confusi di questa minestra di umanità, ma percepisco il loro modo di comunicare identico a quello di chi ti vuole imporre il proprio pensiero con le urla: prepotente. Non sopporto i prepotenti.
Finché il graffito colora il muro di una stazione, di un edificio in stato di abbandono o dà vita e colore a qualcosa di squallido può andar bene ma deturpare monumenti o edifici storici no, sas manos cancaradas, li farei arrestare e condannare a ripulire il danno
Si los cundennamus a èssere animales, porcos, est ca no los cherimus cumprèndhere o ca, impitzados e apretados a cùrrere e a VINCERE no tenimus su tempus pro los cumprèndhere e pòdere èssere umanos, cristianos cun sas alas intreas (issos e nois, chi, chie de prus e chie de mancu, ma pesso meda prus de mancu chi no de prus, parimus dimónios cun sas alas currindhe a su corru de sa furca de s’impicu).