Prima di porre alla Soprintendenza, su Mont’e Prama, la terza di tante domande, cioè prima di interrogare il potere statale che in Sardegna:
– decide la politica dei beni culturali, a differenza di ciò che accade in Sicilia;
– ha condotto una durissima battaglia contro le università sarde, il cui capolavoro è la Fondazione Mont’e Prama dove le ha relegate al solo Comitato Scientifico (peraltro mai formalmente insediato), riservando le funzioni apicali a giornalisti, jazzisti e rappresentanti del ministero (con la evidente e entusiasta complicità della Regione);
– decide chi può scavare e chi no, secondo una discrezionalità che è sempre esposta a tramutarsi in arbitrio;
– ha deciso a Mont’e Prama dove scavare e dove invece autorizzare l’impianto di un nuovo vigneto;
dobbiamo dar conto di una nuova pubblicazione.
Si tratta di I giganti di Mont’e Prama. Cabras, Oristano, 35 euro, luogo di stampa: Calabria, presso le tipografie Rubbettino (sono curioso di vedere quante copie venderà un libro così importante con questo prezzo o se, come è già specialità del suo editore, Carlo Delfino, sarà venduto prevalentemente alla Regione Sardegna e così morirà in qualche deposito a parte le cinquanta copie che gli specialisti leggeranno per dovere di mestiere).
Ne sono autori il prof. Raimondo Zucca dell’Università di Sassari, nonché direttore dell’Antiquarium arborense, e il dott. Giacomo Paglietti, archeologo, premio Giovanni Lilliu 2015, direttore del museo archeologico di Genna Maria di Villanovaforru e del museo archeologico di Santadi.
È un libro, a me pare, scritto per fare chiarezza fin dal primo articolo, a firma del prof. Giovanni Ugas (già autore, tra le altre cose, dell’indimenticato Shardana e Sardegna, Della Torre, 2016) e che emblematicamente entra subito in un argomento strategico: La strada che fiancheggia la necropoli e il primo pensiero di Giovanni Lilliu sulla sacralità del sito di Mont’e Prama (è strategico perché sollecita una visione di insieme).
Seguono le prime cinquanta pagine di Raimondo che sono una catarsi offerta a Dio e all’opinione pubblica per liberare il sito dalla battaglia delle ambizioni e delle primazie che lo ha offuscato: Il nome e il luogo; La scoperta; Gli scavi archeologici; La topografia del complesso Mont’e Prama.
Sgombrato il campo dalle manipolazioni della storia e dall’oblio rispetto a chi ha fatto che cosa, il libro affida a Giacomo Paglietti due capitoli densissimi di riproduzione, descrizione, interpretazione e commento del patrimonio scultoreo che Mont’e Prama ha fino ad oggi restituito.
Infine, Raimondo Zucca riprende la parola e scrive un capitoletto intitolato Chiavi di lettura del complesso archeologico di Mont’e Prama che si apre con nettezza proprio con la confutazione esplicita di una tesi della Soprintendenza (lo sto scrivendo con la ‘p’ così non perdiamo tempo con i tifosi) sull’estensione e la natura del sito. Questo capitolo sarebbe potuto essere intitolato: Soprintendenza contro Università: orizzonte pratico e visione strategica a confronto. Non vado oltre perché altrimenti l’editore potrebbe sentirsi defraudato del valore del libro e chiedermi i danni. Tuttavia, proprio questo capitoletto, unito alla ricostruzione millimetrica della storia degli studi e degli scavi, è molto utile per ciò che stiamo per dire e per chiedere, perché riguarda ciò che si sa, ciò che si sapeva, da quando lo si sapeva, riguardo all’estensione del sito di Mont’e Prama.
La domanda di oggi è: è vero o è falso che la Soprintendenza nei testi preparatori della convenzione con le Università scriveva che il progetto Arcus tra le altre cose prevedva “l’ampliamento degli scavi, anche in forma discontinua, verso Nord-ovest fino al dosso posto al limite tra i mappali 1588 e 41, indicato come altra possibile ubicazione del presunto tempio”?
La domanda non è per niente banale, perché; come si vedrà, verso Nord-Ovest, nel tempo, si è fatto altro anziché scavare.
curiosando con google earth ho potuto ammirare nella zona in questione un vasto vigneto neo impiantato (immagini del giugno 2020) proprio nell’immediata adiacenza del sito archeologico.
è chiaro che si vuole abbinare all’interesse cultural – turistico – archeologica quello eminentemente enologico.
geniale!
venite, o turisti, a degustare la nostra vernaccia e ad ammirare il nostro vigneto.
se avete culo, fra un prosit e un guyot, potrete fortuitamente inciampare nell’inusitato reperto archeo, magari proprio la minchia di un gigante
Buongiorno Professore, per l’ennesima volta provo a vincere la pigrizia e lo sconforto e cerco di commentare:
Secondo me le domande da porre alle istituzioni sono altre e più generali, non limitandosi alla soprintendenza, che, concordo con lei, considero la prima colpevole della terribile situazione in cui versa la tutela e valorizzazione dei beni culturali in Sardegna, ma non l’unica, politica e università sono correi…
Chiedo: in un territorio come quello della nostra isola (con una densità di emergenze archeologiche probabilmente tra le più alte al mondo), come si può solo immaginare che 4 funzionari territoriali (sempre benemeriti per carità e pagati di merda ad onor del vero) con competenze in genere sovrapponibili all’estensione delle vecchie province, possano riuscire ad occuparsi seriamente di tutela, soprattutto in zone con forte sviluppo turistico?
Lo sanno anche loro, infatti, come prima preghiera mattutina, alzano le mani e piangono carenze di fondi e personale…
Il sistema è storto e inutile: piani urbanistici comunali bloccati in equilibrio tra interessi particolari dicibili e non, oppure se approvati, che corrispondono malamente e per difetto alle mappe delle emergenze custodite gelosamente in soprintendenza;
Nel frattempo si consuma territorio e storia senza colpo ferire;
Per carità, “il sole sorge per tutti”, diceva la buonanima di un mio vecchio e stimato datore di lavoro, con un passato nella politica della prima repubblica, capisco quindi che non si possa cristallizzare lo sviluppo del territorio e paralizzarlo in nome della tutela, ma una cosa non esclude l’altra, anzi…
Vent’anni fa si sarebbero dovuti sedere ad un tavolo con università, regione ed enti territoriali, coartare (pagando!) centinaia di archeologi anche laureandi, fare survey e catalogazione a tappeto di tutto il territorio;
quelle mappe dovrebbero ora essere in bella vista negli uffici urbanistici comunali, assieme a quelle del rischio idrogeologico.
Che dice sto ancora dormendo e sogno? È vero mi scuso…
Pannella invece sognava il geologo comunale, io vado al cimitero di Cartecchio e, in una sorta di rito di incubazione, gli chiedo di aggiungerci anche l’archeologo comunale…
Saluti
Professore, sono domande le sue, nelle righe 14,15,16 che sicuramente, due settimane fa, si sono posti i commensali attovagliati in un ristorante dalle parti di viale Trento a Cagliari, tra cui spiccava un cartonato (OMISSIS?), un editore e un consulente presidenziale.