Prima di tutto occorre individuare una precisa ricostruzione degli studi e della cronologia degli scavi di Mont’e Prama. Per questo scopo, mi servo delle prime pagine del libro di Raimondo Zucca e Gaetano Ranieri, Mont’e Prama /1 – Studi e ricerche, Sassari 2014. In calce si può leggere anche la versione definitiva del protocollo d’intesa tra Sovrintendenza e Università sarde, firmato il 2 maggio 2014.
La lettura di queste poche pagine aiuterà i lettori a comprendere che uno snodo di tutta la vicenda è il triennio 2008-2010, scandito nel primo anno da una nuova ricognizione del sito da parte di Raimondo Zucca (a distanza di circa trent’anni dai primi scavi del 1975, 1977, 1979), realizzata con le metodiche dell’Archeologia dei paesaggi, e nell’ultimo (il 2010) dall’elaborazione congiunta, da parte delle due università isolane, nelle persone dei professori Raimondo Zucca (Sassari) e Gaetano Ranieri (Cagliari), del progetto Il sacrario degli eroi infranti: ricerche archeologiche a Mont’e Prama, presentato per il bando della L.R. 7/2007 dell’annualità 2010.
È in questo triennio che si allarga l’orizzonte della reale consistenza di Mont’e Prama rispetto a quanto ipotizzato negli anni Settanta.
A partire dal marzo 2014, si infittiscono i rapporti tra la Sovrintendenza e gli Atenei sardi per la firma del protocollo d’intesa che doveva avviare una nuova campagna di scavi e mettere a sistema le risorse reperite dalle Università e quelle della Sovrintendenza.
Il 2 maggio 2014, come ho scritto, la Sovrintendenza firma il protocollo d’intesa con le due università sarde, la Regione, il Comune di Cabras e il Consorzio Uno di Oristano per la ripresa degli scavi.
Tutto ciò premesso, formulo la seconda domanda: è vero o è falso che la Sovrintendenza scriveva, nelle bozze preparatorie del Protocollo d’intesa con le università, che «i saggi [di scavo] dovranno essere preceduti, in ogni caso, da ricognizioni visive e da prospezioni strumentali, previa ricerca dei proprietari, ed eventualmente dell’occupazione temporanea. Si pone comunque l’esigenza di limitare al minimo indispensabile gli interventi in aree private, che, di norma, comportano il pagamento di indennizzi d’occupazione e di premi di rinvenimento. In particolare le verifiche di situazioni d’interesse rilevate tramite le indagini geofisiche dovranno essere in numero limitatissimo e di dimensioni ridottissime»?
Se queste frasi risultassero essere state effettivamente scritte nelle bozze preparatorie e poi espunte nella versione finale, se ne può legittimamente dedurre che esse rivelino quale interesse prioritario della Sovrintendenza, cioè dello Stato, non la corretta e intera perimetrazione dell’area interessata dal fenomeno archeologico in esame, ma la sua limitazione e riduzione, attraverso l’interdizione dell’uso delle metodiche adatte a identificare le emergenze rilevanti e la dissuasione a indagare nei terreni di privati cittadini?
Le stesse cautele, fobie e interdizioni sono state messe in atto in altri siti italiani, meno rilevanti di quello di Mont’e Prama?
Ovviamente la Sovrintendenza non risponderà, ma magari i parlamentari sardi o quei pigroni del Consiglio regionale (con l’eccezione dei Progressisti e del Movimento 5 Stelle) cominceranno a porsi qualche domanda.
Alla prossima puntata.
In risposta tardiva a Camilli:
Sono decenni (secoli?) che il Ministero non riconosce adeguatamente il valore del nostro patrimonio culturale, ne ho conferma diretta per gli ostacoli frapposti all’inserimento in tentative list per Unesco di nuraghi e domus de janas.
Se non ci fosse stata questa chiusura culturale verso la nostra storia i finanziamenti ci sarebbero stati. Basta dare un’occhiata ai rapporti sulla spesa regionalizzata per tutela e valorizzazione per capire quanto interessiamo al Collegio Romano.
Un caso lampante di colonialismo e di misconiscimento di una tradizione al di fuori della classicità.
O no?
Caro Dr. Camilli il suo ragionamento mi ricorda quello di alcuni Dirigenti (aridaje!) della Sanità che dicono che è meglio ridurre gli interventi chirurgici per risparmiare sul materiale di consumo.
Bilancio salvo, paziente morto.
soprintendènza (anche sopraintendènza, sovrintendènza, sovraintendènza) s. f. [der. di soprintendente, sovrintendente].
https://www.treccani.it/vocabolario/soprintendenza/
Casca malissimo il Sig. Camilli 😂
Egregio Camilli, nello standard italiano ‘soprintendere’ è arcaico, ‘sovrintendere’ comune e regolare. Ma se vuole cimentarsi con me in queste schermaglie linguistiche, troviamo una sede universitaria dove farlo, con pubblico, e facciamolo. Se poi Lei vuol continuare a dire ‘ripa’ e non ‘riva’, faccia pure, magari si sente più importante.
La seconda questione, in questa sua difesa d’ufficio che rivela la mancata conoscenza delle carte e dei fatti, è più rilevante. Essa attiene al livello di conoscenza posseduto dalla Sovrintendenza all’epoca dei fatti. Se già disponeva di esatte conoscenze sull’estensione del sito, limitare i sondaggi per ragioni economiche è una gravissima responsabilità. Ancor più grave far devastare le aree dove sapeva che si trovavano importanti strutture. Attenda e vedrà. Intanto faccia rispondere, se ne hanno capacità e valore, quanti al tempo svolgevano funzioni di responsabilità.
intanto soprintendenza si scrive con la P. L’indicazione, perfettamente plausibile, risponde a direttive centrali di bilancio, e non implica in alcun modo un condizionamento della ricerca (nessuno si sognerebbe mai di farlo), ma di limitare a livello progettuale attività che richiedano il premio di rinvenimento, quali soprattutto gli scavi, in quanto non sostenibili economicamente.